Anna Del Bolgia è una biturgense doc che attualmente vive e lavora a Shanghai da 5 anni e mezzo. Ha studiato lingue, mercati e culture dell’Asia alla triennale presso l’università di Bologna per poi specializzarsi con un doppio Master in International Business presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e la Business School di Strasburgo. Ha vissuto circa otto mesi a Cork durante il programma Erasmus: “L’Irlanda mi sta molto a cuore – ci dice – sarà per il colore dei capelli rossi che mi accomuna alla popolazione o per la spensieratezza nella quale vivono gli irlandesi o per la buona qualità della birra. O per tutte e tre”. Parla 4 lingue e mezzo: italiano, inglese, cinese, spagnolo e un poco di francese.
Ha iniziato a lavorare proprio a Shanghai ed è sempre stata nel campo dei servizi, spaziando tra educazione, psicologia industriale e organizzativa e risorse umane. “Mi piace lavorare con e per le persone”, commenta. La sua passione più grande è il ballo, coltivato da quando aveva 11 anni. Continua a ballare anche in Cina, dove ha scoperto l’energia dei balli latini. Balla soprattutto salsa cubana, afrocubana (“una danza molto folklorica i cui movimenti fanno riferimento alle divintà orisha”) e bachata. Ma ha anche tanti altri hobby: i viaggi, lo yoga, la fotografia, l’arte, la gastronomia e il vino. “E anche il KTV cinese (karaoke) può essere reputato un hobby?”, si chiede.
Come sei arrivata in Cina e cosa fai là?
“Nell’aprile 2015 iniziai questa avventura con un tirocinio di sei mesi volto a finalizzare il mio percorso di studi. Il giorno della mia partenza non lo scorderò mai: come al mio solito ero impaziente di iniziare qualcosa di nuovo, mi organizzai velocemente e decisi di partire da Strasburgo. Era Pasqua e la mattina la passai con i miei amici più cari a condividere una colomba pasquale riportata dall’Italia. Il pomeriggio ero già in aereo direzione Shanghai. Era la mia prima volta in una città così grande (ad oggi circa 27 milioni di abitanti) eppure mi sentii subito a mio agio ed era come se avessi vissuto e fossi già stata a Shanghai. Ci sono stati momenti di odi et amo con tutte le contraddizioni di questo paese, ma sono sempre tornata e sono rimasta. Ora è diventata casa.
Ad oggi sono manager da 3 anni presso Easy Payroll Global, un’azienda internazionale australiana specializzata in servizi di payroll e gestione terza delle risorse umane, staff outsourcing, selezione e ricerca del personale e piattaforme HCM (human capital management). Ho visto nascere l’ufficio a Shanghai e ne sono responsabile, coordinandone non solo l’operatività, ma anche gestendo i progetti per il territorio cinese e recentemente in parte filippino ed europeo”.
Il tuo ultimo rientro in Cina è stato in epoca Covid, come si è svolto?
“Premetto che sono rimasta bloccata in Europa per circa 8 mesi, che sono rientrata in Cina a inizio settembre e che la procedura che di seguito descrivo potrebbe essere leggermente diversa in base al periodo di rientro. Il rientro è stato duro, ma ne è valsa la pena”.
“Pre-partenza: nonostante io avessi il permesso di residenza e di lavoro ancora validi, ho dovuto rifare un visto lavorativo presso il centro visti cinese e confermare che la mia presenza in Cina fosse richiesta dalla mia azienda ed essenziale. Inoltre, era obbligatorio eseguire il tampone (a proprie spese e solo su laboratori certificati) e ricevere il risultato 72 ore prima dalla partenza del volo che doveva essere vidimato dal consolato cinese in caso di negatività e quindi conferma della partenza. Prima di partire era obbligatorio scrivere i propri dati in un Miniprogram di WeChat (app cinese di messaggistica multiuso, social media e mobile payment) che di conseguenza produceva un codice QR da far presente allo staff in aeroporto, in aereo e alle autorità cinesi una volta sbarcati. In aereo, obbligatorio l’uso delle mascherine per tutta la durata del volo”.
“All’arrivo all’aeroporto di Shanghai Pudong International, le autorità avevano creato un percorso a senso unico con i dovuti distanziamenti, ci hanno fatto un altro tampone (gratis) e ci hanno diviso per distretti. Purtroppo ho dovuto aspettare 7 ore in aeroporto fino al raggiungimento di un certo numero di persone, hanno organizzato un autobus (gratis) per portarci all’hotel del distretto che si sarebbe occupato della nostra quarantena di 14 giorni (a spese proprie). Arrivati in hotel, lo staff ha iniziato a disinfettare tutte le nostre valigie con, credo, alcool. Quasi che ce lo spruzzano addosso pure a noi! Nessuno poteva uscire dalla stanza di hotel e lo staff dell’hotel si occupava di portare colazione, pranzo e cena tutti i giorni (solo cibo cinese). I dottori in carico invece venivano a misurare la temperatura due volte al giorno. Nel periodo in cui sono rientrata era possibile fare il 7+7, quindi sette giorni in una stanza di hotel e sette nella propria casa o appartamento. Io sono stata molto fortunata (avevo dei documenti aggiuntivi e credo il mio distretto fosse più accomodante), sono riuscita a fare solo una notte in hotel e il resto a casa. Una volta che mi hanno portato a casa, hanno installato un allarme/videocamera nella mia porta per controllare che io non uscissi e ho avuto la possibilità di misurare la febbre autonomamente, riferendola via messaggio WeChat al dottore responsabile ogni giorno due volte al giorno. Due giorni prima della fine della mia quarantena lo staff in carico è venuto a casa e mi ha fatto un altro tampone (a mie spese per una cifra di circa 15 euro). Il mio risultato era negativo ed ero quindi libera di riprendere la mia vita nella più assoluta normalità, perché le uniche occasioni in cui vanno indossate le mascherine qui sono nei trasporti, nelle banche e in pochissimi altri casi”.
Invece, come hai detto, durante la prima fase della pandemia eri in Europa.
“Mi trovavo in Spagna con il mio ragazzo spagnolo già a metà-fine gennaio, e lì ho passato il mio lockdown. Prima ero tornata in Italia circa una settimana a inizio febbraio e la gente mi guardava sbalordita pensando che venissi dalla Cina. La cosa ‘simpatica’ è che una volta rientrata in Spagna, poi mi guardavano sbalorditi gli spagnoli perché sono italiana e rientravo dall’Italia. È stato un circolo senza fine”.
Cosa ti attrae della cultura cinese e di quelle asiatiche?
“Sono sempre stata affascinata dall’Asia per le sue varietà, le sue lingue, le sue gastronomie, i suoi colori, le sue religioni, le sue etnie e festività. Ho soprattutto appreso da queste culture e dalle persone un senso di spiritualità differente da quello che intendiamo in Occidente che mi è molto utile, dato che vivo in una realtà molto frenetica. Per esempio quando ti ritrovi in un posto sacro, c’è un silenzio magico e ho una sensazione di pace. Lo stesso mi avviene quando vedo un gruppo di persone o individui che praticano Tai chi (Taijiquan 太极拳) nei parchi cinesi, o qualsiasi altra arte. Sono leggiadri e anch’io mi sento leggera nel guardarli. A questo proposito, suggerisco di guardare il film Sette anni in Tibet o di leggerne il libro. Per quanto riguarda la cultura cinese nello specifico, la Cina è la culla di una delle quattro antiche civiltà, ha una storia profonda ed è ricca di siti stupendi proclamati Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Come non esserne attratti se si è dei viaggiatori! Per non parlare della gastronomia cinese e del suo tè. C’è tantissimo da scoprire e provare”.
Consiglieresti ai giovani di studiare cinese o di fare esperienze di vita all’estero?
“La Cina rimane uno dei paesi più carichi di potenzialità al mondo ed è un mercato al quale tutti puntano. Quindi direi che il cinese è molto importante se si ha l’aspettativa di lavorare prima o poi con la Cina, sia per un progetto di breve periodo o medio-lungo termine. Sicuramente ti apre ulteriori porte e opportunità essere competenti nella lingua cinese. Serve anche tanta passione, tempo e determinazione per studiarlo, io ancora quando posso continuo a farlo (ci sarà sempre un carattere cinese che non saprai)! Fare esperienze di vita all’estero è relativo e credo dipenda molto da quello che una persona vuole fare. Oggi sembra quasi un obbligo fare esperienze di vita all’estero, ma io non ci vedo nulla di male nel rimanere anche nella propria realtà purché si sia felici. Sono solo questioni di priorità e interessi diversi”.
Cosa ti manca dell’Italia quando sei all’estero?
“La mia famiglia, gli amici più stretti, la gastronomia di nicchia e i paesaggi della nostra Valtiberina”.
E cosa ti è mancato della Cina quando non eri lì?
“La dinamicità e l’attività continua della vita, le mie amicizie, l’essere cashless (vivere senza contanti) e il cibo cinese”.
Che differenza c’è tra la vera Cina e gli stereotipi che percepiamo in Europa?
“Ci sono molto stereotipi e falsi miti da sfatare. In Cina per esempio non si mangia solo riso e la ricchezza della loro cucina è vasta. È come dire a noi italiani che mangiamo solo pizza e pastasciutta. Inoltre, la maggior parte dei ristoranti cinesi in Italia non ha niente a che vedere con quelli della Cina, perché molti si adeguano al gusto locale italiano/europeo. Le verdure, il tofu, i tantissimi e diversissimi ravioli in Cina per esempio sono buonissimi e non credo di aver mai mangiato involtini primavera a meno che non fossero cantonesi o fatti apposta per stranieri. Tanto meno il pollo alle mandorle”.
“La questione cani e insetti. È vero che in alcune province cinesi, come quella del Guanxi, la carne di cane viene effettivamente consumata ma nelle altre regioni questo non avviene e gli animalisti sono contrari. Tuttavia, bisogna pensare che ci sono tante altre culture che inorridiscono al pensiero che noi italiani possiamo mangiare una lepre o un coniglio, poiché reputato animale di compagnia. Gli insetti li ho provati pure io. Per me non sono una prelibatezza e non ho troppo piacere a riprovarli, ma è una questione di culture diverse anche qui. Lo stesso vale per le zampe di galline.”
“Un altro stereotipo è pensare che i cinesi sono tutti uguali di aspetto solo perché hanno gli occhi a mandorla. Non è così ovviamente e fidatevi, noi siamo tutti uguali per loro!”
“Infine ci tengo a precisare che in molti vedono la Cina come un paese arretrato. È vero che ci sono molte parti della Cina che ancora rimangono povere ai nostri occhi, ma ci sono altrettante strutture urbanistiche, scientifiche e tecnologiche che sono avanti anni luce rispetto all’Europa. In particolare, gli avanzamenti tecnologici cinesi sono impressionanti per quanto riguarda la rapida evoluzione nei sistemi di pagamento, lo sviluppo di una criptovaluta cinese, l’automazione industriale e l’intelligenza artificiale”.
Raccontaci un bell’episodio di questi ultimi anni in Cina.
“Una mia cara persona mi venne a trovare a Shanghai a fine 2015. Si rese conto come me di quanto questo paese e la città in cui vivevo potesse offrire. Stavamo passeggiando di tardo pomeriggio nel Bund o Waitan (外滩), che è un viale lungo la riva sinistra del fiume Huangpu e che fronteggia gli sfavillanti grattacieli (il famoso skyline di Shanghai). Guardando lo skyline, è come se ti rivolgessi al futuro. Si accese lo spettacolo di luci e colori solito di quell’ora e questa persona mi disse: «Vedo come riesci ad appartenere a questo mondo. Questa città brilla e tu brillerai con lei!»”
“Dajia, zaijian! 大家,再见!”