Giorgio Lacrimini e il Sansepolcro, una questione di cuore

La storia calcistica di Giorgio Lacrimini è fortemente legata alla maglia bianconera, prima come giocatore, poi come dirigente e ora come presidente. Un’avventura ricca di momenti significativi

Giorgio Lacrimini con la fascia di capitano del Sansepolcro

Dal campo alla scrivania, in un percorso iniziato da giovane calciatore e portato avanti fino ad oggi. In ruoli sicuramente differenti, ma sempre con lo stesso impegno, la stessa passione, la stessa dedizione alla causa, perché la maglia del Sansepolcro, per chi l’ha difesa e onorata così a lungo, rappresenta quasi una seconda pelle. Non a parole, ma concretamente, come Giorgio Lacrimini ha dimostrato nelle varie esperienze: che ci fosse da lottare in mezzo al rettangolo verde o da dare un contributo di altro tipo, così come è accaduto in estate quando ha accettato la stimolante sfida di diventare presidente della società in cui è cresciuto e nella quale ha vissuto momenti indimenticabili: i 4 campionati vinti negli anni della “rinascita” sportiva, il ritorno in Interregionale, l’amarezza per la penalizzazione che costò la promozione in Serie C, le oltre 300 presenze, la fascia da capitano. Tante gioie e una sola ma grande delusione in una avventura che ha ancora più valore dato che Giorgio è nato e cresciuto a Sansepolcro e che è diventato poi a tutti gli effetti uno dei simboli del calcio biturgense. Oggi su TeverePost ripercorreremo assieme a lui questa bella avventura. 

Giorgio, quante soddisfazioni nella tua carriera da giocatore bianconero. Cosa ricordi dei primi anni?

Il calcio mi è sempre piaciuto moltissimo, ma da bambino preferivo giocare con gli amici, nel cortile davanti a casa o per strada. La mia avventura al Sansepolcro è cominciata nei giovanissimi e da quel momento non si è ancora interrotta. Per me, biturgense doc, la maglia bianconera ha sempre avuto un fascino particolare e sono felice di aver dedicato gran parte della mia vita sportiva a questi colori. In campo prima, da dirigente poi. Ho sempre sentito un legame forte e ho sempre cercato di mettermi a disposizione per dare il massimo alla società. Per questo in estate sono stato onorato di diventarne il presidente. Solo in pochi casi ho vestito altre maglie, nel 1988-1989 al Bibbiena in Interregionale e negli ultimi anni di carriera a Lama e Trestina. 

Hai esordito quando il Sansepolcro era in Seconda Categoria e nel giro di poche stagioni hai contribuito a riportarlo in Serie D. Cosa ricordi del tuo debutto in prima squadra?

Giocavamo a Terranuova Bracciolini ed inizialmente ero in panchina. Poi mister Becci mi fece scaldare e così entrai negli ultimi dieci minuti. Fu una grande emozione perché facevo parte della squadra che fino a poche gare prima tifavo dalla tribuna, accanto a calciatori che avevano scritto la storia del Sansepolcro. Nel primo anno giocai poco e il percorso di inserimento fu giustamente graduale, ma ricordo altre partite, come lo 0-0 a Pieve Santo Stefano e la mia prima rete in assoluto, in casa con il Levane. 

Ce la racconti?

Me lo ricordo bene anche perché a volte mi capita di riguardare la registrazione che ho conservato. Sabino Mazzini mi passò la palla sullo spazio e io calcia di precisione in diagonale dopo un inserimento di quelli che spesso hanno caratterizzato la mia carriera. Un tiro non particolarmente potente, ma angolato, che si infilò alle spalle del portiere. Ricordo la gioia e anche l’esultanza con l’abbraccio di Franco Boncompagni, che era allora segretario. Fu un bellissimo momento!

Nella tua carriera da calciatore hai ricoperto più ruoli e ti sei saputo adattare a seconda delle esigenze. È stato questo uno dei tuoi punti di forza?

Capacità di corsa e velocità sono sempre state le mie armi migliori, mentre soprattutto da ragazzo non ero molto disciplinato tatticamente. Avevo iniziato tardi a giocare ed ero piuttosto istintivo. Fu mister Garreffa negli anni del settore giovanile a farmi capire dove sbagliavo e a darmi disciplina tattica, oltre a moltissimi consigli che mi hanno aiutato a maturare. Nei primi anni della mia carriera proprio perché ero un calciatore rapido e bravo negli inserimenti giocavo da esterno d’attacco, poi mister Trillini mi spostò a centrocampo. Dovetti adattarmi, badando più alla posizione, anche se non persi la caratteristica di inserirmi negli spazi quando si presentavano le occasioni. Mi trovai bene anche in mezzo al campo, soprattutto nel recuperare palloni e nel far ripartire l’azione passando velocemente la sfera ai compagni tecnicamente più bravi. 

Ripensando oggi ai gol realizzati nella tua carriera, quale ti emoziona di più?

Quello segnato al Città di Castello mi sembra nella stagione 1992-1993. Non vincevamo il derby tra le mura amiche da tantissimo tempo e volevamo con tutte le nostre forze sfatare questo tabù. Entrammo in campo con grande determinazione e segnai il gol che ci permise di centrare il successo. Vinsi un contrasto e calciai verso la porta. Il portiere respinse e rimase a terra, io arrivai in anticipo sul difensore e invece di appoggiare il pallone con un tocco facile mi buttai in spaccata e lo misi in rete. Un gol fatto d’istinto, come era nelle mie caratteristiche ed una felicità immensa condivisa con i compagni e con il nostro pubblico.

Giorgio Lacrimini in gol

Ci racconti le 4 promozioni che permisero al Sansepolcro di salire dalla Seconda Categoria alla Serie D?

Ogni vittoria è stata il coronamento di un percorso ed un passo compiuto in quella che fu a tutti gli effetti la rinascita del calcio biturgense. Sono state stagioni memorabili e bellissime, che hanno segnato anche la mia crescita, come giocatore e come uomo. Quando abbiamo vinto il campionato di Seconda Categoria ero una giovane promessa che si stava inserendo in una squadra caratterizzata da gerarchie precise, con giocatori di esperienza e carattere. Un mondo nuovo in cui mi sono affacciato con umiltà e determinazione, che è stato fondamentale per me. Ricordo bene i tanti derby e la felicità per il trionfo finale. Lo stesso discorso è valido anche per la promozione dalla Prima Categoria, sempre con Becci in panchina, altra figura importante nella mia esperienza. Gli altri due campionati vinti sono stati sotto la guida di Fraschetti che fece davvero un bel lavoro. La rosa era forte e l’obiettivo era salire di categoria, ma riuscirci non fu affatto facile. In Promozione Umbra eravamo favoriti e tutte le squadre contro di noi davano il massimo, però giocavamo bene. Anche a livello personale le cose andarono per il verso giusto e grazie al gioco areo di Giulio Franceschini, ideale per i miei inserimenti, realizzai qualche gol. In Eccellenza il successo finale arrivò al termine di un intenso duello con Orvietana, San Sisto e Valfabbrica, compagini ambiziose che ci dettero filo da torcere. Nello spogliatoio c’erano tanti uomini di personalità e si creò, anche nei chiarimenti che a volte capitavano, grande alchimia. Questo in campo ci portava a correre anche per i compagni e a fine anno arrivò l’attesissimo ritorno in Serie D. Che soddisfazione!

Non possiamo sorvolare sulla stagione 1995-1996, quella del duello in Serie D con l’Arezzo di Cosmi e dei 14 punti di penalizzazione che vi impedirono di vincere il campionato. Cosa provi nel ripensarci?

Credo che quella sia stata la miglior stagione in assoluto e la squadra più forte in cui ho giocato, con Trillini in panchina e con tanti giocatori fortissimi in rosa. Ho tanti ricordi belli di quella stagione come ad esempio il derby vinto 4-0 con il Città di Castello e resta la consapevolezza di un cammino straordinario. Purtroppo la penalizzazione fu una mazzata, ma nel mio cuore quella stagione rimane bellissima. I tifosi ci trasmettevano calore e ci seguivano numerosi, in casa e in trasferta, si respirava tanto entusiasmo, giocavamo un bel calcio e sentivamo di poter vincere il campionato. Senza la penalizzazione avremmo lottato fino alla fine. Ricordo con piacere anche una stagione in Serie D meno fortunata, ma comunque importante.

Quale?   

Nel 1997-1998 con Farneti in panchina eravamo partiti con obiettivi di vertice, ma le cose non andarono nel verso giusto e la società cambiò, affidando la squadra a Ferri. Il nuovo allenatore mi fece giocare attaccante e pur non essendo il mio ruolo realizzai 8 gol, divertendomi molto tra l’altro. La classifica migliorò e arrivò a fine stagione una salvezza tranquilla. 

Quante volte per amore della maglia bianconera hai detto no a proposte di altre squadre?

In quegli anni ebbi molte richieste anche da squadre di categoria superiore, però se devo esser sincero non ho mai avuto davvero dubbi. Giocare nel Sansepolcro e dare il massimo per la squadra della mia città mi ha dato tante soddisfazioni. Sono stati anni meravigliosi ed era allo stesso modo bello condividere le emozioni di quei momenti con la gente del Borgo. Ho disputato oltre 300 partite, sono stato capitano, ho contribuito a tante vittorie e sono stato bene. Non ho rimpianti e sono orgoglioso del mio percorso con questa maglia. Quando ero a Bibbiena feci dei provini con grandissimi club come Fiorentina, Inter e Milan ad esempio e in quel caso magari il discorso sarebbe stato diverso. 

Raccontaci un episodio. 

Ricordo bene il provino con la Primavera del Milan, nel campo vicino a quello in cui si allenava la squadra formidabile di Sacchi e dei tre olandesi. Furono tre giorni stupendi. Mi accompagnò mio cugino che tifava Milan e non fece altro che scattare foto. 

Da giocatore a presidente, passando per il ruolo di responsabile del settore giovanile. Come ti senti nella nuova veste e cosa speri per il futuro del calcio biturgense?

Essere il presidente del Sansepolcro è una responsabilità e soprattutto un grandissimo onore. Non potevo dire di no e mi sono messo a disposizione con la stessa passione e la stessa voglia di quando giocavo. Certo il momento non è dei migliori e spero che l’emergenza sanitaria finisca presto per tornare al calcio giocato, con la prima squadra e soprattutto con il nostro settore giovanile. Il calcio è la felicità di scendere in campo, è attaccamento, passione ed impegno, valori che grazie al lavoro di dirigenti e tecnici vogliamo trasmettere ai ragazzi, perché capiscano che facendo le cose con determinazione e amore nessun obiettivo è precluso.

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