Il giorno 8 maggio 1945, alle 23.01 dell’ora dell’Europa Centrale, la Germania nazista cessò qualsiasi ostilità mettendo fine alla Seconda Guerra Mondiale sul continente europeo. La capitolazione tedesca fu firmata una prima volta la mattina del giorno 7 a Reims dal Generale Alfred Jodl su ordine di Karl Dönitz, Presidente di quello che restava del Reich. Nella tarda serata del giorno seguente fu ripetuta la scena a Berlino con protagonisti il Generale Wilhelm Keitel e quello sovietico Georgij Žukov. Questo è il principale motivo per il quale in tutta Europa si ricorda la fine della guerra l’8 di maggio mentre in Russia e negli stati dell’ex Unione Sovietica il 9 maggio è il “Giorno della Vittoria”. Per dovere di cronaca sia Keitel che Jodl tornarono nelle zone ancora sotto la sovranità tedesca, furono arrestati poco dopo e condannati a morte al Processo di Norimberga. Karl Dönitz se la cavò con dieci anni di reclusione.
A 75 anni da quei giorni che hanno segnato la storia d’Europa e del mondo è necessario constatare come la ricorrenza abbia assunto un valore molto diverso tra le nazioni e popoli protagonisti di quell’epoca. Nello spazio ex sovietico, contrariamente a quando avviene negli altri paesi, il “Giorno della Vittoria” è una festa colorata di rosso nel calendario, un evento molto sentito e partecipato dalla gente. Del resto è praticamente impossibile trovare una famiglia nella quale non ci sia stato almeno un lutto negli anni della guerra, considerati i circa 26 milioni di morti tra militari e civili sovietici. Per avere un criterio di valutazione, nell’intera guerra, in ogni fronte del pianeta, morirono circa 54 milioni di persone. I caduti italiani, tra militari, civili ed internati ebrei furono 472.000, quelli americani 400.000 (compreso il fronte giapponese), i tedeschi sette milioni e i giapponesi 2 milioni e mezzo, tra cui le vittime delle due bombe atomiche americane di Hiroshima e Nagasaki.
Pavel Alekseevič Zimin era uno dei bisnonni materni di mia figlia e morì ad Orël, nella Russia occidentale, il 29 dicembre del 1941 cercando di fermare l’avanzata nazista. Aveva trentasei anni, era partito per la guerra il giorno d’agosto in cui nasceva sua figlia, colei che diverrà la madre di mia moglie. Pavel morì senza aver rivisto quella neonata e di casi come questo in Russia, Ucraina, Bielorussia ce ne furono parecchi. Ogni 9 maggio in tutte le città il “Reggimento Immortale” sfila in ricordo delle vittime della Grande Guerra Patriottica, il nome attribuito al conflitto tra il 1941 e 1945 da parte dei popoli sovietici. Ogni famiglia percorre le strade della propria città con in mano la fotografia del parente eroe immortale caduto in guerra, e Pavel partecipa regolarmente a questo evento in più di una città, perché non mancano nipoti e pronipoti che lo ricordano nonostante non l’abbiano mai conosciuto. Nei parchi dedicati alla Seconda Guerra Mondiale è possibile incontrare i pochi veterani rimasti e assistere a spettacoli che i bambini delle scuole organizzano per non dimenticare. È molto emozionante vedere dei novantenni ricevere mazzi di fiori e ringraziamenti da parte di persone nate decine di anni dopo la fine della guerra se non addirittura in un altro secolo. Mia moglie, continuando ad usare la mia famiglia come esempio, non può comprare fiori per suo nonno Pavel e naturalmente non può parlare con lui, ma nel parco della vittoria della sua città incontra ogni 9 maggio altri nonni ancora vivi ai quali sente il dovere di dire grazie per quello che hanno fatto oltre 75 anni prima.
Da quando i rapporti tra Russia, Usa e molti paesi europei si sono raffreddati a causa dei problemi legati alla Crimea, i leader occidentali non partecipano più alla storica parata che avviene nella Piazza Rossa il 9 maggio. Queste assenze sono vissute dal popolo russo come una profonda offesa a coloro che hanno perso la vita per sconfiggere il nazismo e dare un futuro di libertà all’Europa. Questo sentimento non è retorica politica volta a rafforzare la leadership politica russa, ma un disagio che la gente vive in modo forte. Per i russi è inspiegabile che gli europei abbiano smarrito il valore di questo giorno e che non sia anche in occidente un giorno festivo.
Solo il Covid-19 è riuscito dove non ce l’hanno fatta la perdita di memoria e il trascorrere del tempo, così questo particolare 9 maggio ha un sapore molto diverso. A causa della pandemia la maggior parte degli eventi legati a questo anniversario non si possono svolgere. Parata sulla Piazza Rossa, marcia del Reggimento Immortale, incontro con i veterani e altre tradizioni che avrebbero visto gente a stretto contatto sono rinviati ai primi giorni di settembre in occasione dei 75 anni dalla fine della guerra anche sul fronte giapponese. Resteranno le pattuglie acrobatiche dell’aeronautica militare, i fuochi d’artificio e un immancabile discorso televisivo del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.