Gli effetti delle sanzioni occidentali sulla quotidianità dei russi

Su Oltre il Tevere un'indagine (parziale) che mostra come le azioni economiche sanzionatorie da parte di Europa, Usa e altre nazioni stiano avendo per il momento un impatto limitato sugli abitanti della Russia

Periodicamente ne arriva una nuova ondata, ma in Russia ormai non viene quasi neppure data la notizia. Con alcune di queste sanzioni la popolazione vive da otto anni esatti, cioè da quando la Crimea entrò a far parte della Federazione Russa, mentre quelle più recenti non hanno ancora ottenuto effetti percepibili, almeno nella quotidianità di una famiglia normale. Complessivamente il Paese sembra reggere e anche il sistema bancario dopo un paio di scossoni è tornato ad una apparente normalità. Sembrerebbe aver toccato di più il russo medio l’esclusione dalle Paralimpiadi, dalle qualificazioni dei mondiali di calcio e dall’Eurovision Song Contest e il ritiro forzato delle squadre impegnate nei trofei continentali dei vari sport. Proviamo ad analizzare cosa succede nella vita di una famiglia russa nelle ultime quattro settimane e quali sono le ricadute reali nella vita di tutti i giorni delle sanzioni che una parte del mondo ha applicato alla Russia dopo il fatidico 24 febbraio 2022.

Le sanzioni del 2014

La Crimea dichiarò la propria indipendenza dall’Ucraina a febbraio del 2014 per poi chiedere, attraverso un referendum, di entrare a far parte della Federazione Russa. Tuttora la data della consultazione popolare, il 16 marzo 2014, e quella del giorno successivo dell’ingresso nella Federazione Russa vengono ricordate con eventi pubblici.

A seguito di questi fatti l’Unione Europea, gli Stati Uniti d’America e il Canada applicarono una serie di sanzioni rinnovate periodicamente per gli otto anni successivi. La Russia rispose applicando dei provvedimenti simmetrici che danneggiarono il commercio in particolare modo con gli Stati europei. Tra questi l’Italia che aveva un ruolo fondamentale nell’export di molti prodotti. I risultati furono dei grossi cambiamenti soprattutto sugli scaffali dei supermercati, con la scomparsa di una serie di prodotti di origine europea.

Alcuni grandi marchi come Ferrero, Galbani o Barilla avevano già fabbriche in Russia o le spostarono successivamente, riuscendo a salvare la propria fetta di mercato. Idem per altri marchi internazionali. Molti prodotti continuarono ad arrivare attraverso Paesi terzi seppure a prezzi maggiorati, cosa che nel mercato del lusso toccò relativamente coloro che non hanno problemi economici.

Col tempo altre nazioni che non sanzionarono la Russia riuscirono ad occupare le fette di mercato lasciate libere dei Paesi europei. La maggior parte della frutta ora arriva da Serbia, Turchia e Marocco, le verdure dal Caucaso e dal centro Asia, i formaggi da Bielorussia, Sud America e addirittura Iran, mentre il vino, ironia della sorte, soprattutto dalla Crimea.

Gli otto anni di sanzioni dopo la crisi del 2014 sono stati un ottimo incentivo per sviluppare una produzione industriale e agricola di beni che in precedenza erano quasi del tutto importati. mentre molti paesi asiatici, in primis la Cina, hanno avuto modo di accaparrarsi nuovi sbocchi commerciali. Certamente senza i fatti di otto anni fa oggi l’economia russa sarebbe stata meno preparata ai cambiamenti economici che l’avrebbero riguardata in occasione della crisi attuale.

Una veduta dei magazzini Gum di Mosca

Le nuove sanzioni e le ricadute nei vari settori economici

Le pressioni economiche sulla Federazione Russa vengono attuate da alcune delle principali economie mondiali, ma non da tutte. Se Unione Europea, perfino Svizzera, Gran Bretagna, Usa, Canada, Giappone, Australia, Corea del Sud, Taiwan e Singapore agiscono in sintonia. restano partner commerciali della Russia molti altri stati. Tra questi spiccano i cosiddetti BRICS (Brasile, India, Cina e Sudafrica) ma anche i Paesi arabi, gli Stati post sovietici e la totalità dei paesi africani e sudamericani.

Trasporti aerei

La fase iniziale della chiusura dello spazio aereo ai vettori russi, e la conseguente risposta russa con la chiusura del proprio cielo, è iniziata con il mancato coordinamento della diplomazia europea con le proprie rappresentanze diplomatiche a Mosca. Infatti prima sono stati lasciati gli aerei a terra e poi si sono invitati i cittadini europei ad uscire dalla Russia, cosa poco semplice senza voli.

In realtà di fronte alla paralisi dei collegamenti diretti Europa-Russia aumentano gli affari per le compagnie aeree di Turchia, Israele, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Qatar e perfino Marocco, che non si sono mai fermate continuando a fare la spola tra Russia ed Europa. Unica realtà europea che non ha fermato i voli verso la Russia è Air Serbia. Per coloro che volessero evitare di pagare 400-600 euro per singolo viaggio ci sono tre alternative economiche via terra, utili sia come possibile viaggio verso la Russia che come ritorno. Seguendo traiettorie in uscita, la prima variante è raggiungere l’enclave russa di Kaliningrad, proseguire in autobus verso Danzica e da lì volare dove si preferisce. Le altre due sono i collegamenti sempre in bus da San Pietroburgo a Tallin o Helsinki per poi volare fino alla propria destinazione. Inutile sottolineare come questo problema impatti su tutti gli europei che lavorano o vivono in Russia e molto poco su una normale famiglia russa, se non era intenzionata ad andare a fare improbabili vacanze in Europa.

Inoltre, il 90% degli aerei della compagnia statale russa Aeroflot, ma anche di quelle private, sono in affitto da realtà non russe. L’intero parco aereo resta bloccato in Russia poiché con la chiusura del cieli le aeromobili non possono tornare dal loro proprietario e quindi neppure essere di nuovo affittate, con danni enormi proprio per i noleggiatori.

Settore bancario e carte di credito

Questo è il punto forte dell’azione sanzionatoria, in cui spicca il blocco di circa trecento miliardi di dollari che la Banca centrale russa possiede al di fuori dei propri confini. Bisogna fare delle premesse per comprendere meglio alcuni aspetti del sistema economico e bancario russo. Le principali banche che operano nel Paese sono controllate dallo Stato, titolare della maggioranza del pacchetto azionario. Negli anni passati la Russia ha accumulato un enorme tesoro statale, molto superiore come quantità al piccolo debito pubblico ancora esistente. Con questo tesoro lo Stato russo effettua operazioni di stabilizzazione della propria economia. Lo può fare con enorme facilità in tempi normali, con maggiore difficoltà in periodi come questo.

Anche le principali aziende energetiche e tutti i settori strategici sono controllati dallo Stato. La risposta al blocco dei sistemi bancari russi e alla perdita di valore del rublo è stata alzare i tassi di interesse. Oggi un correntista russo ottiene oltre il 20% di interessi sui propri depositi in moneta locale e il 2-3% se sono in euro o dollari. Prima del 24 febbraio il tasso era circa il 6-7% in rubli e 0% per le valute straniere. Se nella prima settimana della crisi russo-ucraina si sono viste effettivamente file per prelevare contanti o per cambiare rubli in dollari/euro, con il passare del tempo il sistema è riuscito a stabilizzarsi. La moneta ha avuto una svalutazione circa pari ai nuovi tassi di interesse. Negli ultimi anni il rublo oscillava tra gli 80 e 90 per un euro, ad inizio sanzioni è volato fino a 150 per poi stabilizzarsi da qualche giorno attorno ai 110.

Lo stop all’uso di carte Visa o Mastercard riguarda solo i russi che non possono usarle all’estero e gli stranieri che non possono usarle in Russia. All’interno del Paese tutto funziona regolarmente e a dire il vero anche il blocco totale non avrebbe ottenuto grandi risultati. Già da alcuni anni gli stipendi dei dipendenti pubblici, le pensioni e i contributi sociali o la maternità venivano pagati attraverso il circuito russo MIR, che ha di fatto preso il posto delle principali carte di credito assieme a quello cinese UnionPay. Restano problemi per il trasferimento di valuta dall’Europa alla Russia seppure alcune modalità, limitate a somme piccole, continuano a funzionare. Per cifre più elevate molti usano il sistema delle criptovalute.

Una filiale di Banca Intesa
Attività commerciali

Fin dai primi giorni c’è stato un susseguirsi di importanti marchi stranieri che preannunciavano la fine o la sospensione delle proprie attività in Russia nei più svariati settori. La prima è stata la svedese Ikea che ha annunciato la chiusura immediata dei propri punti vendita. A seguire molte firme del vestiario, catene di ristorazione, piattaforme web, negozi di telefonia. Allo stesso tempo alcune aziende, anche occidentali, resistendo alle pressioni dei propri governi hanno dichiarato di non avere alcuna intenzione di cessare o sospendere le proprie attività in Russia. Passeggiando nei centri commerciali si può osservare almeno un 10% di negozi chiusi a causa di questa situazione.

Curiosa la vicenda di McDonald’s la cui chiusura, annunciata da diversi giorni, ha dato vita ad una serie di “ultime cene” che vedono la multinazionale americana avere il tutto esaurito ogni giorno. L’aspetto incredibile è che ad oggi gli hamburger continuano ad essere cucinati senza interruzione per un motivo semplice e prevedibile. La maggior parte dei ristoranti sono in franchising e la multinazionale americana non ha alcuno strumento legale per bloccarne le attività. Eccezione alcuni McDonald’s di Mosca che sono di diretta proprietà dell’azienda a stelle e strisce. Lo storico rivale Burger King non sembrerebbe intenzionato a seguire la scelta dei colleghi, confermando l’intenzione di lavorare senza alcuna interruzione.

Nel mondo dei telefonini Apple ha già fermato le proprie attività mentre Samsung lo ha annunciato, anche se al momento i negozi sono ancora attivi. I cinesi di Huawei hanno comunicato un +30% del proprio fatturato da dopo il 24 febbraio. Quasi tutte le realtà che cessano o sospendono le proprie attività continueranno a pagare stipendi e affitti. In caso di cessazione definitiva è stata ventilata l’ipotesi della confisca dei beni e degli immobili delle aziende coinvolte in brevissimo tempo.

Tra le chiusure che hanno fatto più rumore c’è stata quella di Netflix, che in Russia gode di vasta popolarità anche per i prezzi molto più bassi di quelli europei. Il problema è solo per le nuove serie o quelle in esclusiva, visto che non mancano numerose piattaforme locali dove è possibile vedere molti film presenti anche su Netflix.

Zara con le saracinesche abbassate
Prezzi e prodotti di importazione

Questo è probabilmente il settore dove eventuali conseguenze arriveranno col tempo a causa dell’esigenza della Russia di importare beni che non produce. Monitorando i prodotti italiani che arrivavano ugualmente aggirando le sanzioni del 2014 è percepibile la lenta scomparsa dell’olio d’oliva. Idem per lo stesso prodotto di origine spagnola. Resistono i latticini come la mozzarella anche grazie ai numerosi caseifici che negli ultimi anni sono stati aperti in molte regioni russe. I prodotti cinesi, già presenti sugli scaffali dei supermercati della Russia orientale, stanno già facendo capolino nella parte europea, come nel caso di pannolini ed assorbenti.

Problemi già da ora per i ristoranti gestiti da italiani. Alla carenza dei prodotti originari del Belpaese si aggiungono costi di importazione lievitati ulteriormente dopo la svalutazione del rublo. Farina e pomodori sono saliti notevolmente di prezzo e fare ristorazione rischia di diventare un business destinato solo a fasce di popolazione benestante. Anche in questo caso i primi colpiti sono coloro che propongono cucina europea, mentre la situazione nei ristoranti che offrono cucina locale non sembrerebbe avere conseguenze. In sintesi un altro autogol, visto che i primi colpiti sono i nostri connazionali. Incrementato anche il prezzo della pasta, ma finora in linea con quello che succede anche nei supermercati europei. In questo settore la situazione sarà destinata ad un sicuro peggioramento visto che il grano necessario a produrre pasta arriva in Europa quasi del tutto da Ucraina e Russia e al momento, con il blocco dei porti sul Mar Nero, non sono molte le navi che raggiungono l’Europa.

L’unico bene di prima necessità che si è faticato a trovare è stato lo zucchero, situazione comunque risolta al momento in cui scriviamo. Questo ha portato ad un momentaneo aumento dei prezzi anche di dolci e gelati. Nel mondo dei giocattoli spicca il raddoppio dei prezzi dei prodotti Lego, al netto del fatto che i punti vendita per il momento restano aperti.

Problematico potrebbe essere l’approvvigionamento di pezzi di ricambio per le auto straniere. Ad aiutare la Russia potrebbe essere il vicino Kazakistan che ospita numerose fabbriche di automobili e che grazie all’unione doganale con la Russia potrebbe esportare parti dei veicoli senza dazi e aggirando le sanzioni.

Gas e carburanti

Mentre in tutta Europa i prezzi continuano a salire dallo scorso ottobre, in Russia paradossalmente benzina e gasolio sono scesi di qualche rublo. Se calcoliamo il prezzo in euro si è addirittura passati dai circa 0,55 euro/litro di gennaio agli attuali 0,40, frutto più della svalutazione della moneta che di un eventuale risparmio reale.

Per stessa ammissione del ministro dell’ambiente Roberto Cingolani l’Italia attualmente paga un miliardo di euro al giorno per acquistare il gas russo e di conseguenza è ipotizzabile che la cifra a livello europeo sia tre, quattro, forse cinque volte maggiore. Nonostante il blocco del Nord Stream 2 (gasdotto di cui avevamo parlato qui), il quantitativo di gas che Mosca sta vendendo all’Europa è il più alto di sempre. Da fonte russa arriva anche la notizia che l’export di carbone verso l’Unione Europea avrebbe raggiunto il massimo quantitativo confrontato con gli ultimi anni.

Considerando che il costo del metano in Russia è lo stesso degli anni precedenti, il costo pagato dall’Europa per importare energie è enormemente più alto che in passato. Con lo stesso miliardo di euro il governo russo ottiene un numero maggiore di rubli rispetto alla fase precedente allo scoppio delle crisi militare. Tradotto in modo ancora più semplice la Russia guadagna cinque volte di più sulla vendita dell’energia, trasformando i ricavi in un quantitativo ancora maggiore di valuta locale con la quale paga gli stipendi e le spese interne. Allo stesso tempo non manca valuta pregiata per le importazioni.

Il risultato di tutto questo è che la principale fonte economica russa viaggia a gonfie vele grazie ai cittadini europei che pagano cifre astronomiche mai viste in passato. Un’eventuale programmazione finalizzata a riuscire in un lontano futuro a fare a meno delle risorse energetiche russe toccherebbe comunque relativamente la Russia, che sta costruendo ulteriori gasdotti anche in direzione dell’Asia.

I ricchi non piangono (e le opportunità che offre la nuova situazione)

Al centro dell’attenzione occidentale fin dai primi giorni di sanzioni sono i sequestri di beni fuori dalla Russia degli oligarchi russi. In effetti ritrovarsi bloccato senza motivo uno yacht dal valore di centinaia di milioni di euro può dispiacere al singolo proprietario, ma la cosa non tange molto la popolazione russa.

Nella prime due settimane di sanzioni c’è stato un piccolo boom economico soprattutto nel settore degli elettrodomestici. Complici il tasso di cambio favorevole a chi aveva qualche dollaro o euro in casa, c’è stata una corsa agli elettrodomestici e alle automobili. Infatti era possibile acquistare una lavatrice o un’auto al 40% in meno del solito, dato che i prezzi di importazione si sarebbero adeguati col tempo e solo dopo la fine delle scorte.

Se una normale famiglia ha potuto effettuare queste piccole “speculazioni”, figuriamoci quanti appartamenti ha potuto comprare e vendere con la stessa dinamica della lavatrice colui che ha la propria barca sequestrata nei porti europei. Questo per sottolineare che la situazione in atto è anche fonte di possibili opportunità economiche e coloro che dispongono di un ricco portafoglio, anche in valuta estera, se la caveranno sempre meglio del cittadino medio. Sarà più semplice comprare una attività commerciale in difficoltà, come gli spazi lasciati liberi dalle aziende estere che lasceranno il Paese. Solo gli immobili dell’Ikea sarebbero sufficienti per la nascita di un cospicuo numero di centri commerciali.

Non sono mancati neppure gli affari da parte dello Stato. Alcune aziende europee hanno letteralmente svenduto la propria partecipazione su progetti energetici e naturalmente qualcuno ha rilevato le quote di realtà redditizie per una manciata di rubli. Le dichiarazioni ufficiale dei rappresentanti dello Stato e della Banca centrale russa invitano ad un cauto ottimismo. Solo il tempo dirà chi ha ragione.

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