Partecipare alle Olimpiadi è il sogno di ogni sportivo, un sogno che molti inseguono invano e che solo pochi riescono a realizzare. Fred Morini ci è riuscito e ha portato con sé a Tokyo anche il nostro territorio, dando il suo fondamentale contributo a una delle imprese più emozionanti nella storia recente dello sport italiano, il titolo olimpico conquistato dal quartetto azzurro nell’inseguimento maschile a squadre di ciclismo su pista. Un oro fantastico centrato al termine di un duello serrato contro la favoritissima Danimarca e impreziosito da un tempo spaziale, quel 3’42”032 che rappresenta il nuovo record del mondo e che resterà scolpito nella memoria di tutti gli appassionati. Simone Consonni, Francesco Lamon, Jonathan Milan e Filippo Ganna sono stati i quattro moschettieri della vittoria azzurra, capaci di tirare fuori il meglio nel momento più importante e di capitalizzare l’encomiabile lavoro svolto dal Commissario Tecnico Marco Villa e da tutto lo staff azzurro. Uno staff in cui da oltre tre anni figura anche il tiberino Fred Morini, ex ciclista professionista che fu costretto a interrompere la sua carriera a causa di una drammatica caduta e che dopo aver superato grandi ostacoli si è rimesso in gioco diventando fisioterapista e osteopata tra i più apprezzati. Grazie alla sua determinazione, al suo coraggio e alla sua bravura è stato chiamato nello staff azzurro e si è ripreso quello che la sfortuna gli aveva tolto, coronando quel sogno inseguito da sempre: partecipare alle Olimpiadi e farlo da protagonista. Un traguardo meritato per Fred Morini, sportivo vero e appassionato, uomo che nel corso della sua vita ha dimostrato voglia di non mollare e di superare le difficoltà senza mai perdere il sorriso, diventando simbolo di coraggio e di tenacia. Fred ha coronato il suo sogno e noi abbiamo gioito con lui, in un’edizione dei Giochi Olimpici che ha regalato risultati eccezionali all’Italia.
Fred prima di raccontarci le emozioni “a cinque cerchi” che hai vissuto a Tokyo ti chiedo come è iniziata la tua avventura nello staff della nazionale?
Circa tre anni e mezzo fa mi chiamò Marco Villa, Commissario Tecnico della nazionale italiana di ciclismo su pista, che conoscevo già dai tempi in cui correvo. Avevo già trattato i muscoli di alcuni corridori in qualità di fisioterapista e gli avevano parlato bene di me. Eravamo nel gennaio del 2018. Andai con il team olimpico a un raduno a Roubaix e le cose andarono bene quindi iniziò ufficialmente l’avventura, prima da fisioterapista e poi da osteopata. Sono entrato a tutti gli effetti nello staff della nazionale su pista e ho avuto la possibilità di lavorare anche nel gruppo strada, seguendo tra gli altri Ganna nella crono.
Quanto è stato emozionante partecipare alle Olimpiadi? Come descriveresti ciò che hai provato?
Ti dico la verità. È impossibile spiegare a parole quello che si prova nel prendere parte ai Giochi Olimpici. È un’emozione unica e infinita che ti accompagna dal primo all’ultimo istante e che ti fa vivere un’atmosfera surreale, magica. Io se mi passi la definizione “mi nutro di sport” e appena ho saputo che avrei fatto parte del gruppo olimpico ho provato una gioia indescrivibile. Ancora dovevo partire e già avevo i brividi. I Giochi Olimpici sono l’essenza dello sport e dei valori più nobili che esso racchiude e uniscono in un unico evento i migliori atleti di ogni disciplina e di tutto il mondo. Le Olimpiadi rappresentano un momento di condivisione e di interazione, di passioni condivise, di culture differenti che si incontrano, di speranze, di concentrazione, di adrenalina per dare il massimo in quello che è il palcoscenico sportivo più importante. Prima di partire lo supponevo, a Tokyo ho avuto modo di capire che la realtà va anche oltre l’immaginazione. Sensazioni che si respirano e si avvertono soprattutto nel Villaggio Olimpico, il top in assoluto anche se chiaramente c’era un protocollo molto rigido a causa del Covid.
Qual è la cosa che ti ha colpito di più del Villaggio Olimpico?
Ti racconto due aneddoti per provare a spiegare il clima che si respirava. Il primo è lo scambio di spille tra chi gli abitanti del Villaggio, quindi atleti, membri degli staff o dei vari comitati. Nelle stringhe dei pass che ci consegnavano vedevi passare spille di ogni nazione perché c’era tanta voglia di condividere l’esperienza, di conoscersi e di conservare qualcosa. Non ci sono divisioni o barriere tra nazioni e tra atleti. Tutti parlano con tutti ed è bellissimo così. Un episodio speciale si è verificato la sera in cui Jacobs ha vinto l’oro nei 100 metri di atletica. Noi ci eravamo allenati tardi e siamo andati a cena abbastanza tardi, così nel momento in cui si disputava la gara eravamo ancora a tavola. Il cellulare più carico come batteria era quello di Viviani e così ci siamo letteralmente aggrappati per guardare la finale nel suo telefono. Jacobs ha vinto il titolo come tutti sanno e noi abbiamo esultato tantissimo, perché vivi davvero al massimo ogni momento e senti come non mai la bellezza di rappresentare il tuo paese. Noi abbiamo festeggiato e questo era normale, ma la cosa fantastica è stata che i rappresentanti delle altre nazioni ci hanno applaudito e omaggiato. Ci siamo sentiti ancora più orgogliosi e questo è stato un segno inequivocabile di quello che è lo spirito olimpico.
Bellissimo davvero. Veniamo al ciclismo su pista e a quel meraviglioso oro nell’inseguimento a squadre. Come si arriva al massimo al grande appuntamento e quale era l’obiettivo prima di partire per Tokyo?
La preparazione è molto importante e avviene in varie fasi per arrivare al massimo della condizione psico-fisica al giorno della verità. La squadra ha svolto un grande lavoro e posso dirti che nell’ultimo raduno pre-olimpico i tempi realizzati dai ragazzi sul giro erano paragonabili a quelli che ci hanno permesso di battere il record del mondo. Le aspettative di conseguenza erano abbastanza alte, ma nessuna pressione particolare perché poi in gara tanti possono essere i fattori che cambiano le carte in tavola, a partire dallo stress e dalle condizioni generali. Sapevamo di essere tra le 3-4 nazioni che potevano giocarsi l’oro, ma ci arrivavano voci di un’Australia e soprattutto di una Danimarca al top della forma. Noi abbiamo mantenuto un profilo basso e abbiamo poi parlato in pista.
La squadra ha fatto bene fin dal primo turno e poi in finale una prova da incorniciare che è valsa oro olimpico e record del mondo. Ci racconti come hai vissuto da dentro tutto questo?
Sono stati giorni intensi e devo dire che il CT Marco Villa ha confermato di essere davvero un fuoriclasse nel suo ruolo. Non solo nel lavoro preparatorio, tecnico, tattico, ma proprio nella gestione mentale dello sforzo e della tensione. Ha detto ai ragazzi di impostare ogni turno come se fosse la finale e di dare il massimo per non avere rimpianti. Tutti noi abbiamo ragionato come se fosse così e il concetto lo ripetevamo anche nelle varie sedute che effettuavamo a livello muscolare, io e anche il mio collega e amico Piero Baffi, con cui ho condiviso tutta questa bella avventura. Quando abbiamo conquistato l’accesso alla finale ci siamo detti che la medaglia era in cassaforte, ma che se avessimo limato alcuni piccoli errori nei dettagli potevamo dar filo da torcere anche ai fenomenali danesi. La strategia è stata perfetta e sapevamo bene che contenendo il distacco nel finale di gara Pippo Ganna poteva trascinarci all’impresa. E così è andata. Che emozione anche solo a ripensarci!
È stato un oro di gruppo e ovviamente il merito è di tutti i ragazzi oltre che dello staff per il lavoro svolto, però Fred, senza voler far torto a nessuno, credo che Ganna una citazione speciale la meriti. Ma quanto è forte visto da vicino?
Se abbiamo vinto l’oro il merito è del team e senza il contributo di tutti non sarebbe stato possibile salire sull’Olimpo. Chiaro che Pippo è il nostro fuoriclasse, il campione che trascina la squadra e tutti nel gruppo gli riconoscono questo ruolo. Milan, Consonni e Lamon sono stati i primi a dire “se teniamo duro poi Pippo ci fa rimontare”. Lui è un campione ed è grazie a lui se il quartetto italiano è così forte. Ha una potenza e delle caratteristiche fisiche incredibili, che si percepiscono anche nel corso dei massaggi. Il suo potenziale è enorme, poi grande merito per quello che riguarda la sua crescita è di Marco Villa che lo ha aiutato tanto. Ganna comunque è un fenomeno e questa volta per fortuna il fenomeno ce l’abbiamo noi!!
Ci racconti la tua emozione quando hai visto gli azzurri tagliare per primi la linea d’arrivo e per di più con il nuovo record del mondo?
Mi vengono ancora i brividi se ci penso. Ho provato una grandissima emozione e una gioia irrefrenabile. Ho pianto dalla felicità scaricando probabilmente anche la tensione accumulata nell’ultimo periodo. Commozione e orgoglio condiviso con una squadra fortissima, con un gruppo meraviglioso e con tutti gli italiani credo. Il mio ruolo è quello di osteopata, quindi lavoro sulla muscolatura degli atleti in un momento importante per tanti aspetti. Poi tra me e i ragazzi si è creato davvero un gran bel feeling e il clima è sempre bello da vivere. Ho imparato nella mia vita a prepararmi per evitare gli imprevisti, quindi mi ingegno per trovare soluzioni in caso di problemi. Mi sono ritrovato a cucinare riso ai box ad esempio o è capitato che se mancava qualcosa Pippo Ganna rispondesse “chiedete a Fred, qualsiasi cosa lui ce l’ha”. Gli aneddoti sarebbero tanti, ma la cosa più bella è che sono orgoglioso di far parte del gruppo e di quello che abbiamo vissuto insieme.
La nazionale di ciclismo su pista può contare anche su un altro campione, Elia Viviani, che non è riuscito a bissare l’oro ma che ha comunque conquistato un bellissimo bronzo. Come lo hai vissuto?
Elia era la riserva del quartetto, il capitano e il portabandiera dell’Italia ai Giochi. È stato vicino alla squadra e con le sue parole, i suoi incoraggiamenti è stato fondamentale soprattutto per i più giovani. Ha fatto da punto di connessione tra staff e squadra e in più essendo portabandiera ha dovuto presenziare a numerosi impegni di rappresentanza, cosa che gli è costata energie psico-fisiche preziose. Un ruolo che comporta onore e responsabilità. Nonostante tutto ha vinto una splendida medaglia di bronzo. Formidabile!
Fred, andare da protagonista alle Olimpiadi era un sogno e possiamo dire che è l’ennesima sfida vinta nella tua vita?
Fin da quando faccio sport ho sempre desiderato partecipare alle Olimpiadi e mi dicevo “un giorno ci sarò anche io”. Se non avessi avuto l’infortunio avrei provato ad arrivarci da atleta, dato che ero veloce e che me la cavavo bene anche su pista, ma così non è stato. Arrendersi non rientra proprio tra le mie caratteristiche quindi ho continuato a inseguire il sogno e sono felicissimo di averlo coronato a Tokyo!
Le Olimpiadi hanno regalato entusiasmo a tutti gli sportivi. Cosa fare per sfruttare la scia?
Non ci dobbiamo dimenticare fino alla prossima edizione dei Giochi delle discipline sportive che purtroppo di solito non godono di grande visibilità e di atleti che ci hanno regalato grandi emozioni. Mi auguro che si investa nelle strutture, che si possa permettere a tutti di praticare lo sport desiderato nel migliore dei modi perché non possiamo prescindere da questo. Lo sport fa bene a chi lo pratica e anche a chi lo vive, sia sotto il profilo fisico che psicologico. Il patrimonio che ci è stato lasciato dalle Olimpiadi di Tokyo non deve essere sprecato. È una grande occasione!
I tuoi obiettivi per il futuro?
Io non ho mai smesso di pormi obiettivi o di sognare e così farò per sempre. Vorrei continuare a lavorare in realtà importanti e partecipare a competizioni di alto livello. Darò il massimo per riuscirci, come osteopata e come uomo di sport. Ci sono ancora tante sfide che mi aspettano!