Nell’Archivio dei diari, assieme a tante memorie personali, e proprio grazie a loro, c’è la memoria collettiva di un popolo. L’intuizione avuta ormai quasi quarant’anni fa da Saverio Tutino ha dato a quella memoria un luogo fisico dove vivere e le ha permesso di essere ricca di infinite sfaccettature: quelle che le regalano le migliaia di storie finora raccolte, la maggior parte delle quali sarebbero altrimenti rimaste sconosciute a tutti. Senza l’Archivio dei diari, è ovvio dirlo, la nostra memoria collettiva sarebbe ben più povera.
Il Premio Pieve Saverio Tutino è una splendida sintesi della filosofia di fondo dell’Archivio, e prendervi parte è un’esperienza estremamente appagante. Quest’anno i disagi legati alla pandemia avevano fatto temere l’annullamento della manifestazione, che invece si è svolta ed è riuscita molto bene. L’appuntamento conclusivo, Memorie in piazza, è stato anche in questa occasione uno straordinario intreccio di quelle storie di singoli ma calate dentro momenti, contesti e realtà che sono in qualche misura parte di ciascuno di noi, del nostro vissuto o delle nostre storie familiari. Che però ogni diario ci fa guardare da un punto di vista che a volte può coincidere col nostro, a volte può essere quello opposto, a volte ci permette di cogliere sfumature mai immaginate o ci apre direttamente mondi inesplorati.
Nel pomeriggio di ieri questo flusso di parole e di emozioni è stato scandito dalle letture di Andrea Biagiotti che sintetizzavano le biografie degli otto finalisti del Premio Pieve; da quelle di Mario Perrotta e Paola Roscioli che davano vita alle loro pagine con i musicisti Vanni Crociani e Giacomo Toschi; e dagli autori stessi – o da chi li aveva conosciuti bene e li rappresentava sul palco – che dialogando con il conduttore Guido Barbieri commentavano le loro storie: storie per lo più drammatiche o tragiche, eppure spesso accompagnate, e in un certo senso valorizzate, da uno sguardo ironico che ha dato modo a chi era in platea di passare più di una volta dagli occhi lucidi per la commozione alla risata. E accompagnate anche da una tenacia e una voglia di vivere, una voglia di superare le situazioni più dure e disperate, che si percepiva nelle pagine lette e nelle testimonianze degli autori.
Il dramma e la forza di battersi e uscirne caratterizzano la vita, il diario e la personalità di Tania Ferrucci, a cui la giuria ha assegnato il 36º Premio Pieve Saverio Tutino. Nei miei okki è un’autobiografia che comincia nel 1960, anno di nascita del bambino napoletano che più tardi diventerà Tania. La madre, prostituta, si cura poco del figlio, che viene violentato a 7 anni e che non molti anni dopo inizia a sua volta a vendere il proprio corpo. Grazie a un’operazione riesce a coronare il sogno di diventare donna a tutti gli effetti, ma la sua vita continua a non essere facile, tra droga, carcere e vani tentativi di disintossicazione. Che infine hanno successo nel 2005, dopo che Tania si è legata alla comunità Saman. Si forma come assistente sanitaria e inizia a operare nella comunità e poi in case di cura per anziani e per disabili, trovando pieno riscatto nel lavoro.
L’autobiografia si conclude nel 2010, ma dieci anni dopo a Pieve Santo Stefano alla vita di Tania si aggiunge un’altra pagina significativa, ovvero un riconoscimento letterario dell’importanza del Premio Pieve Saverio Tutino. La Ferrucci lo riceve con commozione e anche con una spontaneità che le fa rubare la scena a Barbieri per un divertente intervento di ringraziamento. Degno finale di un pomeriggio memorabile, a cui nulla hanno tolto imprevisti come i 10 minuti di stop dovuti al rumore assordante provocato dal fortissimo temporale che si è abbattuto su Pieve Santo Stefano, o i piccoli problemi tecnici che hanno leggermente ostacolato il collegamento video con l’ospite di questa edizione, il celebre cantautore e scrittore Francesco Guccini.