Le prime settimane del 2022 ci regaleranno l’emozione della quattordicesima elezione di un Presidente della Repubblica italiana. Con ogni probabilità sarà anche l’ultimo ad essere eletto da una platea di oltre mille grandi elettori dato che con le prossime elezioni legislative sarà diminuito di un terzo il numero dei parlamentari. All’elezione del nuovo presidente prenderanno parte 629 deputati, 320 senatori (314 eletti più 6 senatori a vita) e 58 rappresentanti delle regioni, tre per ognuna con l’eccezione della Valle d’Aosta che ha un solo rappresentante. Al momento sia alla Camera che al Senato c’è un seggio vacante a causa dell’elezione a Sindaco di Roma dell’onorevole Roberto Gualtieri del Partito Democratico e della scomparsa del senatore leghista Paolo Saviane.
Le regole del gioco
La Costituzione italiana definisce il rituale che avviene in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica. Un mese prima della scadenza del mandato di Sergio Mattarella, il Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico dovrà convocare il Parlamento in seduta comune integrato dai rappresentanti delle regioni. Senatori, deputati e delegati regionali saranno convocati a Montecitorio presso la sede della Camera dei Deputati in un giorno successivo al 3 gennaio. L’Assemblea sarà presieduta da Roberto Fico e della Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. La Costituzione prevede nelle prime tre votazioni un quorum di due terzi degli aventi diritto. Il numero dei grandi elettori, che potrebbe sempre cambiare a causa di dimissioni, decadenze o decessi, oggi è di 1.007. La maggioranza qualificata di due terzi è 672. Il voto è segreto e avviene per appello nominale. Al proprio turno l’elettore entra in una cabina dove può scrivere il nome che vorrà sostenere per poi mettere la scheda in un’urna. Lo spoglio dei voti avviene subito dopo e i presidenti dei due rami del Parlamento comunicheranno l’esito. Se in uno dei primi tre scrutini non si raggiunge la maggioranza prevista, la Costituzione indica che dal quarto in poi si possa essere eletti con la maggioranza assoluta degli aventi diritto. Attualmente basterebbero 504 voti.
Può essere eletto Presidente della Repubblica qualsiasi cittadino italiano che abbia compiuto cinquanta anni di età e che goda dei diritti civili e politici. In caso di elezione i presidenti dell’assemblea raggiungono il presidente eletto e gli chiedono se intende accettare l’elezione. A questo punto il nuovo Presidente entrerà in carica nel giorno in cui giurerà davanti alle camere in seduta comune. Dal giorno del giuramento si calcola la durata dei sette anni di mandato presidenziale.
I Capi dello Stato provvisori
Il primo Capo dello Stato non fu eletto da nessuno poiché entrò in carica per effetto della decadenza di Re Umberto II alla proclamazione del risultato del referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946. Il Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi assunse la funzione di capo provvisorio dello stato per circa due settimane fino a quando la neoeletta Assemblea Costituente elesse il liberale Enrico De Nicola. All’epoca, non esistendo ancora la futura Costituzione, il quorum richiesto fu di tre quinti dei membri della Costituente che fu raggiunto al primo scrutinio. De Nicola fu anche il primo Presidente a dimettersi, dato che a metà del 1947 rinunciò all’incarico. La Costituente non potendo respingere le dimissioni lo rielesse subito dopo sempre con ampia maggioranza. A quel punto il mandato continuò fino all’approvazione della Costituzione e di conseguenza, vista una delle disposizioni transitorie, De Nicola divenne il primo presidente della Repubblica italiana.
La prima Repubblica
Nel 1948 per la prima volta il Presidente fu eletto seguendo il dettato costituzionale. Al primo scrutinio De Nicola era in vantaggio ma le camere riunite elessero al quarto scrutinio Luigi Einaudi, anch’egli proveniente dal Partito Liberale Italiano. Quello di Einaudi fu il primo mandato della durata di sette anni. Nel 1955 salì al Quirinale il democristiano Giovanni Gronchi che fino a quel momento era Presidente della Camera. Eletto al quarto scrutinio, anche nel suo caso il mandato durò sette anni. Più problematica l’elezione nel 1962 del democristiano Antonio Segni. Ben visto dalle realtà di destra come missini e monarchici, non venne sostenuto in nessun scrutinio dai partiti di sinistra. Fu eletto alla nona votazione e il suo mandato durò poco più di due anni, visto che a metà estate del 1964 fu colpito da una trombosi. Dichiarato in condizione di impedimento temporaneo fu sostituito per cinque mesi dal Presidente del Senato Cesare Merzagora fino a quando fu in condizioni di firmare le proprie dimissioni a dicembre del 1964. Quella di Merzagora è stata la più lunga supplenza del Capo dello Stato in Italia, mentre quello di Segni il mandato più breve fino ad oggi, escludendo il bis di Giorgio Napolitano.
Negli ultimi giorni del 1964 venne eletto Giuseppe Saragat dopo ben ventuno scrutini e uno stallo di due settimane. Decisivo fu il socialista Pietro Nenni che chiese a socialisti e comunisti di convergere sul nome socialdemocratico. All’elezione successiva, nel 1971, parteciparono per la prima volta i delegati delle regioni portando il collegio dei grandi elettori ad oltre mille persone. A Saragat seguì il democristiano Giovanni Leone dopo una lunga e complicata serie di scrutini, ben ventitré, durata quindici giorni. Sarebbe rimasta la serie di votazioni più lunga della storia della Repubblica e anche quella conclusa con il minor numero di voti oltre il quorum previsto. Leone raccolse solo tredici voti più del necessario dopo che nello scrutinio precedente aveva mancato l’elezione per un solo voto. Fu il primo presidente a sciogliere le camere in modo anticipato e lo fece ben due volte. Lo scandalo Lockheed lo travolse costringendolo alle dimissioni anticipate di sei mesi rispetto alla fine del proprio mandato. Sempre proclamatosi innocente, è stato prosciolto da ogni accusa anni dopo.
L’elezione del 1978 vide per la prima volta un socialista diventare Presidente della Repubblica. Anche in questo caso il parto fu lungo e travagliato e ci vollero sedici scrutini per vedere convergere su Sandro Pertini la più ampia maggioranza mai registrata (82,3%), con tutte le principali forze politiche favorevoli al suo mandato. Sette anni dopo i partiti cominciarono a lavorare in anticipo per scegliere il successore di Pertini. Il democristiano Francesco Cossiga, Presidente del Senato in carica, venne eletto al primo scrutinio con un’ampia maggioranza. Fu il più giovane presidente con “appena” 57 anni al momento dell’elezione ed il primo dai tempi di De Nicola ad essere eletto nella prima votazione. Negli ultimi due anni di mandato Cossiga cambiò il modo di interpretare il ruolo di Presidente. Iniziò a dare le celebri “picconate” al sistema e secondo alcuni andò ben oltre quelli che dovrebbero essere i poteri presidenziali. Proprio per questo fu il primo presidente messo in stato d’accusa. Cossiga si dimise due mesi prima della fine del proprio mandato, all’indomani delle elezioni politiche dell’aprile del 1992.
Dalla seconda Repubblica ai giorni nostri
L’elezione del democristiano Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca neoeletto Presidente della Camera dei Deputati, fu figlia di una situazione di stallo e del bisogno di rispondere in modo forte alla strage di Capaci avvenuta nelle ore precedenti al sedicesimo scrutinio. Le principali forze politiche indicarono e sostennero una figura istituzionale per ridare immediata forza alle istituzioni del Paese. A Scalfaro toccò il difficile compito di gestire le trasformazioni del sistema politico italiano passato dal sistema di elezione proporzionale al maggioritario, con conseguente rivoluzione del panorama politico. Convenzionalmente e giornalisticamente parlando si ritengono le elezioni del 1994 il confine tra prima e seconda repubblica. Nel 1999 per la prima volta il Presidente non fu espressione dei partiti ma venne indicato dalle principali forze politiche l’ex governatore della Banca d’Italia ed ex primo ministro Carlo Azeglio Ciampi. Venne eletto al primo scrutinio con ampia maggioranza.
Sette anni dopo tornò al Quirinale un esponente di un partito politico. Giorgio Napolitano diventò il primo ex comunista a ricoprire la prima carica dello Stato e fu eletto al quarto scrutinio con i soli voti della maggioranza uscita dalle elezioni politiche svolte poche settimane prima. Napolitano fu protagonista anche della prima rielezione di un presidente italiano. Nonostante più volte avesse dichiarato di non voler essere eletto per un secondo mandato, cedette alle pressioni unitarie delle principali forze politiche, ad esclusione del Movimento 5 Stelle, per assumere un incarico che potrebbe essere definito “temporaneo”. L’elezione bis di Napolitano, al sesto scrutinio, è passata alla storia anche per i franchi tiratori che fecero saltare le candidature di Franco Marini e Romano Prodi rispettivamente al primo e al quarto scrutinio. Marini totalizzò il curioso record di ottenere il massimo numero di voti, 521, senza diventare presidente. Con lo stesso numero di preferenze al quarto scrutinio sarebbe stato ampiamente eletto.
Dopo un anno e mezzo, come più volte preannunciato, Napolitano si dimise per stanchezza conseguente all’avanzare dell’età. Nel gennaio del 2015 si svolse l’elezione che permise all’attuale presidente Sergio Mattarella di essere eletto grazie ad un ampio accordo fra forze politiche al quarto scrutinio. Mattarella al momento dell’elezione non era iscritto a nessun partito, seppure fosse di orientamento di centrosinistra. Alla conclusione del suo mandato diventerà Presidente Emerito e Senatore a vita, salvo rinunzia. Al momento l’unico senatore a vita ex capo dello stato in vita è Giorgio Napolitano.
Tra le dodici persone che nella storia italiana hanno ricoperto il ruolo di Presidente non c’è mai stata una donna e neppure una persona che abbia vissuto la propria intera vita nell’Italia repubblicana, ovvero nata dopo il 2 giugno del 1946.