Ionica: la storia di un panettone

Lo spettacolo andato in scena giovedì 23 luglio mostra con ironia e trasporto una storia di mafia, cibo e tradizioni

Jonica è la statale che percorre la suola dello Stivale, da Taranto a Reggio Calabria, costeggiando tre regioni. Ionica è anche uno dei nomi della Scuola di Mileto, di cui faceva parte Talete: considerato per tradizione l’iniziatore della filosofia greca e quindi tra i fondatori del pensiero occidentale. Le riflessioni principali di questo gruppo di filosofi ruotavano attorno a concetti tanto semplici quanto complessi come la natura e la realtà. E di una realtà tanto semplice quanto complessa come un pranzo di Natale, nella casa di un testimone di mafia, si parla anche in IONICA. Lo spettacolo, scritto diretto e interpretato da Alessandro Sesti si basa infatti sulla figura realmente esistente di Andrea Dominijanni, ora sotto scorta per aver denunciato i soprusi subiti dalla ‘ndrangheta.

Accompagnato da un terzetto di chitarra (Federico Pedini), clarinetto (Debora Contini) e contrabbasso (Federico Passaro), posizionato dietro una rete e illuminato all’occorrenza, il monologo narra del viaggio che il protagonista umbro percorre, insieme a un panettone, per giungere a casa dell’amico Andrea, rivederne i cari e festeggiare con loro il Natale. Si incontrano in un bar per poi salire insieme in casa: le atmosfere, cupe e minacciose come quella che ispira il racconto dell’uomo che finge di guardare il cellulare, ma con lo schermo controlla lo “straniero”, sono intervallate e mescolate con quelle simpatiche delle descrizioni dei componenti familiari e dei cliché sull’abbondanza del cibo a tavola: “da qui non ne uscirò vivo. Perché… è il pranzo a casa di una famiglia calabrese!” “Non mi alzerò da qui fino al tramonto sulle mie gambe e in grado di intendere e di volere”. La visione di Luna, la cagnolina che non è stata risparmiata dalla crudeltà dei mafiosi; il ricordo di Nausicaa, il villaggio turistico paragonato a una ragazza stuprata e ormai immobile, l’allucinazione dei commensali che diventano Cristo che offre una sigaretta e la Madonna e Roberto Bolle. E poi il pranzo è finito: è arrivato il momento del dolce. Il panettone che il protagonista ha portato non basta per tutti, ne vede un altro, chiede ad Andrea se possono usarlo ma lui non risponde. Dentro il panettone ci sono i soldi da consegnare al clan. Andrea decide di collaborare con la giustizia. E poi il processo, descritto come un film: “Luigi, guardi troppe serie tv americane”. E poi la paura della morte, per se stesso, ma soprattutto per i propri cari.

Ionica ci pone davanti a un fiume di parole, di sensazioni, di terribili presagi in una realtà complessa come quella della mafia, paragonata ad un tumore, all’interno di una realtà che vorrebbe essere semplice, come quella di una famiglia. Ma soprattutto Ionica ci mette lo spettatore davanti allo spiazzamento di chi non vive queste situazioni in prima persona e davanti al coraggio di chi queste situazioni le vive e, con coraggio, decide di combatterle: “adesso però vi dimostro come uno scarafaggio può cambiare le cose”.

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