Alla vita, ovvero all’amore, non si comanda. Di mamma sarda e babbo campano, è finito in Sicilia. Gianluca Enzo Buono è però nato e cresciuto a Sansepolcro, dove intraprese la carriera politica che lo portò tra l’altro a presiedere il Consiglio comunale dal 2007 al 2011, all’epoca del sindaco Franco Polcri. Ma galeotta fu propria la politica, che fece incontrare Gianluca con la futura moglie. Doriana era Consigliere comunale a Palermo, dove, nonostante la giovane età, svolgeva il ruolo di capogruppo in una Sala delle Aquile, la sala consiliare, “dai mille tranelli”.
Abbandonata entrambi la politica – “senza partiti non c’è politica” dice in coppia con la moglie – si sono rituffati nell’ambito lavorativo proprio di entrambe le famiglie (la mamma di Gianluca è lo chef del Borgo Palace Hotel): la ristorazione.
Ora gestisce con la moglie l’Osteria Ballarò, uno dei ristoranti più eleganti e rinomati di Palermo, a pochi passi dai “Quattro Canti”, in pieno centro. È social media manager e si occupa della comunicazione della propria azienda, oltre che di alcune altre, anche in virtù dell’esperienza fatta da responsabile internet di Pier Ferdinando Casini e dell’UDC.
Com’è la situazione virus nella tua città e nel resto della regione?
Il virus è stata una occasione di accoglienza per Palermo: ricorderete la comitiva bergamasca che a fine febbraio risultò in parte positiva e che ha vissuto qui una lunga quarantena. Inoltre a Palermo sono stati ricoverati in terapia intensiva vari pazienti Covid trasferiti dal nord. Ebbene c’è stata una vera e propria gara all’accoglienza da parte delle aziende, dei privati e delle istituzioni. Inoltre, sarà perché la sanità lombarda qui è stata sempre vista come l’eccellenza, c’è grande apprensione e partecipazione rispetto al dramma dei lombardi. E anche molta attenzione nei confronti dei medici, degli infermieri; spesso si sono verificati casi in cui, per esempio, sono stati fatti passare avanti al supermercato quando riconosciuti come tali. Su questo c’è stata una bella risposta.
La città ha osservato l’epidemia a distanza, temendola assai. Aspettavamo infatti nelle settimane scorse un picco di contagi che fortunatamente non c’è stato. Tutti hanno rispettato la quarantena, con poche ma eclatanti eccezioni, vedasi la Pasqua sui tetti del quartiere Sperone; ma sottolineo il fatto che in una zona storicamente periferia economica e sociale della città, siano stati gli stessi cittadini del quartiere a denunciare il fatto.
Catania e Messina contano un numero di contagiati ben più alto di Palermo, ma persino la piccola provincia di Enna quasi eguaglia con 318 attuali positivi i 346 positivi di Palermo. Gli attuali positivi siciliani sono ad oggi 2.202, con una terapia intensiva in progressivo svuotamento (il dato aggiornato a ieri sera è di 41 casi), e purtroppo contiamo 200 decessi.
A febbraio la Sicilia ha avuto uno sviluppo turistico sorprendente. Ad esempio, nel nostro ristorante abbiamo ospitato centinaia di cinesi qui per festeggiare il loro Capodanno, come poi abbiamo avuto coppie di turisti e piccoli gruppi dalle aree italiane più colpite dal Covid-19. Successivamente dal nord sono tornati molti studenti e lavoratori fuori sede, si calcola in 50mila, a cui è stato chiesto di registrarsi in un portale dedicato della Regione, mettersi in quarantena obbligatoria e sui cui poi sono stati e sono ancora effettuati i tamponi. Dal combinato disposto di tutto questo ci aspettavamo quel picco di contagi che fortunatamente non c’è stato. Qualche fattore ambientale e genetico ha evitato ciò? Non ho gli strumenti per dimostrarlo.
Le autorità locali sono state molto attente e scrupolose. Non so dire come, sotto stress, avrebbe reagito la sanità, fortunatamente il pericolo sembra lontano.
Come reagisce in Sicilia la gente ai provvedimenti presi dall’autorità?
Qui c’è molto più rispetto delle autorità di quanto si creda. Spesso i Sindaci in provincia sono persone di cui è facile fidarsi, perché la loro è una forma di volontariato. Poi ci sono anche situazioni gravi, di famiglie con 5-6 persone in appartamenti minuscoli. In Valtiberina quasi tutti hanno un giardino, a Palermo se hai un metro di balcone puoi dirti fortunato.
In generale il sistema ha retto, non si sono registrati furti. Ma economicamente la situazione può degenerare da un momento all’altro, anche perché in tantissimi lavorano ancora in nero (chi vende il pane all’angolo di una strada, chi lavora come donna delle pulizie, chi fa il fattorino…) e quelli ora sono a casa praticamente senza tutele, se non in taluni casi il reddito di cittadinanza. La mafia può trovare così nuovi soldati a buon mercato. C’è un’economia sommersa che non potendo rivolgersi alle banche si rivolge alla mafia, o si rischia che aziende già in difficoltà non trovando porte aperte nel sistema bancario si rivolgano agli usurai. Quella è la fine.
Capitolo a parte il turismo: la Sicilia negli ultimi anni, dopo la Primavera araba che ci aveva reso l’ultimo Mediterraneo visitabile, era entrata con forza tra le mete più gettonate, specie dall’estero e dagli altri continenti. L’insieme di bellezze architettoniche, storia, cultura, gastronomia e mare aveva fatto destagionalizzare il turismo che ora era da febbraio a fine ottobre, oltre che nel periodo natalizio. Sarà tutto da riscrivere.
Com’è cambiata la tua vita lavorativa e come sono cambiati i rapporti con le altre persone?
Il lavoro si è azzerato. Abbiamo una ricchissima carta dei vini, oltre 500 etichette, ed allora continuiamo a viziare la nostra clientela portando il vino a domicilio. Ma la nostra cucina è abbastanza elaborata e i nostri piatti non arriverebbero a casa in buone condizioni: immaginate di mangiare un succulento spaghetto di pasta fresca con un sugo di pesce dopo quindici minuti che la pasta è stata saltata in padella: un disastro.
Pertanto con mia moglie programmiamo il futuro. Stavamo per aprire un bar-pasticceria con primi espressi in Via Vittorio Emanuele, una delle principali vie del passeggio di Palermo, oltre a un laboratorio per produrre – con i nostri standard di qualità – i prodotti, a partire dal pane, i dolci, la pasta, per l’Osteria Ballarò e per il bar. Ora ripartiremo fin dall’inizio con il laboratorio per proporre piatti di gastronomia, pasticceria e pasta fresca da cucinare a casa con proposte molto innovative. Non ci si ferma!
Questa situazione è invece stata la felicità dei nostri bimbi, passiamo tantissimo tempo con loro, tutta la famiglia insieme. Lorenzo ha quasi cinque anni, Gaetano ne ha da poco 3, loro non vedono quasi mai me e Doriana insieme a casa; solitamente io e mia moglie ci alterniamo al lavoro, visto che l’Osteria è aperta 7 giorni su 7. Per noi ristoratori goderci la coppia, i figli e la casa è un qualcosa di incredibile. Ogni cosa ha il suo lato positivo, se si vuole, da cui si può ricavare energia. Un’altra piccola storia di umanità in questa situazione è che ogni sera i miei genitori raccontano ai nipotini, sia i miei figli che la figlia di mio fratello a San Giustino, la storia della buonanotte a distanza.
Che contraccolpi subirà il tuo lavoro e in quali tempi potrebbe tornare tutto alla normalità?
Una vera rivoluzione, gestiremo la ripartenza dell’Osteria come una nuova inaugurazione. Con un post sulla pagina dell’Osteria abbiamo spiegato alla clientela come potrebbe essere la ripartenza, distanze da mantenere, indicazioni sanitarie, necessità di prenotare, accompagnando ciò con pacchetti promozionali da acquistare prima della riapertura, per la nostra clientela più affezionata (abbiamo quasi 27mila fan su Facebook e una Newsletter da 1500 lettori).
Il nostro locale, che solitamente ospita 95 persone, ne potrà accogliere contemporaneamente molti meno. Ma – come sempre dopo ogni disastro – ci sarà la voglia di ripartire, di industriarsi, di riuscire, spero che da questa crisi ne verremo fuori con una umanità rafforzata e, lo spero tanto, rivedendo il nostro sistema globale di sviluppo: l’uomo deve avere maggior rispetto della sua specie e del mondo che lo ospita.
Come giudichi i provvedimenti per aiutare attività come le vostre e per tutelare i lavoratori dipendenti?
Il tema non è come siano i provvedimenti, sulla carta potrebbero essere anche interessanti. Finalmente avremo il credito alle aziende, essenziale per chi vuole progettare, allargarsi, industriarsi o semplicemente adeguarsi a quelle che saranno le nuove direttive nazionali anti-Covid. Ora sarà ancora più necessario: è una catena, ciascuna azienda non ha pagato i suoi fornitori, per ripartire servono soldi. Nessun vero imprenditore si aspetta donazioni di quattrini, ma qui nessun pagamento si è realmente bloccato: mutui, utenze, affitti, le aziende stanno pagando tutto pur non incassando nulla.
Accettiamo quindi di indebitarci per continuare a lavorare, per riprenderci in carico i dipendenti, ma lo Stato deve essere immediato. Invece qui nella crisi si è ancor più burocratizzata quell’elefantiaca macchina dello Stato, i nostri dipendenti aspetteranno chissà quante altre settimane prima di ricevere la mensilità di marzo della cassa integrazione straordinaria, vi sembra normale? L’Inps sa tutto di loro, bastava una notifica da parte delle aziende del codice IBAN di ciascuno. Sempre che i soldi ci siano… Quel che comunque per un imprenditore è peggio, ovvero può solo peggiorare la situazione economica, è l’assenza di una programmazione finalizzata al rilancio delle economia che non è solo un elenco di date per la riapertura.
Come vedi in questa fase il rapporto tra lo Stato centrale e le autonomie locali?
Ritengo le autonomie locali storia integrante d’Italia, elemento di sviluppo e vita delle comunità. Ma in Italia c’è stato, ad ogni livello, troppo protagonismo. Alcune strutture, come la Protezione Civile, non hanno brillato per organizzazione. A livello centrale più volte si è abusato delle parole a dispetto dei decreti. Non era semplice, ma l’Italia si è fatta trovare impreparata e non ha saputo correre ai ripari. Per la nostra classe dirigente è sempre più facile cercare il capro espiatorio piuttosto che trovare le soluzioni e, tra queste, provare a costruire un nuovo cammino europeo. Probabilmente gli italiani si sono comportati meglio della loro classe dirigente!
L’attuale emergenza non ti sta dando problemi solo sul lavoro, ma anche dal punto di vista dello studio.
Da un lato è anche buffo. Mi laureai nel 2005 ad Arezzo (facoltà di Lettere) e subito dopo mi iscrissi alla specialistica in Studi storici, ma l’impegno istituzionale in Comune e quello nazionale mi fecero deragliare negli studi. Il mio ultimo esame era datato 2009. Ma ogni percorso credo vada concluso e comunque studiare mi è sempre piaciuto. Ho dato gli ultimi cinque esami dopo la nascita di Lorenzo e in attesa di Gaetano. La mia tesi magistrale “Sul popolarismo di Luigi Sturzo: una riflessione storico, politica, dottrinale” era pronta ed approvata dal mio relatore, il senatore Paolo Bagnoli. L’appello era per aprile, forse se ne parlerà a giugno. Evidentemente me la devo sudare fino in fondo questa laurea magistrale!
Con quale messaggio vuoi concludere questa intervista?
Non ho nonni da molti anni. Forse per questo mi capita di pensare ai tanti nonni che non abbiamo saputo proteggere; se ne sono andati senza nemmeno un saluto. Anche nel loro nome dobbiamo ripartire, non prima di averli degnamente salutati.