Il “valtiberino nel mondo” di oggi è Luca Cascianini, classe 1972, che ha lasciato l’Italia dopo l’università trasferendosi per un anno a Parigi. Ma quella francese è stata solo la prima tappa di un percorso ben più lungo che lo ha portato in America Latina, dove vive ormai da quasi venticinque anni.
Come sei arrivato in Sud America?
Nel periodo in cui mi trovavo a Parigi accettai un lavoro a Bogotà, la capitale della Colombia, per una multinazionale americana che si occupava di vendere detersivi. Dopo la Colombia ho avuto anche esperienze in Venezuela, Perù e Messico. Mi fu proposto di lavorare in Giappone, dove andai per tre settimane. Lì compresi in modo chiaro che mi interessava continuare a vivere in Sud America e tornai prima in Venezuela e poi in Colombia, per poi trasferirmi a vivere a Medellín dove sono ora.
Cosa fai attualmente in quella città, il cui nome in Italia di solito evoca Pablo Escobar o René Higuita?
Ho un’azienda che produce, esporta e vende quattro diversi brand legati al settore ortopedico e della salute, intimo, bambini e sportivo. Siamo leader in America Latina e produciamo in Colombia, Venezuela, Perù ed Ecuador. Vivo a Medellín da cinque anni e sì, di solito molti conoscono questa città a causa di Pablo Escobar e del narcotraffico. Però va detto che, dopo quasi trenta anni dall’epoca in cui il boss “regnava” e circa venti dalla fine delle varie guerre di successione, la città è diventata completamente diversa. È anzi una delle città più vivibili che abbia mai visto e non a caso ho scelto di restarci. Comunque ricordo bene quel periodo, perché la prima volta che arrivai in Colombia era a metà degli anni novanta. Pensate che il Mondiale di Messico ‘86 si doveva svolgere in questo Paese, ma l’impossibilità a garantire la sicurezza delle squadre di calcio e tanto meno del pubblico costrinse la Colombia a rinunciare, permettendo ad un’altra nazione americana di subentrare nell’organizzazione del campionato. In quel periodo anche il terrorismo era al suo apice ed era pericolosissimo anche viaggiare. I convogli di turisti che si spostavano da Medellín al mare si muovevano scortati dai carri armati dell’esercito.
Per me Medellín è stato amore a prima vista, oltre ad un esempio sociale di come si può trasformare la violenza in amore. Nella mia prima volta qui conobbi un’infermiera che lasciò il lavoro per la paura dei killer che venivano in ospedale ad uccidere i membri delle bande rivali, ecco che clima c’era precedentemente. Medellín si è completamente trasformata ed è considerata una delle città più innovative del mondo. Progetti sociali pazzeschi, come le lezioni di ballo o di pilates per strada. È l’esempio di come dei piani di sostegno sociale ben fatti possono ridare una dignità a gente povera o ex delinquenti. Molto successo lo ha avuto la musica nel trasformare la città, tanto per fare un esempio questa è la vera patria del reggaeton e moltissimi video di canzoni note vengono girati qui.
Anche il terrorismo non è più un problema. Il processo di pace ha dato i suoi frutti e i gruppi terroristici hanno dovuto mediare un accordo nel momento in cui erano in maggiore difficoltà militare e politica, oltre al fatto che avevano perso il controllo di molte parti di territorio. La guerriglia copriva circa un terzo del paese, quello meno accessibile e coperto dalla Foresta Amazzonica. Oggi ci si può muovere senza alcun problema grazie allo scenario politico completamente cambiato.
Facciamo un passo indietro, tu prima vivevi in Venezuela giusto?
Sì, vivevo in questo bellissimo e interessante luogo, ma adesso non è il momento migliore per andarci. Io sono letteralmente scappato in una sera del 2014 salendo su un autobus con uno zaino e un gatto per andare a Bogotà, la via di fuga più facile. In Venezuela avevamo un azienda con duecento operai che tuttora esiste, per via del fatto che le norme attuali impediscono fallimenti o chiusure di aziende. Sono arrivato in Venezuela durante l’era Chávez, nel momento più prospero della storia di questo paese. Il prezzo del petrolio era altissimo e assicurava ottimi introiti allo stato. Questo permetteva di finanziare grandi piani sociali. Il benessere era molto diffuso e la gente accumulava beni. Se avevi bisogno di un’auto era probabile che ne potessi comprare due, idem per un elettrodomestico o qualsiasi altra cosa. Se i margini d’impresa in un altro paese del Sudamerica erano circa il 25%, lì diventavano il 40%. Inizialmente la grande maggioranza della gente era con Chávez ma poi la sua leadership era diventata molto divisiva per il Paese, e l’opinione pubblica era spaccata tra essere pro o contro gli Stati Uniti. Lui in un primo momento non aveva manifestato chiaramente la sua volontà di passare da un sistema liberista ad uno socialista.
Cosa è successo poi con Maduro?
Molte cose si sono incrociate tra di loro e già durante gli ultimi anni di Chávez la situazione si stava deteriorando con una lottizzazione dei posti chiave dello Stato che veniva lentamente modificato ad immagine e somiglianza del sistema che governava. Assieme a questo va considerata una corruzione molto diffusa e la discesa del prezzo del petrolio che ha impoverito notevolmente lo stato venezuelano. Nel 2013 Chávez è morto e Maduro è salito al potere in qualità di vicepresidente. Lui si è poi candidato alle elezioni presidenziali nonostante le leggi venezuelane non glielo permettessero visto che copriva la carica di Presidente ad interim, ma la corte costituzionale controllata dai suoi uomini ha concesso questa possibilità.
Il sostegno popolare a Maduro è minore sia per la mancanza di carisma rispetto a Chávez, per il crollo del prezzo del petrolio e per alcune decisioni politiche allarmanti che hanno portato a decisioni arbitrarie. Le aziende che compravano prodotti in dollari e non nell’iperinflazionato Bolivar, la moneta locale, rischiavano di essere tacciate di “tradimento alla patria”, con la conseguenza dell’esproprio e dell’arresto dei titolari. Di volta in volta veniva deciso chi era o non era nemico del governo. In questo contesto ho deciso di allontanarmi dal paese dove tuttora sono proprietario di un’azienda, due case e un’auto. Come ho raccontato ho preso uno zainetto, un gatto e sono salito nell’autobus che mi ha portato in Colombia.
L’azienda ancora esiste perché non può chiudere, fallire e neppure licenziare il personale. I dipendenti vengono pagati con una moneta che non ha alcun valore. Con uno stipendio attuale è possibile procurarsi circa due dollari.
Quale situazione economica vive la Colombia?
La Colombia non è un paese ricco ma ha risorse economiche poiché esporta petrolio, caffè, smeraldi e fiori. Ha un’ottima agricoltura in grado di sostenere il fabbisogno nazionale. L’età media della popolazione è molto bassa, circa 24 anni, e la povertà è molto diversa da quella che si può incontrare in paesi come l’India o il Brasile. Incontrando un povero in una favela colombiana è assolutamente probabile finirci a bere insieme una birra piuttosto che rischiare di essere rapinati. Credo che sia un paese molto adatto se qualcuno vuole investire. I ristoranti sono sempre pieni e il conflitto sociale è meno forte rispetto ad altri paesi dell’America Latina. Ricchi e poveri si frequentano e non è raro che finiscano anche per formare coppie assieme. Il costo della vita è molto basso, si può mangiare con due euro e dormire con sei euro quando cominci a conoscere il Paese. La Colombia è sicura e più piccolo e sperduto è il paesino che si frequenta e maggiore sarà la sicurezza rispetto ad una grande città.
Come siete messi con il Coronavirus e quali sono state le conseguenze del Covid-19 nel tuo lavoro?
A causa delle difficoltà che avrebbe potuto avere il sistema sanitario, qui hanno chiuso tutto ben prima dell’inizio della pandemia. In realtà la chiusura non è stata molto seria e la gente continua a muoversi anche per le necessità legate al vivere. Pochi casi, pochi morti ma anche pochi tamponi e questo la dice lunga su quella che potrebbe essere la reale situazione epidemica. Probabilmente anche l’età media molto bassa limita la mortalità. La zona del Paese più colpita è quella della capitale, mentre qui a Medellín i numeri ufficiali raccontano di 1.700 casi e 7 morti. C’è da sperare che il clima caldo aiuti a mantenere la situazione su questi livelli.
In azienda siamo aperti con tutte le misure di sicurezza attive come mascherine, guanti, occhiali, cappelli e misurazione della temperatura. Dal punto di vista economico è un disastro, con cali del 95% ad aprile e del 70% a maggio rispetto al 2019. Il commercio in internet, poco sviluppato finora, è notevolmente cresciuto. Il nostro obiettivo è proteggere i posti di lavoro e su questo lo Stato ci sta aiutando pagando il 33% dello stipendio e pagando al nostro posto l’assistenza sociale per i dipendenti. Ci sono anche alcuni giorni speciali dove viene abbattuta l’Iva. Per essere un paese latinoamericano le decisioni del governo colombiano sono un riferimento importante per gli altri stati. I disoccupati hanno un piccolo sussidio e i prodotti di prima necessità. Come ovunque c’è malcontento e il desiderio che lo Stato faccia di più, anche se secondo la mia opinione il governo sta aiutando più di quanto potessi prevedere.
Quali progetti hai per il futuro?
L’unico vero obiettivo è essere felici. Nel mio caso le variabili sono la natura e le emozioni, il resto è molto relativo. A Concepción, a circa 50 chilometri da Medellín, ho acquistato una piccola fattoria dove mi diverto a coltivare cose strane, dai broccoli romani alle piante indiane. Posso fare il bagno nel fiume in mezzo alle montagne. Il paesino in stile coloniale spagnolo è privo di auto o motorini, ci sono solo mucche, capre e cavalli. La regione di Medellín mi ha regalato 450 piante e sostiene tutti gli agricoltori in questo modo. I prezzi dei servizi in campagna sono molto bassi, pago circa sette euro di bollette ogni mese. Il costo sociale di presidiare questi piccoli paesi è a carico di chi vive in città, che paga i servizi una cifra maggiore. Insomma, in attesa di poter tornare a godermi la Valtiberina da Montecasale, mi rilasso nella mia piccola fattoria.