Una carriera iniziata nei primi anni ottanta e non ancora conclusa, che fotografa una passione infinita per il gioco del calcio e per tutte quelle emozioni che si respirano all’interno di un campo sportivo e di un gruppo, a prescindere dalla categoria, al di là dei risultati. Emozioni che rappresentano una spinta per andare avanti e per trovare anno dopo anno o per meglio dire giorno dopo giorno nuovi stimoli. Questo è ciò che emerge raccontando la storia sportiva di Paolo Ghirelli, portiere che ha esordito tra i pali in quel “Sansepolcro degli zero punti” e che con le sue parate ha contribuito, grazie ai due campionati vinti, a riportare in Promozione. Paolo ha poi militato in molte squadre della Valtiberina Toscana ed Umbra (Baldaccio Bruni, Monterchiese, Sulpizia, Badia Tedalda, Capresana San Giustino, Cerbara, Pistrino) e ha vissuto importanti esperienze anche in altre belle realtà (Sampierana, Capolona e Belforte all’Isauro). Una lunghissima avventura che ha come filo conduttore proprio la passione, la voglia di fare quello che più si ama e il talento, perché “Ghiro” (come tutti lo hanno sempre chiamato) è stato senza dubbio uno dei portieri più forti del nostro territorio. La sua carriera ha attraversato varie generazioni ed è stata vissuta sempre al massimo, sempre con il sorriso e con serietà, a 20 anni come a 55. Si 55, perché Paolo è classe 1965 e perché nel 2020 è ancora tesserato come portiere per la Sulpizia dove ricopre anche l’incarico di preparatore dei portieri. Con lo stesso entusiasmo e lo stesso spirito di sempre, con quella voglia di essere protagonista, di mettere la sua esperienza al servizio dei più giovani e di vivere ancora a lungo quelle sensazioni che si respirano in un campo di calcio.
Paolo, la tua è una meravigliosa storia sportiva. Quando e come è iniziata?
Può sembrare strano, ma è cominciata in un ruolo diverso da quello del portiere. Da ragazzo giocavo infatti come ala e mi prese la formazione giovanile del Nuova Biturgia guidata da mister Del Bene che poi mi provò tra i pali. In seguito andai a giocare nel Sansepolcro, come ala e non come portiere. Me la cavavo bene con i piedi, ero bravino, ma passavo poco la palla e quindi mister Cenci di Perugia mi faceva giocare poco. Tutto cambiò un giovedì, giorno della classica partitella di allenamento tra noi giovani e la prima squadra. I nostri portieri erano assenti e così tra i pali, vista la mia precedente esperienza, andai io. Feci bene e avevo verso, come si dice, così da quel momento il mio ruolo non è più cambiato. Venni convocato più volte nella prima squadra in Interregionale e pur non giocando mai imparai tanto e cominciai ad assaporare il “calcio vero”.
Ricordi il tuo esordio?
Era la stagione 1982-1983 con il Sansepolcro in Promozione nella stagione degli zero punti in classifica. Un anno caratterizzato da tante difficoltà dopo i tempi in C2 e Interregionale. Un gruppo di imprenditori scese in campo per evitare il fallimento e salvare il titolo. Arrivarono tanti giocatori, ma dopo aver perso le prime 9 partite la rosa fu rivoluzionata e noi giovani venimmo lanciati stabilmente in prima squadra. Il mio esordio al Buitoni avvenne mi sembra con l’Impruneta in una gara che perdemmo 4-0. Era una bella giornata e se ci penso sento ancora il sole negli occhi. In tribuna nonostante le difficoltà della squadra c’era tanta gente e fu, per un biturgense come me, una grande emozione. Da piccolo avevo confidato ad un amico che il mio sogno era giocare al Buitoni con la maglia del Sansepolcro e quel giorno lo realizzai.
Tra il Sansepolcro del fallimento a quello della rinascita ci fu in mezzo per te una bella parentesi?
Verissimo. Andai alla Monterchiese del presidente Orlando Conti in Prima Categoria, una squadra che aveva fatto grandi cose e in cui c’erano giocatori formidabili come ad esempio Testerini, Donato, Facchin, Barculli e Bruni. All’inizio non giocai perché mi ero rotto una gamba e non ero ancora guarito, ma poi nella seconda parte di stagione fui sempre titolare ed ebbi la possibilità di mettermi in mostra e di crescere.
Poi il ritorno a Sansepolcro e la straordinaria risalita con quello che all’epoca era il Gs Borgo.
Erano anni di ricostruzione e di ritrovato entusiasmo, in società, in squadra ed in città. Si respirava un clima positivo ed esser stato protagonista di quel particolare momento è ancora oggi per me motivo di orgoglio e di soddisfazione. In panchina c’era Becci e in campo calciatori del calibro di Tellini, Barculli, Testerini, Tricca, Bruschi, Mearini e tutti gli altri che costituivano quel meraviglioso gruppo. Eravamo forti e motivati, quindi i risultati arrivarono di conseguenza. Vincemmo due campionati di fila e riportammo il Borgo in Promozione. Per me fu il massimo. Ci tenevo tantissimo dato che giocavo nella squadra della mia città e nel mio stadio. La gente ci voleva bene ed era fiera di noi.
I ricordi più belli?
Il Buitoni pieno di gente ogni domenica, le decisive gare casalinghe contro Monterchiese e Castiglionese, la festa per le vittorie, lo spirito di amicizia che caratterizzava quel gruppo e la spinta che ci arrivava dai nostri tifosi. Vuoi sapere un aneddoto che mi è rimasto in mente?
Certo…
A fine partita la domenica era consuetudine andare a passeggio per il Corso e fare le classiche “vasche” con gli amici. Ecco, alcuni dei miei coetanei mi dicevano che con me non sarebbero venuti perché tante persone mi fermavano per parlare di calcio e di quello che era accaduto poco prima in campo. Finire un giro di Corso era quasi un’impresa, ma era bello sentirsi importante e condividere quelle sensazioni con la gente.
Negli anni seguenti hai girato tanto e giocato in molte squadre per arrivare poi a metà anni novanta e alle soddisfazioni vissute ad Anghiari.
Dopo Sansepolcro andai a giocare al Badia Tedalda del presidente Danilo Montini che in quegli anni militava nel campionato di Seconda Categoria Marchigiana, poi all’Etruria Gabos ed alla Sulpizia diretta da Facchin in una stagione molto positiva che ci vide duellare per il successo finale ed arrivare a pari merito con altre due squadre, ma penalizzati per gli scontri diretti. Successivamente mister Facchin mi chiamò alla Sampierana in Promozione Romagnola e in una realtà molto organizzata. Fu un’altra bella avventura.
Poi il passaggio alla Baldaccio che anche grazie alle tue parate risalì in Promozione.
Ad Anghiari ho vissuto tre anni meravigliosi con Fernando Chiasserini in panchina ed in una squadra molto forte. Eravamo un gruppo unito con alle spalle una società seria e organizzata. Mi sentivo importante tanto che, giusto per fare un esempio, quando mi ruppi la clavicola ogni settimana effettuavo le lastre per capire se potevo tornare in campo. Eravamo in lotta per la promozione ed il mister mi fece giocare prima di essere del tutto ristabilito. Per me andava benissimo, perché avevo voglia di giocare e anche perché la mia natura è da sempre quella di non tirarmi indietro.
Bella anche la tua avventura al Capolona con la vittoria della Coppa di Prima Categoria.
Dopo un’altra parentesi al Badia approdai al Capolona di mister Gallastroni e vincemmo la Coppa Toscana di Prima Categoria battendo in finale l’Alberese. Ricordo benissimo la decisiva trasferta. Eravamo partiti il giorno prima del match e sentivo in modo particolare quella sfida. Andò bene e alzare al cielo quel trofeo è stata una delle soddisfazioni più belle della mia carriera assieme ai campionati vinti con il Sansepolcro e alla promozione ottenuta con la Baldaccio dopo lo spareggio con la Castelnuovese. Con il Capolona poi ho fatto altri due anni in Promozione prima di andare nelle Marche dove ho giocato per tre anni in Prima Categoria con il Belforte all’Isauro. Poi sono ritornato in Valtiberina e ho militato in Prima Categoria con la Virtus San Giustino di mister Cardinali. A seguire il Pistrino in Promozione, ancora Monterchiese, poi Cerbara, di nuovo Badia Tedalda e poi Capresana dove pur continuando a giocare ho ricoperto anche il ruolo di preparatore dei portieri. Dallo scorso anno sono alla Sulpizia.
Come stava andando prima dello stop causa Coronavirus la tua avventura a Pieve Santo Stefano?
Benissimo. Ho trovato una realtà che fa calcio proprio come piace a me, con semplicità e naturalezza, ma anche con passione, serietà e con la giusta organizzazione. Il presidente Moreno Ghignoni ci sta vicino in ogni situazione, il gruppo è valido e unito e con il mister Guerra siamo sulla stessa lunghezza d’onda. C’è davvero un bel clima, si lavora sodo quando è il momento, ma poi si scherza e ci si diverte. Io tuttora mi diverto anche in campo. Mi alleno ed oltre a fare il preparatore dei portieri sono tesserato. Se ci dovesse esser bisogno sarò pronto a fare la mia parte. Purtroppo ora siamo fermi, sperando che questa emergenza finisca presto.
L’ultima partita che hai disputato?
Negli anni con la Capresana, che sono stati nella prima parte molto belli ed in cui avevamo creato grande entusiasmo conquistando tra l’altro la promozione in Seconda Categoria. L’ultima volta che ho giocato è stata però per così dire un ritorno alle origini.
In che senso?
Giocavamo a Cavriglia ed eravamo in pochi, così gli ultimi dieci minuti sono entrato, ma come attaccante e non come portiere. Come dicevo prima non mi sono mai tirato indietro e in caso di bisogno ho sempre dato il massimo, a prescindere dal mio compito e dalla categoria.
Nella tua lunga carriera quale è stata la parata che ricordi con maggior emozione?
Nel mio primo Porta Fiorentina – Porta Romana, di fronte a tantissima gente e in una sfida sempre molto sentita a Sansepolcro. Noi di Porta Fiorentina vincemmo 1-0 e io feci una parata molto bella volando alla mia sinistra per togliere dall’incrocio la palla calciata da Corsini. Era il mio debutto nella sfida cittadina e salvai il risultato contribuendo alla vittoria. Ricordo come se fosse ora l’emozione di quel momento e gli applausi dei nostri tifosi.
Quali sono state le tue caratteristiche migliori?
L’istinto e la reattività e questo anche in virtù delle mie doti atletiche. A Sansepolcro il professor Polcri mi chiamava “gatto”, tanto ero rapido nei movimenti. Le doti fisiche sono naturali, ma poi ci devono essere il lavoro quotidiano e la dedizione perché senza non si va da nessuna parte. Una cosa ha contraddistinto la mia carriera da quando ero ragazzo fino ad oggi: sono sempre stato il primo ad arrivare agli allenamenti e l’ultimo ad andarsene. Mi è sempre piaciuto scherzare e ridere, ma quando si lavora sono concentrato e serio. Tra l’altro sentivo in modo particolare le partite e la domenica mattina da giovane ero sempre teso. Altri aspetti che mi hanno aiutato nella mia carriera sono stati la personalità che un portiere deve per forza avere e una buona tecnica con i piedi che mi è tornata utile quando il modo di interpretare questo ruolo è cambiato profondamente. A me è sempre piaciuto e a volte rischiavo qualcosa. Pensa che quando giocavo con la Sampierana, nella nostra area, effettuai 5 tunnel ai giocatori avversari nella stessa gara. Mi sentivo sicuro e mi veniva concesso di rischiare qualcosa, dai miei compagni e dagli allenatori. Era il mio modo di darmi la carica e di acquisire fiducia.
Ci sono state persone particolarmente importanti nella tua carriera?
Ho avuto la fortuna di incontrare tantissime persone eccezionali che mi hanno dato molto a livello umano prima che calcistico e da ognuno di loro ho cercato di imparare qualcosa. Non voglio indicare nessuno per non fare eccezioni e l’unica persona che voglio davvero ringraziare con tutto me stesso è la mia compagna Ketty che mi sopporta e mi supporta prendendosi cura della famiglia perché tra lavoro, allenamenti e gara della domenica spesso sono fuori. Lei è la mia forza, assieme a mia figlia Ludovica che ha 8 anni e che è la mia prima tifosa.
Come si fa ad avere sempre questa passione e quale il segreto della tua longevità sportiva?
Non mi sono mai posto la domanda, so soltanto che andare al campo, allenarmi e far parte di un gruppo mi piace ancora come mi piaceva quando ero ragazzo. Non è un peso, ma uno stimolo e un divertimento. Oggi mi capita di giocare magari con i figli dei miei ex compagni e anche se di anni ne sono passati molti mi sento bene fisicamente e mentalmente. Mi fa sentire giovane e spero di aiutare le nuove generazioni a capire che passione ed impegno sono fondamentali, nella vita e ovviamente anche nel calcio.
Il tuo futuro?
Non mi pongo limiti. Ho fatto una buona carriera, mi sono tolto tante belle soddisfazioni e ho sempre dato il massimo. Ho commesso errori come tutti, ma non ho rimpianti perché ciò che ho fatto mi ha portato ad essere ancora qui e ne sono fiero. Se un giorno tutto questo mi peserà smetterò, ma amo il calcio e fino a quando avrò questo entusiasmo continuerò.