Porterà con se un anche po’ di Città di Castello il discobolo tifernate Giovanni Faloci, convocato dalla nazionale italiana per i giochi olimpici di Tokyo 2020, in programma dal 23 luglio all’8 agosto. Saranno Olimpiadi diverse da quelle passate, caratterizzate da restrizioni e regole ferree a causa della pandemia non ancora lontana, ma per Faloci sarà comunque una grande opportunità per dimostrare il suo talento e la sua preparazione. Da anni in forza alle Fiamme Gialle, ma cresciuto sportivamente all’Atletica Libertas di Città di Castello, Faloci si dice pronto ad affrontare questa importante sfida olimpica, grazie anche al supporto del suo storico allenatore Lorenzo Campanelli e di Ugo Tanzi, presidente della società che lo ha visto muovere i primi passi nel mondo del disco.
Giovanni, a che età sei entrato per la prima volta in pista?
La prima volta è stata a novembre 2002 con Lorenzo Campanelli che è stato sempre il mio allenatore e mi ha subito coinvolto, fin dalla prima settimana. Pensare di arrivare a certi livelli lo capisci piano piano e con il tempo, anche se le speranze e i sogni ci sono fin da piccoli. Nel 2003 ho partecipato ai campionati italiani di lancio del peso ed era già bel traguardo per me. Nel 2005, poi, ci sono stati i campionati italiani di lancio del disco e lì ho vinto. Ho fatto subito il minimo di categoria per partecipare agli europei, dove trovi un contesto sconosciuto e grandi avversari. Nel 2005 ha gareggiato con me il grande Robert Harting, avere a fianco lui è stato stranissimo, negli anni poi abbiamo gareggiato insieme più volte.
Cosa si prova a gareggiare contro gli atleti più forti del mondo?
Si vede che hanno qualcosa in più anche a livello fisico, sono delle vere macchine da guerra per questo sport. Anche se sbagliano, possono sempre fare di più, in condizioni ottimali le loro prestazioni sono perfette. Hanno una struttura fisica molto diversa, sono tutti alti sopra i due metri. Hanno leve molto lunghe che aiutano sicuramente a lanciare il disco più lontano, è una sfida difficile e complessa. Io, comunque, voglio sempre cogliere qualcosa da loro, li studio mentre si riscaldano e cerco di capire tutti i loro movimenti, se fanno qualcosa di strano mi chiedo il perché di quel comportamento.
Da dove nasce la passione per il disco?
È nata per caso. Il primo anno Lorenzo mi ha fatto provare tutti e tre i lanci: peso, martello e disco. Il secondo anno mi sono concentrato più sul disco e da li è andata subito bene. Nel 2004 ero ancora ai primi passi, a volte tiravo bene altre molto male. Dal 2006, però, ci siamo dedicati moltissimo a questa specialità ed è arrivato il minimo per gli europei, il titolo italiano e tutto il resto.
Quali sono le maggiori difficoltà che si possono incontrare in questa specialità?
Quando si va in pedana si vuole sempre dare il massimo, ma se non rispetti i tempi e non stai morbido non ce la fai. Devi dare il meglio di te stando rilassato e bisogna curare molto la tecnica. E’ fondamentale essere forti e morbidi allo stesso tempo e questo è molto complicato. La cosa più bella è sentire il peso del disco prima di lanciarlo, quando sei lì capisci che fino a quel momento hai fatto tutto bene e corretto.
Qual è stata l’emozione più grande in questi anni?
Uno dei ricordi più belli è sicuramente la partecipazione al primo campionato italiano. Arrivavo con un lancio di 53 metri, ero il terzo atleta, i primi due erano di altissimo livello. Non pensavo a nulla, solo a gareggiare e ho portato a casa un bel 57.50 metri. Con un lancio mi sono guadagnato il minimo per gli europei e ho vinto il campionato italiano. È stata una gara che ricordo come fosse ieri anche se parliamo del 2005.
Come ti prepari prima di una gara?
Ho delle abitudini che ormai seguo da anni: ad esempio, quando indosso le scarpe parto sempre dalla sinistra e faccio sempre così, anche in allenamento. Ho anche dei riti pre-gara, come scegliere un tipo di abbigliamento piuttosto che un altro o la doccia prima della competizione.
In famiglia chi è stato a credere più in te?
Sicuramente tutti, anche se mamma mi è stata più vicina fin dall’inizio. Da quando sono entrato in Fiamme Gialle tutti hanno capito che questo non è più uno scherzo, è diventato un lavoro a tutti gli effetti, anche se lo faccio sempre divertendomi.
Parliamo di Tokyo 2020: come hai appreso la notizia della convocazione?
Sono stato contentissimo, è un sogno che si avvera. Pochi giorni fa mi è arrivato il messaggio di convocazione e li mi son detto “ora è tutto vero”. Abbiamo rincorso da tempo le Olimpiadi, già nel 2012 avevo raggiunto lo standard per poter partecipare, ma poi non mi hanno convocato. Nel 2016 mi sono infortunato, non sono stato in grado di dimostrare quello che valevo e quest’anno, con quel lancio un po’ inaspettato di 67 metri, è stata una bella sorpresa sapere che avrei partecipato alle Olimpiadi.
Come saranno le giornate a Tokyo?
Noi atleti staremo nel villaggio predisposto e non potremo uscire da li. Avremo delle applicazioni sul cellulare che controlleranno i nostri spostamenti. Ci dovrà essere massima serietà perché andiamo a gareggiare e non a divertirci. Sarà bello visitare Tokyo, ma ci torneremo un’altra volta, ora andiamo per le Olimpiadi. La gara sarà il 30 e saremo divisi in due gruppi. Cerchiamo di farci trovare pronti, questa è una gara a sé, i numeri sulla carta non contano nulla. Tutti hanno 3 lanci e tutto può succedere. Quando si indossa la maglia della nazionale vogliamo sempre dare il massimo e questo farò. A Tokio mi accompagnerà l’allenatore della nazionale Federico Apolloni, siamo stati per molto tempo avversari perché anche lui lanciava il disco.
Hai qualche sogno nel cassetto?
Per quanto riguarda le Olimpiadi, sogno di rientrare fra i primi 12 al mondo, sarebbe davvero bellissimo. Mi piacerebbe ritrovare la forma giusta a Tokyo per poter scalare qualche posizione proprio in questa gara.