Quando nel 1977 arrivò in radio il 45 giri Barista a firma di Giorgio Bettinelli e i Pandemonium, fu quasi una lotta fra noi dj ad accaparrarselo per inserirlo nelle rispettive scalette (ai tempi non c’erano playlist ma fra noi vigeva il tacito accordo di non programmare lo stesso pezzo in trasmissioni vicine). Il brano, mezzo cantato e mezzo recitato, era uno sgangherato, divertente sfogo fatto ad un barista da parte di un avventore sfigato, appena lasciato dalla propria ragazza perché troppo dedito all’alcool. Colpiva del pezzo soprattutto il testo, infarcito di espressioni “slang”, talvolta in dialetto lombardo, e l’incalzare dell’interpretazione che si srotolava via via sempre più parossistica. La musica, con sottofondo di rumori da avvinazzato accompagnati da coro femminile insistente sullo stesso riff, strizzava l’occhio, in modo molto evidente nel contrappunto al recitato (e non solo l’occhio, si trattava quasi di un plagio, oggi diremmo una citazione), a Blue Moon, il famoso standard americano degli anni ’30 del novecento, non a caso scelto come ispirazione, visto che il blu per gli anglosassoni è il colore della malinconia. Insomma dietro l’apparente “divertissement” si celavano diversi piani di lettura anche se allora noi non ce ne rendevamo perfettamente conto.
Scarne erano le notizie sia sul cantante che sul gruppo al quale apparteneva, allora non c’era Internet e per documentarci non restavano altro che le pubblicazioni che si occupavano di musica, oltre alle sintetiche note di copertina quando c’erano. Trovai un articolo che si occupava dei Pandemonium, un gruppo eterogeneo nel quale agivano musicisti, attori, autori in una sorta di interazione artistica, nato dall’idea di Gianni Mauro, fatta propria dalla RCA che vi aveva inserito tutta una serie di nuovi talenti fra i quali spiccavano Amedeo Minghi, in seguito protagonista di una notevole carriera di cantautore; Dario Farina, poi autore di brani per Gianni Morandi, Ornella Vanoni, Andrea Bocelli, Fiorella Mannoia e soprattutto dei successi dei Ricchi e Poveri, da Sarà perché ti amo a Mamma Maria; Michele Paulicelli, musicista compositore e interprete della colonna sonora del musical Forza venite gente incentrato sulla vita di San Francesco; e, appunto, Giorgio Bettinelli, noto successivamente come viaggiatore e scrittore di libri “on the road”.
Tornando al brano in questione, scritto, testi e musica, dallo stesso Bettinelli, l’ambientazione, le atmosfere, le citazioni, nonché l’uso di espressioni gergali milanesi rimandavano al Giorgio Gaber di Trani a Gogò e ad altre sue incisioni del precedente decennio, di cui Barista appariva quasi un’evoluzione in rapporto ai nuovi tempi. Il pezzo, in quello stesso anno, ebbe anche qualche passaggio televisivo in RAI, fra cui la partecipazione di Bettinelli e dei Pandemonium a trasmissioni come Noi.. no condotta da Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. In tale occasione Giorgio si presentò vestito da dandy con tanto di cappello (che sfoggiava sempre in quel periodo) insieme a tutto il gruppo. Purtroppo, in sede televisiva, la censura si abbatté sul brano cancellandone la prima parte (allora non erano permesse in TV parole come cretino e cesso) togliendo così al pezzo la sua ragione d’essere. Ho cercato modestamente di recuperare l’audio della parte censurata facendo un remix fra immagini e musica prendendo a prestito per la prima parte frame d’epoca in modo da completare il video. Il pezzo riscosse comunque un buon successo di vendite grazie soprattutto agli innumerevoli passaggi nelle radio private di quel tempo.
Viaggiatore e musicista precoce
A viaggiare Giorgio aveva iniziato presto: a 14 anni, durante le vacanze estive, era partito da solo in autostop dalla natia Crema per raggiungere Copenaghen trovandola la cosa più naturale di questo mondo. Solo tornando a scuola in autunno si era accorto che il suo modo di passare le vacanze tanto normale non era, visto che i suoi compagni di classe erano andati (con i genitori) in vacanza sulla riviera romagnola, ma anche in questo suo primo peregrinare aveva avuto l’appoggio da parte del padre; un affetto che alla morte del genitore gli ha, come dice lui stesso “fatto staccare la spina dall’occidente” per trasferirsi in Cina all’inizio del nuovo millennio.
Umanità unita alla curiosità che fin dall’adolescenza lo aveva portato ad interessarsi di musica e teatro oltre che di girare il mondo. All’età di 18 anni, dopo altri viaggi per luoghi insoliti quanto iconici per la sua generazione (Marocco e India nell’ordine) entrò a far parte come voce solista di un gruppo cremonese, ”Piazza delle Erbe”, autore di un solo 33 giri: Saltaranocchio, colonna sonora di uno spettacolo teatrale, album che oggi è considerato tra i dischi progessive italiani fondamentali secondo autorevoli riviste del settore. Del gruppo oltre Giorgio faceva parte un giovane violinista, Lucio Fabbri, poi con la PFM e con Fabrizio De André. Il concept verrà pubblicato su 33 giri solo nel 1977, quando Giorgio era entrato da un anno a far parte dei Pandemonium
In quel periodo l’attività di Bettinelli non si limitò al solo ambito musicale: nel 1978 prestò infatti la sua voce al pupazzo Saruzzo che accompagnava Franco Franchi nel programma televisivo di RAI 2 dedicato ai ragazzi Buonasera con Franco Franchi.
Sempre in quegli anni è da segnalare la sua partecipazione insieme ai Pandemonium sia alla trasmissione TV e al disco di Gabriella Ferri E adesso andiamo a incominciare, che alla commedia musicale Commedia di Gaetanaccio di Luigi Magni con Gigi Proietti protagonista. Poi, mentre gli altri componenti del gruppo partecipavano al Festival di Sanremo nel 1978 come coristi di Rino Gaetano in Gianna e nel 1979 in proprio con Tu fai schifo sempre, portando per primi sul palco dell’Ariston il teatro canzone, seppure con risultati non indimenticabili, Giorgio Bettinelli pubblicava libri di poesia. Anzi, la sua prima raccolta poetica, Per un ritratto a pastello, risaliva al 1976, mentre il secondo libro, Sali in salmì, è del 1980. Nel frattempo, nel 1979 aveva esordito come cantautore solista, cambiando etichetta discografica, con un 45 giri che conteneva due brani: Benedetta sia Riccion – Anche tu vai via, disco tipicamente estivo nel lato A, seguito due anni dopo da un altro singolo: Il miglior amico mio – Che bestia, dove, nella facciata A, descriveva il suo “gingillo” che, come recita il testo, stava tre spanne sotto il mento, con tanto di copertina che lasciava poco spazio all’immaginazione; tutti brani firmati da lui, eseguiti con levità e un pizzico di cialtroneria, cose divertenti, incise con il supporto di Tony Cicco ex Formula 3 e del maestro Gianni Mazza, ma, senza il sostegno della casa discografica, passati sotto silenzio.
Osservando la copertina di Benedetta sia Riccion non si può fare a meno di notare la presenza della chitarra nel portapacchi dell’auto di sabbia, quasi una premonizione.
Anni ’80: crisi e rinascita all’estero
Gli anni ottanta sono stati per lui motivo di riflessione, di viaggi e di scrittura oltre che di impegno come attore: recita ne Il bugiardo di Goldoni, regia di Ugo Gregoretti, protagonista di nuovo Gigi Proietti, spettacolo per il quale Giorgio compone anche la canzone finale. Partecipa al Festival dei due Mondi a Spoleto (Risorgimento, regia di Armando Pugliese), ed è nel cast di Capitan Fracassa di Giancarlo Zanetti, nella parte di Scapino. Ma, come ricorda il suo concittadino e amico d’infanzia e adolescenza Beppe Severgnini, le rare volte che Giorgio tornava a Crema aveva gli occhi diversi, tristi rispetto alla vitalità prorompente dei sui anni adolescenziali. Tra il 1985 e il 1991 pubblica due romanzi: Hamaregun e Pesciolini di liquirizia ma soprattutto passa sempre più tempo in vari paesi dell’Asia: “Il posto dove mi sento più a casa”, affermava, perché uno come lui, dotato di forte sensibilità umana, lui che in gioventù aveva fatto parte del movimento studentesco, mal sopportava di vivere in un Occidente culturalmente patinato fatto di arrivismo e di sola immagine come era in quel tempo. C’erano poi ragioni strettamente personali per allontanarsi dall’Italia, con i suoi anni ottanta che sono stati caratterizzati da un periodo burrascoso per un matrimonio andato male. Per queste varie ragioni era partito per un anno in Mozambico al seguito di un progetto Fao, un anno in India senza progetti e due in Indonesia, paese nel quale scoccherà la scintilla.
L’incontro con la Vespa
Infatti è proprio in Indonesia nel 1992, all’età di 37 anni, senza averla mai guidata prima, che avviene l’incontro decisivo per la sua vita: quello con la Vespa. Incontro fortuito, come racconta lui stesso.
Dopo questo assaggio, all’improvvisato viaggiatore, armato soprattutto d’incoscienza, venne in mente di intraprendere un tour che in sette mesi, dal 1992 al 1993, lo portò in Vespa da Roma a Saigon. Il risultato di questo tour, fatto di sensazioni e di incontri umani, lo metterà nero su bianco sul libro In Vespa che diventerà in breve un autentico best seller fra i “Road Books”. Con la risonanza del viaggio e il conseguente successo del libro arrivano le sponsorizzazioni, della Piaggio che a partire dal secondo viaggio lo supporta economicamente e logisticamente, della Feltrinelli che pubblicherà tutti i suoi libri e del National Geografic, per il quale scatterà innumerevoli foto e girerà molti video, tanto per citarne solo alcuni.
La cosa singolare, come ha confessato lui stesso, è che non ha mai capito nulla di meccanica e nonostante questo e il fatto di aver percorso oltre la metà dei 300.000 chilometri su quelle che lui definisce “stradacce”, ha continuato a non capire nulla di motori “per scaramanzia”.
“Quando viaggio con la vespa“, affermava, “sono carico come un somaro; nella fattispecie ho due portapacchi uno davanti e uno dietro portandomi un sacco di cose voluttuarie: la chitarra, libri, musicassette, aspirina, una scacchiera e una confezione di preservativi che potresti trovare dappertutto a testimonianza del fatto che non ci sto con la testa”. E proseguiva: “quanto al cibo mangi quel che c’è, scimmia, caimano e porcospino che sia”.
Viaggiatore seriale fra umanità e incoscienza
Al primo viaggio ne seguiranno altri quattro che lo porteranno in tutti i continenti, superando innumerevoli confini. “Quello più pesante” , ha ricordato “è stato fra il Gabon e il Congo, il cui confine era continuare a vivere o morire, perché appena entrato in Congo, per tre giorni i ribelli mi hanno sequestrato, L’ambasciata congolese in Gabon mi aveva rilasciato il visto in una sola giornata senza intoppi burocratici per andare ad essere ammazzato in Congo, dal momento che un occidentale che viene ucciso dai ribelli che combattono contro un governo che è giunto al potere tramite un colpo di stato mette automaticamente in cattiva luce il movimento dei ribelli e fa propaganda al governo. Alla fine dopo tre giorni e dopo avermi tolto tutto, compresa la Vespa, mi hanno rilasciato e son dovuto tornare a piedi alla frontiera col Gabon”. Questa brutta avventura tuttavia non gli ha fatto perdere la profonda umanità che lo ha sempre contraddistinto.
“In Mozambico” , ricorda in una intervista, “mi hanno fatto una domanda alla quale non ho trovato risposta: come si fa a trovare la faccia tosta per andare in giro in Vespa in tutto il dolore che c’è in Africa, L’Africa“, prosegue, ”è il continente che ha sofferto di più, c’è troppo dolore per andarsene via con un buon ricordo e c’è troppa bellezza per ricordarsi solo del dolore, la sofferenza degli africani diventa anche la tua”.
I viaggi non gli hanno fatto però dimenticare l’antica attività di cantante, così nel 2002, al termine del suo viaggio in Cina, ha inciso un brano con l’amico degli esordi giovanili Lucio Fabbri e, naturalmente, non poteva che essere dedicato alla compagna con la quale ha girato il mondo: E noi andiamo in Vespa.
Giorgio Bettinelli muore in Cina nel 2008 a causa di un’infezione ma a riprova del fatto di non aver mai interrotto i rapporti con alcuni dei componenti dei Pandemonium c’è la testimonianza di Gianni Mauro che, appresa la notizia dalla compagna cinese di Giorgio attraverso le mail che si scambiava col viaggiatore, pubblica un video con un epitaffio che dice tutto sul carattere di Bettinelli: “Ciao Giorgio (o meglio Bettino come ti ho sempre chiamato)! Sono Gianni Mauro (o meglio Gianni Murolo come mi chiamavi tu). Sei sempre un grande!! Stavolta hai organizzato in modo veramente straordinario lo SCHERZO” e il video con sovrascritta prosegue nello stesso tenore come se l’antico sodale fosse ancora in vita, sempre pronto a far festa e progetti per il futuro.
Giorgio Bettinelli è stato in fondo un filosofo fuori tempo, fuori moda, eppure centralissimo con la sua epoca e con il futuro: l’uso della Vespa per attraversare lo scadere del secolo è semplicemente un’idea geniale che, infatti, è rimasta nel tempo e nelle generazioni. La sua città natale, Crema, gli ha dedicato un ponte, a testimonianza di quelli che ha costruito con il resto del mondo in sella ad una Vespa.