Stavolta la rubrica Oltre il Tevere va fisicamente sull’altra sponda del fiume sacro ai destini di Roma, visto che affronteremo il difficile tema di come spesso sono percepite e interpretate le parole pronunciate dal Papa. Non essendo vaticanisti certificati ci limiteremo a proporre spunti per riflessioni mettendo a disposizione parole effettivamente pronunciate e tratte da fonti ufficiali del Vaticano.
Le frasi di Papa Francesco
Hanno avuto grande eco le recenti parole di Papa Bergoglio sulla proprietà privata. Il tema, già affrontato in modo approfondito nella recente enciclica Fratelli tutti è stato ripreso dallo stesso Pontefice alcuni giorni fa in una riflessione rivolta ai giudici di America e Africa. Sarà anche la coincidenza con il dibattito politico in molti paesi europei, Italia in primis, su qualche forma di tassa patrimoniale per cercare di fare cassa in tempo di Covid-19, ed ecco che le parole di Papa Francesco servono a collocarlo ulteriormente da parte di alcune testate giornalistiche nella nuova categoria dei “Papi comunisti”. Francesco ha sottolineato in diversi passaggi che:
“occorre costruire una nuova giustizia sociale partendo dal presupposto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata”;
“diamo ai poveri le cose indispensabili, non diamo loro le nostre cose, né quelle di terzi… restituiamo loro ciò che è loro”;
“il diritto di proprietà è un diritto naturale secondario derivante dal diritto che hanno tutti, nato dalla destinazione universale dei beni creati”;
“non c’è giustizia sociale che possa fondarsi sulla iniquità, che presuppone la concentrazione della ricchezza”.
Certamente il pontificato di Bergoglio è apparso fin dal proprio inizio apparentemente in discontinuità con aspetti consolidati degli orientamenti della Chiesa e su alcuni temi, soprattutto in quelli economici, ha ricordato quello di Giovanni Paolo I nei pochi interventi pubblici che fece in tempo a fare nel suo brevissimo periodo alla guida della Chiesa. È necessario, però, anche affrontare le affermazione del Pontefice con un certo distacco giornalistico e senza strumentalizzazioni di alcun genere. Se queste parole potrebbero forse essere una sorpresa per i giovanissimi, per tutti coloro che hanno qualche anno sulle spalle dovrebbero ricordare che quasi tutte queste frasi non vengono da idee estemporanee del Papa argentino.
Onde evitare errate o strumentali interpretazioni di concetti per nulla nuovi siamo andati a visitare il sito internet del Vaticano (www.vatican.va), dove è possibile leggere discorsi, angelus, lettere, encicliche, esortazioni e preghiere pronunciate da ogni Papa dai tempi di Leone XIII (1878-1903) ad oggi. Ancora più semplice scrivere “proprietà privata” su un qualsiasi motore di ricerca e abbinarlo di volta in volta ad un pontefice del passato.
Leone XIII, Pio XI e la dottrina sociale della Chiesa
Proprio Papa Pecci alla fine del XIX secolo si occupò del tema della proprietà privata nell’importante enciclica Rerum Novarum del 1891. Con questo documento la Chiesa si posizionava per la prima volta nel dibattito politico emergente nella società europea. Le teorie comuniste e socialiste stavano cominciando a fare breccia nel proletariato e il mondo cattolico si stava dividendo tra coloro che ritenevano utile essere vicino alle esigenze di operai e contadini mitigando l’aspetto ateista delle nuove dirompenti ideologie e chi invece sosteneva che il liberismo sarebbe stato utile ad un progresso collettivo della società. Pecci affermava che lo Stato aveva la facoltà di moderare l’uso della proprietà privata in relazione alla funzione sociale, ma allo stesso tempo ribadiva la sacralità dell’esistenza stessa di quello che veniva definito come un diritto naturale. Una via mediana relativamente al conflitto tra capitale e lavoro che stava nascendo anche in Italia. Nel 1931, in pieno Fascismo e in occasione dei quaranta anni dell’enciclica di Leone XIII, Papa Achille Ratti (Pio XI) pubblicò la Quadragesimo Anno, figlia della crisi economica del 1929. Oltre ad una naturale condanna del totalitarismo del sistema comunista e del capitalismo sfrenato si soffermò di nuovo sulla proprietà privata definendola “naturale”, “orientata al bene comune” e necessariamente moderata dallo Stato, di fatto confermando l’attualità del pensiero di Papa Pecci.
Roncalli, Montini e Luciani
Quasi novanta anni dopo, dalla bocca di Albino Luciani, pontefice appena eletto che passerà alla storia come Giovanni Paolo I, uscì la seguente frase in risposta a chi criticava il Vaticano per il comportamento speculativo della propria banca:
“La proprietà privata per nessuno è un diritto inalienabile e assoluto. Nessuno ha la prerogativa di poter usare esclusivamente dei beni in suo vantaggio, oltre il bisogno, quando ci sono quelli che muoiono per non aver niente… anche noi privati, specialmente noi di chiesa, dobbiamo chiederci: abbiamo davvero compiuto il precetto di Gesù che ha detto ama il prossimo tuo come te stesso?”
Papa Luciani con alcune semplici e forti dichiarazioni sembrava voler prendere una strada di riforma delle finanze pontificie e della dottrina economica della Chiesa in generale, cosa che non metterà in pratica per la prematura morte, avvenuta un mese dopo la propria elezione e il giorno successivo all’udienza in cui pronunciò questo storico discorso.
In realtà le forti parole pronunciate da Giovanni Paolo I sono una conferma della continuità con il pontificato del suo predecessore Paolo VI che nella sua enciclica Populorum Progressio aveva affermato lo stesso concetto: “La proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario”.
L’enciclica in questione era dedicata ai popoli del terzo mondo. Pubblicata nel 1967, sollevò molto dibattito per il fatto che giustificava la ribellione dei popoli oppressi, anche con l’uso della forza. Alcuni passaggi che riportiamo sono di fatto molto più “rivoluzionari” della attuale dottrina terzomondista di Papa Francesco.
“Si tratta di un insegnamento di particolare gravità che esige un’applicazione urgente. I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello”.
“Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere sviluppo autentico, dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”.
Papa Montini sottolineò anch’egli la continuità della dottrina della Chiesa su questo tema rifacendosi al proprio predecessore Giovanni XXIII e alla sua enciclica del 1963 Pacem in Terris.
Parte della stampa conservatrice italiana accusò sia il documento di Roncalli del 1963 che quello di Montini del 1967 di essere troppo di “sinistra” ribattezzando le due encicliche Falcem in Terris e Avanti Populorum.
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
Passando ai Papi considerati più conservatori come Giovanni Paolo II o Benedetto XVI si può facilmente scoprire come anche nel loro caso non c’è alcuna mutazione di pensiero per quanto riguarda la proprietà privata.
Nel 1991, dopo il crollo del sistema comunista nell’Europa orientale e poco prima del collasso dell’Unione Sovietica Papa Wojtyła scriveva l’enciclica Centesimus Annus, che forse non casualmente fu pubblicata il primo maggio, oltre che nel centenario della Rerum Novarum di Leone XIII. Nel testo Giovanni Paolo II ribadisce che “la proprietà privata non è un valore assoluto” e relativamente al confronto tra marxismo e capitalismo sostiene che
“una società di libero mercato possa conseguire un soddisfacimento più pieno dei bisogni materiali umani di quello assicurato dal comunismo (…) escludendo egualmente i valori spirituali. In realtà, se da una parte è vero che questo modello sociale mostra il fallimento del marxismo di costruire una società nuova e migliore, dall’altra, negando autonoma esistenza e valore alla morale, al diritto, alla cultura e alla religione, converge con esso nel ridurre totalmente l’uomo alla sfera dell’economico e del soddisfacimento dei bisogni materiali”. Si ripete che la Chiesa “riconosce la giusta funzione del profitto” ma si specifica che proprio il profitto non debba essere “l’unico indice delle condizioni dell’azienda. È possibile che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell’azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità. Oltre ad essere moralmente inammissibile, ciò non può non avere in prospettiva riflessi negativi anche per l’efficienza economica dell’azienda. Scopo dell’impresa, infatti, non è semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esistenza stessa dell’impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società. Il profitto è un regolatore della vita dell’azienda, ma non è l’unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali per la vita dell’impresa”.
Infine sottolineando come il diritto alla proprietà privata sia legittimo, si ribadisce, citando il documento di cento anni prima, come debba essere subordinato “alla volontà di Gesù Cristo, manifestata nel Vangelo”, facendo intendere che forse non è il mero arricchimento l’insegnamento principale del figlio di Dio.
Diciassette anni dopo Wojtyła e centodiciassette dopo Leone XIII, è l’attuale Papa emerito Benedetto XVI nel messaggio per la Quaresima 2008 a dire cose che non si discostano affatto dalle recenti prese di posizione di Bergoglio e di tutti i suoi predecessori:
“Secondo l’insegnamento evangelico, non siamo proprietari bensì amministratori dei beni che possediamo: essi quindi non vanno considerati come esclusiva proprietà, ma come mezzi attraverso i quali il Signore chiama ciascuno di noi a farsi tramite della sua provvidenza verso il prossimo”.
Ratzinger ribadisce un concetto espresso più volte da tutti i Papi del XX secolo, ovvero che “i beni materiali rivestono una valenza sociale, secondo il principio della loro destinazione universale”.
Proprietà privata e tassa patrimoniale
Non è compito nostro collegare il tema della proprietà privata affrontato in centotrenta anni di storia della Chiesa e il dibattito politico in corso sulla ipotesi di tassa patrimoniale, come proposto da alcune forze politiche presenti in parlamento. Semmai questo è un lavoro fatto nei giorni scorsi dalla grande maggioranza dei media di carattere nazionale, in modo poco utile a capire nel modo migliore l’una o l’altra cosa. Quello che è certo è che Papa Francesco non si è inventato nulla di nuovo e chi lo definisce estremista per le dichiarazioni sulla proprietà privata dovrebbe metterlo sullo stesso piano di gran parte dei suoi predecessori. Come già affermato, sicuramente in altri campi di cui si occupa la Chiesa questo Papa potrebbe anche aver detto cose più o meno rivoluzionarie, delle quali forse si parla poco preferendo tematiche utili ad essere strumentalizzate.
Per quanto riguarda la proposta di emendamento alla legge di bilancio che vede come primi firmatari i deputati Fratoianni e Orfini – che punta a tassare i patrimoni superiori al mezzo milione di euro del due per mille, e fino al 3% “una tantum” quelli sopra il miliardo di euro, e che viene giustificata come bisogno di redistribuzione della ricchezza all’indomani della Pandemia di Covid-19 – verrebbe da pensare quasi offensivo collegarla agli interventi sul tema fatti dalla Chiesa. Che sono di ampia veduta e destinati all’intera platea di chi osserva gli insegnamenti dei discendenti di san Pietro, e probabilmente non solo a quella piccola parte di popolazione che sarebbe colpita dall’eventuale patrimoniale in salsa italiana.