Continuando ad approfondire il tema dell’impatto del coronavirus sulla medicina del nostro territorio, dopo l’intervista pubblicata ieri al dottor Evaristo Giglio, direttore della Zona-distretto, TeverePost ha sentito il dottor Giuliano Checcaglini, medico di medicina generale e coordinatore dei medici della Casa della Salute “Il Borgo” di Sansepolcro.
Come hanno vissuto i medici di base della Valtiberina la fase dall’inizio dell’emergenza a oggi?
Dall’inizio sono cambiate diverse cose, perché anche noi non conoscevamo la situazione, non avevamo presìdi di nessun tipo, che sono arrivati molto dopo. Piano piano si è preso coscienza della questione e per passi abbiamo ridotto l’attività. Per esempio abbiamo smesso di seguire le malattie croniche, come i diabetici, in maniera attiva in ambulatorio. Questo servizio è ancora del tutto sospeso. Anche le visite a domicilio ai malati cronici sono state molto ridotte, tranne per chi necessita di un’assistenza inderogabile. Sono diminuite le stesse visite in ambulatorio, anche perché la gente ha iniziato ad avere paura. In compenso è aumentata tantissimo la consulenza telefonica: ovviamente i quesiti sono tanti e molte cose si cerca di risolverle per telefono. Negli ultimissimi giorni gli ambulatori stanno comunque cominciando a ripartire, di gente inizia a venirne di più.
La pandemia ha indotto anche cambiamenti tecnologici.
Con questa pandemia si sono accelerati processi di cui si parlava da tanto tempo ma che venivano portati avanti lentamente. Per esempio le ricette per email le mandavamo già, ma era una cosa minimale. Adesso le ricette e le richieste di analisi via email e via sms sono diventate il modo sostanzialmente predominante. Da questo punto di vista è stato fatto un balzo in avanti notevole. Poi vari aspetti vengono gestiti tramite piattaforma informatica regionale, come le richieste di tamponi e le visite Covid per quanto riguarda l’USCA, l’unità speciale di continuità assistenziale che può intervenire presso i malati con tutti gli opportuni presìdi. E ora è in fase avanzata anche la piattaforma per la telemedicina: qui ancora i contenuti non ci sono, ma l’impressione è che adesso le tappe verranno bruciate.
In questo contesto qual è il futuro della Casa della Salute?
Partiamo col dire che là dove c’era una medicina del territorio preparata, organizzata, i fatti dicono che la situazione ha retto in maniera discreta. In Toscana l’organizzazione della medicina del territorio era buona, da anni è organizzata in team, soprattutto ad Arezzo. Il medico da solo ormai non ha più ragione di esistere: non che ci fosse niente di male, ma se si parla di telemedicina, di seguire le malattie croniche, queste cose presuppongono che ci sia un team. Per la Casa della Salute avevo già ordinato strumenti per la telemedicina. Questo potrà significare che i dati di elettrocardiogramma, holter pressorio, holter cardiaco, spirometria, dermatoscopia con la telemedicina verranno mandati a centri di riferimento specialistici da cui arriveranno risposte con validità legale a tutti gli effetti. In Toscana la Regione si stava apprestando a incentivare la possibilità di seguire certe patologie tenendo conto di queste strumentazioni presenti negli ambulatori, poi è arrivato il Covid e le risorse sono state destinate lì, però il futuro è quello. Quindi la medicina generale sarà destinata a seguire le patologie croniche, a seguire i malati complessi a domicilio in modo molto potenziato rispetto a quello che si faceva già. Noi siamo pronti perché abbiamo personale di studio, infermieristico, strumentazioni, software per gestire la medicina d’iniziativa. Tutto questo non verrà smantellato, tanto più con questa esperienza: in Lombardia dove avevano quasi smantellato la medicina del territorio a beneficio degli ospedali si è visto quello che è successo.
Quindi la medicina del territorio è stata decisiva nella differente incidenza del Covid in differenti zone d’Italia.
In Lombardia la medicina era l’ospedale, nel territorio avevano depotenziato tutto. Più andavi al pronto soccorso e all’ospedale, più sembrava che la sanità funzionasse bene. Con il Covid si è seguito lo stesso criterio, a casa non hanno tenuto nessuno, la gente si è precipitata al pronto soccorso e da lì i malati sono stati mandati nelle case di riposo. Hanno fatto il contrario di quello che abbiamo fatto da noi. Queste sono cose che non si improvvisano: se per anni e anni hai smontato la situazione, poi non la fai ripartire in quattro e quattr’otto. In Toscana, e soprattutto ad Arezzo, in particolare ai tempi del direttore Enrico Desideri, è stata potenziata notevolmente la medicina di prossimità, in modo che la gente avesse le prestazioni più vicino possibile a casa. Il contrario di quello che hanno fatto in Lombardia.
Che scenario ci attende in questa fase di progressiva ripresa delle attività quotidiane?
In questa fase c’è il grande problema della notevole quantità di popolazione scoperta in termini di anticorpi. Nella Asl Sud-Est su 8000 dipendenti che hanno fatto il test sierologico, circa 100-150 hanno manifestato la presenza di anticorpi. Questo vuol dire che la gran parte della popolazione è scoperta. Bisogna quindi contrastare la diffusione del virus tra la popolazione finché non arriverà un vaccino che permetterà di avere gli anticorpi o una terapia che permetterà di curarlo. Certi accorgimenti continueranno ad essere indispensabili, quindi mascherine, guanti, lavaggio frequente delle mani, distanziamento sociale. Oppure ci può essere un depotenziamento del virus, come dicono alcuni: se cambia e diventa meno aggressivo la situazione migliora spontaneamente. Però in questo momento questi accorgimenti vanno mantenuti di sicuro.