In certi casi basta un nome per evocare ricordi e per tornare in un attimo indietro nel tempo, come se tutto si fosse fermato, come se certi momenti durassero per sempre. È così ad esempio se si parla di calcio e se il nome è quello di Giulio Franceschini, centravanti di “razza” che nella sua carriera ha realizzato oltre 200 gol lasciando un segno indelebile nella storia calcistica del Città di Castello e soprattutto del Sansepolcro. Tutti gli appassionati di pallone con più di quaranta anni si ricordano le sue gesta e i suoi gol, mentre i più giovani ne hanno sicuramente sentito parlare come uno di quegli attaccanti che sapevano fare la differenza. Giulio ha esordito da giovanissimo con il Sansepolcro in C2 ed è poi stato uno dei giocatori simbolo della squadra bianconera che negli anni novanta salì dalla Promozione alla Serie D e che nella famosissima stagione 1995-1996 contese la vittoria del campionato all’Arezzo di Cosmi mancando il successo finale e il passaggio in C2 per i 14 punti di penalizzazione dovuti al “caso Guidotti”. Nella sua carriera di calciatore Giulio Franceschini ha indossato anche le maglie di Subbiano, Nuova Tiferno, Nocera Umbra, Tiberis, Piobbico, ha poi ricoperto al San Secondo il doppio ruolo di giocatore e allenatore, prima di appendere definitivamente gli scarpini al chiodo e di togliersi altre soddisfazioni in panchina come ad esempio le vittorie con Trestina e San Secondo e soprattutto la meravigliosa stagione 2006-2007 alla Pontevecchio. Una storia calcistica che ripercorriamo oggi con Giulio su TeverePost.
Partiamo dall’inizio della tua avventura nel calcio con l’arrivo nelle giovanili del Sansepolcro.
“Venivamo da San Giustino per partecipare ai tornei a Sansepolcro. Io avevo 13-14 anni, fisicamente ero già strutturato e soprattutto facevo gol. I dirigenti bianconeri vedendomi in campo mi presero per giocare negli allievi e così è iniziato il mio percorso nel settore giovanile, fino ad arrivare nel giro della prima squadra con le presenze in Coppa contro Città di Castello e Riccione e all’esordio in C2”.
La tua prima esperienza in bianconero finì poco dopo e prima di tornarci nel 1990 hai girato un bel po’ e segnato tanti gol. Ripercorriamo quegli anni.
“Ero ancora giovane e avevo bisogno di fare esperienza. A ottobre il passaggio al Subbiano, poi ho giocato con la Nuova Tiferno in Promozione realizzando una decina di gol. Così fui acquistato dal Nocera Umbra in Serie D dove mi misi in bella evidenza segnando 8-9 reti, poi sempre in Interregionale prima con il Città di Castello, poi per una stagione con la Tiberis e di nuovo a Città di Castello dove nonostante la retrocessione conclusi l’annata con 10 gol all’attivo. Nel 1989-1990 il trasferimento al Piobbico sempre in Serie D, in una squadra ambiziosa e ben costruita in cui feci davvero grandi cose trovando la rete in 16 occasioni”.
E poi nel 1990 il ritorno a Sansepolcro che ai tempi militava in Promozione. Come mai quella scelta?
“Dopo la splendida stagione con il Piobbico mi arrivarono tante richieste, ma avevo già dato la mia parola al Sansepolcro e per me la parola è sempre stata sacra. La società voleva risalire la china ed aveva un progetto importante, così accettai. Scendere di categoria non fu assolutamente un problema ed i fatti mi hanno dato ragione. Nel mio secondo anno conquistammo la vittoria del campionato e la promozione in Eccellenza, poi nel 1993-1994 un’altra vittoria che consentì al Sansepolcro di tornare in Serie D. Emozioni straordinarie che a distanza di anni porto ancora nel cuore”.
Impossibile non parlare di quella meravigliosa squadra che nel 1995-1996 contese il successo in Serie D all’Arezzo di Cosmi e dei 14 punti di penalizzazione che vi impedirono di fatto di vincere il campionato. Cosa resta a distanza di tanti anni?
“Un po’ di amarezza perché per quanto dimostrato sul campo meritavamo di vincere quel campionato, ma soprattutto il ricordo di una stagione speciale e di una squadra fortissima, composta da giocatori eccellenti, uniti e consapevoli di poter ambire al massimo traguardo. L’Arezzo pure era una squadra formidabile e quel duello rimarrà negli annali, anche se purtroppo la penalizzazione ci impedì di lottare fino alla fine. La città ci seguì con grande passione e giocare al Buitoni fu in quella stagione ancora più emozionante. Amarezza, ma nessun rimpianto da parte nostra, perché avevamo comunque dato il massimo”.
Squadra forte e consapevole di esserlo. Era questo uno dei vostri segreti?
“La società aveva allestito una rosa di valore, tanto che molti di quei calciatori giocarono successivamente anche tra i professionisti, un allenatore molto preparato, il gruppo unito e soprattutto come ti dicevo prima la sensazione di essere forti. Affrontavamo tutte le gare con grande umiltà, ma ogni volta che scendevamo in campo eravamo convinti di poter vincere e questo era un punto a nostro favore. Poi in casa potevamo contare sulla carica del nostro pubblico e questo ci aiutava tantissimo”.
Sei rimasto in contatto con i tuoi compagni di quella stagione?
“Certo. Ci sentiamo spesso su Skype o per telefono con mister Trillini, con Masi, Tardioli e con altri giocatori di quegli anni. Siamo rimasti amici ed è sempre un piacere ricordare i momenti vissuti insieme”.
Il Sansepolcro è la squadra a cui ti senti più legato?
“Sono stato bene ovunque e l’aver giocato nelle due realtà più importanti a livello calcistico del territorio è un motivo di orgoglio. In bianconero però sono stato tanti anni, ho vissuto stagioni memorabili passando dalla Promozione a quel duello in Serie D con l’Arezzo e ho instaurato con tutti un rapporto meraviglioso. Quindi sì, il Sansepolcro occupa un posto speciale nel mio cuore”.
Dopo i sette anni a Sansepolcro hai giocato per due a Città di Castello e poi a San Secondo dove hai svolto nella prima stagione il doppio ruolo di giocatore-allenatore. Soddisfatto di quanto hai fatto in carriera?
“Il Città di Castello è un’altra squadra molto importante nella mia esperienza calcistica, poi a San Secondo ho fatto il mio ultimo anno in campo iniziando allo stesso tempo l’esperienza in panchina. Il ruolo è diverso e le responsabilità aumentano, perché l’allenatore deve gestire l’intero gruppo. Sono soddisfatto di quanto fatto da calciatore, anche perché ho dato il massimo in ogni momento”.
Tra le oltre 200 reti segnate in carriera quale la più bella o la più importante?
“Ogni gol per un attaccante è bello ed importante, però tra i tanti ne scelgo uno su rigore. Stagione 1995-1996, quella del duello in Serie D con l’Arezzo. Giocavamo a Chianciano su un campo allagato, di fronte a tanti tifosi arrivati da Sansepolcro e non riuscivamo a segnare. Al 90’ sullo 0-0 ci venne concesso il penalty e mi presentai sul dischetto. Il portiere avversario era il mio ex compagno di squadra Chiodini che ovviamente mi conosceva bene. Ero un po’ teso e così tirai forte, dritto per dritto. La palla entrò in rete e vincemmo la partita, festeggiando con tutti i nostri tifosi”.
Segnavi molto, ma giocavi anche per la squadra ed eri compagno di reparto ideale per molti attaccanti.
“Ho fatto tanti gol, ma ancora di più ne ho fatti fare a chi giocava con me perché sfruttando il fisico tenevo occupati i difensori e con il mio lavoro agevolavo i compagni. Diciamo che aprivo le difese”.
Il compagno di attacco con cui eri più in sintonia?
“Ce ne sono stati tanti, ma se devo sceglierne uno dico Masi. Ci trovavamo perfettamente e formavamo un bel tandem offensivo”.
Quante battaglie a livello fisico in quegli anni per voi attaccanti. Duelli a volte anche spigolosi.
“Era un altro calcio, quello con il marcatore a uomo e il libero. I duelli fisici erano tanti, ma io sinceramente mi facevo rispettare e non ero proprio facile da tenere a bada. Oggi si marca a zona e il calcio è cambiato a ogni livello. Forse anche nelle categorie minori si vuol fare troppo i professionisti mentre a volte, pur senza tornare indietro, sarebbe meglio ritrovare un po’ il clima di sana passione che c’era allora”.
Tra i tuoi marcatori ne ricordi qualcuno in particolare
“Lilli del Bastia e Beni del Riccone. Quando le nostre strade si incrociavamo venivano sempre fuori dei duelli avvincenti”.
Un aneddoto sulla tua carriera?
“Anche qua ci sarebbe l’imbarazzo della scelta, però mi ricordo come se fosse ora quanto si arrabbiò a fine partita Francesco Cucchi in un derby fuori casa con la Sangiovannese perché sul punteggio di 1-0 per noi in contropiede Pippo Renzoni non gli passò il pallone. Negli spogliatoi lo dovemmo tenere in due per quanto era furioso. Troppo divertente”.
Parliamo della tua esperienza da allenatore. Ti sei tolto belle soddisfazioni soprattutto all’inizio?
“I primi anni sono stati ricchi di soddisfazioni, dai campionati vinti con il San Secondo a quello con il Trestina per arrivare alla straordinaria impresa del 2006-2007 con la Pontevecchio. Poi ho commesso alcuni errori di valutazione come quando per questioni di cuore invece di restare a Ponte San Giovanni decisi di approdare al Città di Castello. Peccato che, mi sembra dopo appena 4 giornate, venni esonerato senza un vero motivo. Questo mi costò caro dato che dovetti star fermo per tutta la stagione e nel calcio se perdi il giro per un po’ le cose cambiano velocemente. Comunque ho vissuto altre belle esperienze come responsabile del settore giovanile e anche da allenatore a San Giustino. Sono uscito dal calcio perché il lavoro occupa tanto del mio tempo, ma ho voglia di rientrare”.
Ultima domanda relativa all’impresa compiuta sulla panchina della Pontevecchio che fu memorabile per voi ma anche per tutto il calcio umbro. Cosa ti resta di quella stagione?
“Una emozione indescrivibile vissuta in una società straordinaria e con calciatori eccezionali. Vincemmo il campionato di Eccellenza, la Coppa Italia di categoria a livello Regionale e soprattutto Nazionale, battendo in finale la Casertana in una giornata meravigliosa. Vincere da allenatore ha un sapore speciale e quella fu una gioia immensa che mi porterò dentro per sempre. Anche a distanza di diversi anni resta la sensazione di aver compiuto qualcosa di grande”.