I “fatti di Rovereta”: l’Italia madrina di un colpo di Stato

Due governi e due piccoli eserciti pronti allo scontro in uno dei Paesi più piccoli d’Europa, con tante ingerenze esterne. Cosa è successo nell'autunno 1957 a San Marino, quali le conseguenze e le questioni ancora irrisolte

Blindati italiani a protezione del governo provvisorio a Rovereta

Dopo aver raccontato nella scorsa puntata i retroscena che portarono alla crisi politica avvenuta nella Repubblica di San Marino nel 1957, vediamo come si svolsero i fatti nel mese di ottobre, le conseguenze di questo scontro politico e militare e il ruolo dell’Italia in questa vicenda.

Nella serata di lunedì 30 settembre 1957 la stagione balneare è già terminata, ma a Rimini c’è uno strano movimento. I trentuno consiglieri democristiani, socialdemocratici, ex socialisti e naturalmente Attilio Giannini si incontrano in territorio italiano. Alla mezzanotte, quindi allo scadere del mandato dei Capitani Reggenti, i trentuno si trasferiscono poco oltre il confine sammarinese in un capannone industriale in località Rovereta. Qui si autoproclamano “governo provvisorio della Repubblica di San Marino” e non tarda l’immediato e precedentemente concordato riconoscimento della Repubblica Italiana, degli Stati Uniti d’America e di altri paesi occidentali. Lungo la linea di confine, che lambisce il manufatto, si schierano i carabinieri italiani in assetto di guerra e con mezzi blindati pronti alla possibile difesa del governo provvisorio, mentre all’interno del capannone si trovano fiancheggiatori ben armati sammarinesi ed italiani. Allo stesso tempo l’Italia chiude tutte le strade che collegano alla Repubblica di San Marino attuando un blocco totale del confine del piccolo Stato. Il governo provvisorio è composto dai democristiani Federico Bigi e Zaccaria Giovanni Savoretti, dall’ex segretario socialista Alvaro Casali e dal leader dei socialdemocratici Pietro Giancecchi. Si insedia nella palazzina adiacente al capannone di Rovereta, a 50 metri dal confine italiano: una posizione utile in caso di fuga, nonché finestra sul mondo.

La notizia arriva presto nella capitale sammarinese, e durante la giornata del primo ottobre, mentre anche i media italiani annunciano che nella piccola Repubblica ci sono due governi, al Pianello, nella piazza del Palazzo Pubblico, affluiscono i sostenitori dei social-comunisti. C’è movimento anche al capannone di Rovereta, e il governo del Palazzo teme che i rivoltosi, essendo armati, possano tentare di salire sul Titano. Successivamente autorizzerà quindi la formazione di una milizia volontaria, anch’essa naturalmente armata.

Gli eserciti in campo

A Rovereta, nonostante il capannone sia protetto dai blindati dei Carabinieri italiani che sostano pochi metri oltre il confine, viene creato anche un nuovo corpo di Gendarmeria che integra i fiancheggiatori della prima ora. Un giuramento solenne avviene il 4 ottobre sotto una bandiera della Repubblica di San Marino. I membri sono quasi tutti ex carabinieri ed ex militari italiani in congedo. Divise e mostrine sono nuove, come del resto le armi automatiche e semiautomatiche che fanno bella mostra della loro potenziale capacità. Una fascia al braccio con i colori di San Marino identifica i nuovi gendarmi. La creazione di questo piccolo esercito è una prova concreta di come si sia lavorato negli ultimi giorni di settembre per mettere in piedi il governo di Rovereta. Un esercito, seppur piccolo, non può organizzarsi con armi e divise nelle poche ore tra la mezzanotte del 30 settembre e il giuramento di poco successivo.

Un miliziano del governo provvisorio

La milizia volontaria autorizzata dai Capitani Reggenti è invece formata da ex partigiani e volontari. Si occupa di presidiare il centro di San Marino e in particolare le strade che conducono ai confini italiani. È armata con fucili da caccia e probabilmente da qualche residuo della prima e seconda guerra mondiale proveniente da ex formazioni partigiane sammarinesi ed italiane. Questo corpo militare improvvisato che con abiti borghesi pattuglia le vecchie strade del centro cittadino e quelle del resto del Paese è composto quasi esclusivamente da sammarinesi. La precisione nel ricostruire gli armamenti delle parti in causa è facilitata dalle numerose testimonianze fotografiche dell’epoca. In tutto questo va ricordato che nella Repubblica di San Marino esistevano e naturalmente esistono tuttora delle forze dell’ordine. La Gendarmeria di San Marino con il suo comandante Ettore Sozzi e gli altri corpi di polizia della Repubblica in questi primi giorni di crisi non intervengono in alcun modo, limitandosi a mantenere l’ordine all’interno dello stato e vigilando sull’incolumità dei cittadini. Dopo il primo ottobre entrambi i governi cercano di ottenere l’appoggio di Sozzi, che come vedremo avrà un ruolo nello sviluppo della crisi. Le parti inondano i media italiani ed esteri di comunicati e proclami rivendicando il ruolo di guida legittima di San Marino. Nel panorama italiano è facile intuire come prendono posizione le forze politiche.

La situazione in Italia

Il primo ministro Adone Zoli guida un governo democristiano monocolore con l’appoggio esterno del Movimento Sociale Italiano, determinante per avere la maggioranza in parlamento. Non è un caso che Zoli, originario di Predappio, è colui che nell’estate del ’57 autorizza la famiglia Mussolini a riportare nel paese natio la salma del Duce. Lo stesso Zoli, quando passerà a miglior vita, nel 1960, sarà sepolto a pochi metri dalla cripta della famiglia Mussolini. Nello stesso periodo storico il Segretario della Democrazia Cristiana è Amintore Fanfani, che con ogni probabilità ha un ruolo non secondario in questa delicata storia. Se Fanfani inizialmente non dà molto peso ad una vicenda valutata come un problema di politica interna, nel momento in cui i democristiani sammarinesi allacciano rapporti con le autorità diplomatiche statunitensi cambia decisamente atteggiamento, elevando la questione di San Marino a prima linea della guerra fredda. A tutto questo bisogna aggiungere che in vista delle elezioni politiche italiane del 1958 eliminare in modo anche non ortodosso l’anomalia rossa della Repubblica di San Marino può servire da monito per far comprendere l’utilità e la convenienza per l’Italia di una conferma al potere della Democrazia Cristiana.

Amintore Fanfani (a sinistra) e Adone Zoli negli anni cinquanta

Nel campo socialista e comunista le reazioni alla nascita del governo del capannone sono di denuncia di un golpe in atto sostenuto e fomentato direttamente dalle autorità italiane. È interessante leggere gli atti di due dibattiti parlamentari avvenuti il 2 e il 10 ottobre 1957 dove è lo stesso Zoli che giustifica le azioni del governo italiano. Nella rossa Romagna non mancano i comunisti, spesso armati, che potrebbero rendere consistenti le forze a sostegno del governo del palazzo. Il blocco dei confini da parte dell’Italia serve sia per prendere per fame i social-comunisti, sia per impedire l’afflusso di armi. La stampa italiana tratta quotidianamente la vicenda sammarinese, non sempre in modo serio e puntuale, e anche i media esteri cominciano ad interessarsi alla curiosa e drammatica storia, anche se l’opinione pubblica sembra più attratta dalla vicenda dello Sputnik e dai possibili sviluppi della superiorità sovietica nello spazio.

L’evolversi della situazione

Se i primissimi giorni sono caratterizzati da un irrigidimento delle posizioni e dalla freddezza data dalla convinzione di ogni parte di avere le proprie ragioni, successivamente viene ritenuto utile tentare una mediazione. L’embargo si fa sentire e il confine chiuso crea enorme disagio alla popolazione, impedisce di recarsi a lavorare e di fare rifornimento di medicinali e di tutti gli altri prodotti in vendita nelle attività commerciali. L’unico passaggio che resta aperto è quello del capannone di Rovereta, dotato di un ingresso verso l’Italia e un altro verso San Marino. Nel lato verso l’Italia si può entrare e uscire permettendo ai membri della nuova maggioranza, del governo provvisorio e del piccolo esercito di essere riforniti o di spostarsi in Italia per qualsiasi necessità. Sempre dallo stesso cancello entrano ed escono senza problemi i diplomatici italiani e statunitensi e perfino degli esuli ungheresi vittime della repressione sovietica dell’autunno di Budapest del 1956. La prima mediazione è portata avanti dal commendatore Oliviero Cappelli, un italiano che lavora per lo Stato sammarinese nonché membro della massoneria. Gode della fiducia di entrambe le parti e riesce a far incontrare in territorio italiano due delegazioni dei due governi. Ci sarebbe una prima bozza di accordo, ma tuttavia da Rovereta sembra che non si accetti di buon occhio la data delle elezioni anticipate al 3 novembre 1957. Il voto sarebbe un rischio troppo grande visto quello che successe nel 1951 dopo la crisi del casinò, quando gli elettori nonostante tutto confermarono la maggioranza social-comunista. Nel frattempo tra la milizia volontaria a protezione del Palazzo e tra gli ex carabinieri e militari arruolati come nuova Gendarmeria dal capannone sale la tensione, visto che il naufragare di qualsiasi accordo potrebbe portare ad azioni dirette per cercare di spodestare i Reggenti dalla capitale o l’espulsione del governo provvisorio fuori da San Marino. In questo stato di preoccupazione, dove una qualsiasi incomprensione potrebbe portare allo scontro armato, assume un ruolo importante il capitano della Gendarmeria Ettore Sozzi.

Ettore Sozzi esce dal capannone di Rovereta

La presa del Palazzo

Dall’Italia e dagli Stati Uniti, oltre al riconoscimento del governo di Rovereta, all’embargo nei confronti di San Marino e alle armi per la nuova gendarmeria, arrivano anche promesse di sostegni economici. Dall’Unione Sovietica e dall’Est Europa ci sono solo dichiarazioni di appoggio verso il governo social-comunista ma per evidenti ragioni geografiche non è possibile fare molto di più. I Reggenti invocano anche le Nazioni Unite, delle quali tra l’altro San Marino entrerà a far parte molti anni dopo. Per i Capitani Reggenti e per il leader del governo Gino Giacomini ci sono soltanto due scenari per uscire dalla crisi: il primo è lo scontro armato che potrebbe risolversi non solo in un bagno di sangue, ma anche con un isolamento internazionale di un territorio che fortemente dipende dall’Italia dal punto di vista sia economico che energetico. Il secondo è una resa onorevole per il bene del Paese, con la speranza di risolvere la crisi attraverso nuove elezioni. Il capitano Ettore Sozzi diventa parte attiva della mediazione con incontri con i due governi e con l’obiettivo di risolvere tutto in modo pacifico. Ci riesce al decimo giorno di crisi quando entrambi i governi lo delegano a gestire il Paese con il seguente appello congiunto:

«Il Governo della Repubblica ha affidato al Comando della Gendarmeria i pieni poteri per il mantenimento dell’ordine pubblico e per il ripristino della normalità. Ogni cittadino ha il preciso dovere di contribuire con alto senso di responsabilità e consapevole civismo perché vengano evitati disordini e non siano compiuti atti inconsulti lesivi dell’Autorità costituita e dell’incolumità personale.
Confida che la Repubblica in questa storica data ora saprà dare al mondo una dimostrazione di ordine e di civile convivenza tale da superare definitivamente i dolorosi contrasti che hanno turbato in questi ultimi anni la vita del paese».

Il giorno successivo la Reggenza capitola, affidando a Sozzi le chiavi del Paese, lasciando il Palazzo e annunciando di “cedere alla sopraffazione e di cessare da ogni resistenza, facendo offerta di questo sacrificio al bene supremo della Patria”.

Nella stessa giornata viene sciolta la milizia volontaria istituita dalla Reggenza. Tre giorni dopo, lunedì 14 ottobre, il nuovo governo e la nuova maggioranza lasciano il capannone di Rovereta e salgono nella capitale scortati da un centinaio di nuovi gendarmi, considerato che alcuni temono una possibile imboscata dei simpatizzanti del governo uscente. Restano le immagini di un corteo aperto da una grande bandiera della Repubblica di San Marino e un comizio dal balcone del Palazzo Pubblico dove si annuncia che “non vogliamo che il nostro popolo sia diviso in vincitori e vinti, in privilegiati e negletti, anzi desideriamo che ritrovi, nella fratellanza e nella concordia civica, la forza che donerà nuova vita alla Repubblica, nel rispetto della libertà secondo i principi della vera democrazia. Le classi lavoratrici, le categorie della produzione devono essere certe che si lotta, da parte di ciascuno di noi, per una maggiore giustizia sociale. I principi sociali del cristianesimo non potranno urtare contro un socialismo di ispirazione umana e democratica ma, anzi, le due idee saranno fra loro complementari e si integreranno a vicenda, nella realizzazione di una politica sociale ed economica che ridia a San Marino il suo vero volto”.

I sostenitori del governo provvisorio festeggiano l’esito della crisi

Le conseguenze politiche e giudiziarie

Gli articoli giornalistici o i servizi televisivi che raccontano la vicenda di Rovereta raramente rendicontano quello che successe dopo il 14 ottobre. Alle parole pronunciate dal balcone seguirono fatti molto diversi. Il Consiglio Grande e Generale tornò a riunirsi a fine ottobre eleggendo i due nuovi Capitani Reggenti, espressione della nuova maggioranza. Le dimissioni dei ventinove consiglieri socialisti e comunisti vennero ritenute valide e di conseguenza non fecero più parte dell’assemblea, surrogati da ventinove esponenti del Partito Comunista e del Partito Socialista tra i primi dei non eletti alle elezioni del 1955. Vennero annullate le elezioni previste per il 3 novembre istituite dalla precedente Reggenza. Molti funzionari statali vennero sostituiti e non molto tempo dopo lo stesso Ettore Sozzi perse il suo ruolo di capitano della Gendarmeria, che fu potenziata rendendo effettivi molti degli ex carabinieri e militari italiani in congedo che a Rovereta avevano giurato fedeltà al nuovo governo. Nel 1958 venne aperto un processo contro ventisette dei ventinove consiglieri della vecchia maggioranza. I restanti due erano Primo Marani e Giordano Giacomini, che ricoprivano il ruolo di Capitani Reggenti e quindi furono giudicati da una diversa corte. I ventisette subirono complessivamente 238 anni di carcere, di fatto trasformati in sospensione dei diritti civili e politici e l’impossibilità di lavorare per la pubblica amministrazione. Questo costrinse molti degli ex consiglieri ad emigrare. Agli ex Capitani Reggenti fu riservato un complicato processo che li ritenne responsabili di aver sciolto illegittimamente il Consiglio Grande e Generale, di aver impedito l’elezione dei loro successori, di aver attentato alla pace e concordia dei cittadini permettendo la creazione di una milizia, e di aver mantenuto la carica di Reggenti nonostante si fossero dimessi, assieme agli altri membri della ex maggioranza, dal Consiglio. Furono condannati alla perdita dei diritti civili e politici a vita, ma evitarono la pena dell’esilio.

Il leader socialista Gino Giacomini

Nel 1966 intervenne un’amnistia che condonò le pene. Il socialista Gino Giacomini, considerato il leader istituzionale e politico della maggioranza che governò San Marino dal 1945 al 1957, era però già morto nel 1962. È da notare che le pene nei confronti della ex maggioranza social-comunista furono in molti casi più severe di quelle comminate ai responsabili dell’epoca fascista sammarinese. Nel caso di Giacomini e dell’ex duce sammarinese Giuliano Gozi la condanna fu la stessa, se non per il fatto che Giacomini non fu esiliato, cosa invece toccata a Gozi per alcuni anni.

Le conseguenze economiche e le elezioni del 1959

Il ribaltone che portò il democristiano Federico Bigi a sostituire Gino Giacomini alla guida del Congresso di Stato fu salutato in Italia e nel mondo occidentale come una vittoria della democrazia. Il confine fu riaperto, il canone doganale adeguato e furono pagati gli arretrati, gli inglesi sistemarono i danni di guerra (anche se per una somma inferiore rispetto alle distruzioni e le morti realmente prodotte nel 1944) e l’Italia diede il via alla costruzione della superstrada che tuttora collega San Marino a Rimini. I lavori furono a carico dell’Italia pure sul lato sammarinese, sostituirono la mancata ricostruzione della linea ferroviaria distrutta dagli inglesi ed iniziarono non casualmente in prossimità delle elezioni politiche sammarinesi del 1959. Con tutti i principali leader del Partito Socialista e del Partito Comunista fuori gioco e con due anni di benefici economici frutto del ribaltone politico, non fu difficile per la Democrazia Cristiana e per il Partito Socialdemocratico conquistare 36 seggi sui sessanta disponibili alle elezioni del 1959. Comunisti (16) e socialisti (8) continuarono ad essere presenti nel Consiglio Grande e Generale, ma per un lungo periodo non ebbero più alcun ruolo.

Il compromesso storico e la cancellazione di Rovereta dalla memoria collettiva

Federico Bigi restò alla guida del Congresso di Stato fino al 1972. Nell’anno successivo, parallelamente alle dinamiche politiche italiane e al cambiamento di molti esponenti dell’epoca precedente, i socialisti entrarono nella maggioranza politica assieme alla Democrazia Cristiana. Dalla metà degli anni ’70 all’inizio degli anni ’90 la politica sammarinese ebbe una serie di maggioranze politiche strane e probabilmente anche figlie del “compromesso storico” italiano. Si alternarono maggioranze che videro prima i democristiani governare con i socialisti, poi un fronte unito delle sinistre ed infine anche un’esperienza tra comunisti e Democrazia Cristiana. Mettere al tavolo del governo i protagonisti su fronti avversi degli eventi del 1957 portò alla necessità di smettere di parlare di quanto avvenuto in quel lontano autunno. Per convenienza di tutti si tolse al 14 ottobre lo status di giorno festivo che gli era stato dato e si riabilitarono molti dei protagonisti sconfitti in quella vicenda. A Gino Giacomini venne dedicata un’importante strada nel centro di San Marino, considerato che prima degli eventi di Rovereta era stato un importante personaggio politico perseguitato dal fascismo e con ruoli decisivi nella rinascita della Repubblica dopo la guerra. Uno dei due Capitani Reggenti durante la crisi di Rovereta, Primo Marani, condannato a vita alla perdita dei diritti civili e politici per poi essere amnistiato, venne rieletto Capitano Reggente nel 1980. Stessa sorte per Ermenegildo Gasperoni, all’epoca Segretario del Partito Comunista, che consegnò le lettere di dimissioni dei consiglieri la mattina del 19 settembre, e che ricoprì il ruolo di Capitano Reggente a cavallo tra 1978 e 1979. Enrico Andreoli ebbe lo stesso ruolo di Gasperoni tra i socialisti e anche lui ebbe l’onore di ricoprire la massima carica dello stato ben due volte, nel 1974 e nel 1978. È evidente che si era aperta una nuova stagione dove una dopo l’altra tutte le forze politiche avevano abbracciato posizioni politiche meno radicali. Quella su Rovereta cessò così di essere una discussione ideologica per diventare, anche al giorno d’oggi, un dibattito sulla sovranità limitata di San Marino e sull’ingerenza dell’Italia nella politica del piccolo Stato.

Rovereta come esempio di imperialismo

L’intervento militare dell’Italia nella vicenda di Rovereta è risultato decisivo per stabilire i rapporti di forza tra le due parti protagoniste della crisi istituzionale nella Repubblica di San Marino. Ci si può tranquillamente avventurare nel dire che l’intervento italiano ha favorito un colpo di Stato al di fuori dei confini nazionali. Questo tipo di pressioni non si sono presentate spesso nella storia d’Italia, soprattutto in quella del dopoguerra, che vede la Penisola un soggetto di politica internazionale decisamente debole. Come abbiamo sottolineato precedentemente, l’approccio iniziale di Fanfani e anche di Zoli tendeva a declassare il problema San Marino a una questione di politica interna alla pari di quello che poteva significare un comune rosso della Romagna. La pressione degli Stati Uniti fu però decisiva per tutto quello che caratterizza questa storia: le sollecitazioni ai consiglieri a cambiare partito, il sostegno militare al governo ribelle ed infine l’impegno economico per la ripartenza della vita politica senza comunisti e socialisti nel territorio di San Marino. Rovereta fu un piccolo esempio di imperialismo dove i politici sammarinesi recitarono un ruolo di comparsa piuttosto che essere protagonisti, mentre l’Italia ebbe il compito di fare il lavoro sporco se non altro per vicinanza geografica, linguistica e culturale con San Marino. Nel suo piccolo l’evento del 1957 ci racconta che se in Italia per un qualsiasi motivo si fosse creata attraverso libere elezioni una maggioranza politica filocomunista, le dinamiche successive avrebbero ricordato quelle che colpirono la piccola repubblica nei primi dieci giorni di ottobre. Del resto in Italia realtà paramilitari come Gladio avevano il compito non solo di supportare energicamente un’opposizione ad eventuali invasioni venute da Est, ma anche di togliere terreno da sotto i piedi ad eventuali governi scomodi liberamente eletti. Seppure con le dovute proporzioni, quello che accadde in Cile nel 1973 ebbe dinamiche molti simili, come del resto sono riconducibili a questo tipo di azioni anche altri cambi di governo avvenuti in Sudamerica.

Un’auto diplomatica statunitense a Rovereta

Questioni mai risolte

Molte sono le domande rimaste aperte dopo i Fatti di Rovereta, mentre sono poche le fonti dove trovare risposte ed è raro l’interesse verso questo tema anche da parte dei sammarinesi. I protagonisti della vicenda sono quasi tutti scomparsi e a distanza di 63 anni gli eredi si sentono in dovere di difendere l’una o l’altra posizione, mentre sarebbe importante per tutti cercare di capire quello che accadde non tanto per processare la memoria, quanto per comprendere le dinamiche che ci furono dietro. Se l’episodio delle dimissioni in bianco presentate ai Reggenti il 19 settembre 1957 è sicuramente un atto politico grave e deprecabile, anche le pressioni precedenti sui consiglieri non furono da meno. Dai documenti desecretati dagli americani emerge con chiarezza che fu tentato di ottenere la conversione delle coscienze politiche con ogni mezzo possibile, senza disdegnare la corruzione o il ritorno economico che nuovi ruoli politici potevano garantire. Gli atti successivi al primo ottobre sono vicende che superano i confini della Repubblica. Se le false dimissioni e lo scioglimento del Consiglio Generale e Grande è un abuso tra sammarinesi, la creazione di una nuova gendarmeria con ex militari italiani, ben vestiti e ben armati, è un ingerenza di uno Stato estero. Sarebbe interessante capire, anche a distanza di anni, chi fornì le armi ai fiancheggiatori del governo provvisorio e successivamente alla nuova gendarmeria che giurò il 4 ottobre. Non si sta parlando di vecchi residuati o fucili da caccia ma di alcune armi da guerra in dotazione solo ad eserciti o corpi di polizia, strumenti bellici che non si trovano in armeria e con le quali non si effettuano attività venatorie. Da chi, dove e quando furono fabbricate le divise e le mostrine di questo piccolo esercito? Con enorme probabilità non a San Marino, ma si presume da qualche parte in territorio italiano. Chi erano i nuovi gendarmi e che percorso di vita militare ebbero prima e dopo Rovereta? La risposta a queste domande aiuterebbe a comprendere molte cose sulla presenza di questo piccolo e decisivo esercito.

Il capannone di Rovereta

Infine una curiosità forse marginale. Il capannone di Rovereta esiste tuttora oggi, seppure modificato e ampliato dal punto di vista strutturale. I campi che si osservano nelle foto d’epoca sono oggi zone industriali e attività commerciali. Il muro di cemento prefabbricato a difesa del capannone tuttora esiste anche se la quota del terreno attorno è leggermente diversa. Quell’attività industriale aveva sicuramente una proprietà. Quel titolare era concorde nel concedere il fabbricato come sede del governo provvisorio e soprattutto era a conoscenza di quello che sarebbe accaduto nella sua proprietà? Per chi desiderasse fare del turismo dedicato all’argomento lo stabile si trova alle coordinate N 43.989762, E12.514451 e conserva un ingresso verso San Marino in Strada dei Censiti e un altro proprio sopra il confine italiano verso la Superstrada SS72. In questo lembo di terra, tra quelli più settentrionali della Repubblica di San Marino, oggi spazio commerciale decisamente anonimo, è passato un pezzo importante di storia e di guerra fredda. Quel cancello verso Rimini è stato varcato da diplomatici americani ed italiani, esuli ungheresi, giornalisti stranieri e anche da un esercito del quale tuttora oggi non sono chiari molti dettagli. Può apparire strano che non sia diventato un luogo di ricordo di quegli eventi, anche se qualcuno sostiene che ci sia una targa che ricorda quell’ottobre del ’57 da qualche parte all’interno della struttura. Ma, come per molti dettagli di tutta questa storia, non è facile accertare la verità.

Le foto sono tratte per lo più dal settimanale Epoca e dal gruppo Facebook Amici della storia sammarinese. Risultano tutte in pubblico dominio ai sensi della L. 8/1991, art. 84. Un notiziario d’epoca con interessanti immagini filmate è visionabile a questo indirizzo.

Leggi anche la prima parte dell’articolo: Anni cinquanta, San Marino sull’orlo della guerra civile.

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