Francesco Masi, che feeling con il gol!

Attaccante formidabile nel “vedere la porta”, in carriera ha segnato oltre 200 gol ed è stato protagonista a Sansepolcro di una grande stagione nel 1995-96. Su TeverePost la storia calcistica del bomber Francesco Masi

Masi dopo un gol con la maglia del Montevarchi

A volte basta meno di una stagione per lasciare un segno indelebile in una squadra e per restare nella storia di un club. Così accadde a Sansepolcro per Francesco Masi, ex formidabile attaccante che indossò la casacca bianconera nel 1995-96, annata calcistica rimasta nella memoria collettiva per i 14 punti di penalizzazione e per il duello-promozione in Serie D con l’Arezzo. Francesco arrivò dopo la squalifica di Guidotti e trascinò la squadra di mister Trillini a suon di gol. Per il team biturgense fu, anche senza il trionfo finale, una cavalcata eccezionale, per il giovane Masi fu trampolino di lancio in una carriera ricca di soddisfazioni e gol. Cresciuto nel vivaio della Fiorentina, nel suo percorso ha militato anche con Prato, Ponsacco, Aglianese, Montevarchi, Rondinella e Cappiano, poi in tante compagini del panorama dilettantistico con cui ha continuato a giocare fino a quasi 40 anni. Conservando intatta la passione per questo sport, nonostante gli infortuni che hanno caratterizzato la sua avventura. Cadute e rinascite, oltre 200 gol totali segnati tra professionisti e dilettanti, campionati vinti e stagioni memorabili. Appese le scarpette al chiodo, Francesco è rimasto nel mondo del calcio, oggi allena gli Allievi Regionali del Coiano Santa Lucia e ha iniziato qualche anno fa il suo percorso in panchina nel settore giovanile della Vaianese, società in cui mosse i primi passi da giocatore. E proprio da lì comincia il nostro viaggio.

Quando è iniziata la tua avventura nel calcio?

Giocare al pallone mi è sempre piaciuto, fin da quando ero bambino. All’inizio nei campetti di Vaiano con i miei amici, poi 3 anni di settore giovanile nella Vaianese e quando avevo 11 anni alla Florentia, guidata da Mario Mazzoni che anni prima era stato mister alla Fiorentina. Ero entrato in orbita viola e il mio passaggio alla Fiorentina si concretizzò nei Giovanissimi B. Allenatore era Luciano Chiarugi e in squadra assieme a me c’erano anche Flachi e Amerini. Restai alla Fiorentina fino alla categoria Juniores. Furono anni belli che mi permisero di crescere. I sacrifici non mancavano visto che per andare agli allenamenti e alle partite facevo avanti e indietro con treno e autobus, ma ne valeva la pena e l’esperienza in viola fu per me una palestra di calcio e di vita. Conservo ancora ricordi meravigliosi.

Masi bambino a inizio carriera alla Vaianese

Ci racconti l’emozione più intensa?

Con la Fiorentina vinsi vari tornei, ma il momento più bello fu il match amichevole che noi allievi nazionali disputammo al Franchi di Firenze contro la Nazionale Italiana di Baresi, Ferri, Vialli, solo per citare alcuni di quei campioni. Io ero un sognatore e avevo il calcio sempre in testa, quindi immagina la mia emozione nel trovarmi a giocare con i migliori calciatori italiani del periodo. Ho sempre tifato Milan e il mio mito assoluto era Van Basten, ma anche Vialli mi piaceva e a fine gara ci scambiammo la maglia. Fu straordinario. Ricordo che in quella partita mi marcava Riccardo Ferri e che gli feci tunnel. Diciamo che non la prese benissimo.

Finita l’avventura con la Fiorentina cosa accadde?

Passai al Prato e con la Primavera guidata dall’ex viola Roberto Galbiati mi laureai capocannoniere siglando 21 gol. Eravamo forti e fino all’ultimo turno eravamo al comando della classifica, ma nella sfida conclusiva perdemmo in casa proprio contro la Fiorentina, scivolando al 3° posto. Tra le reti segnate ne ricordo una al volo in mezza rovesciata contro l’Empoli in trasferta sugli sviluppi di un corner e anche una realizzata nella gara di andata contro i viola, pareggiata 1-1. Con il Prato feci anche il mio esordio in prima squadra e fu un esordio speciale. Eravamo in C1, l’allenatore era Bicchierai e giocavamo in Coppa Italia contro il Pontedera. Dopo 19 minuti mi arrivò un passaggio orizzontale e calciai di prima intenzione infilando la sfera al paletto senza lasciare scampo al portiere avversario, Drago. Debutto e gol, davvero una grande emozione. Peccato che in campionato giocai pochissimo.

A fine stagione?

Bicchierai passo sulla panchina del Ponsacco in C2 e mi voleva con sé. Ero militare e così a dicembre andai, in prestito. Fu una buona stagione per me, la prima da titolare in pianta stabile in prima squadra. Segnai 6 gol e ci salvammo ai play out contro il Giorgione. Il Ponsacco a fine stagione mi voleva riscattare, ma il Prato alzò troppo le pretese e così nell’estate del 1995 tornai alla base. A fine preparazione mister Veneri mi fece capire che avrei avuto poco spazio, così parlai con il presidente Toccafondi che mi dette il cartellino. Ero un po’ demoralizzato, ma poi arrivò la chiamata del Sansepolcro e fu la svolta. Anche altre squadre mi avevano cercato, ma a pelle quella mi sembrò l’occasione giusta. E così fu.

Al Sansepolcro

Anche in bianconero esordio con gol, in una stagione dalle mille emozioni. Quali i momenti più belli?

La società mi prese per sostituire Guidotti, quindi arrivai quando la situazione che portò alla penalizzazione era già “scoppiata”. Il mio inserimento fu ottimale, mi trovai molto bene con mister Trillini, con i compagni e con tutte le persone che ruotavano attorno alla squadra. L’esordio fu indimenticabile. Era il 3 dicembre e giocavamo a Pontassieve. Su una rimessa laterale per noi Tarini spizzicò il pallone e io anticipai il portiere di interno sinistro siglando il gol decisivo. Vincemmo 1-0 e quello fu il primo di una serie di successi di misura, spesso caratterizzati da miei gol. Da dicembre a fine stagione realizzai 10 reti, un bel bottino che mi permise di rilanciarmi. Ricordo un rigore importante firmato con l’Impruneta e il gol vittoria con la Sangiovannese.

Al Buitoni dagli undici metri

Ci racconti il tuo gol nel derby contro i valdarnesi?

Pippo Renzoni saltò due avversari sulla destra e crossò nei pressi dell’area piccola, io mi gettai in spaccata e arrivai sul pallone in anticipo sul difensore mettendolo al paletto. Era una gara molto sentita al cospetto di una squadra forte che tra l’altro mi aveva cercato e il gol era importante, così nell’esultare mi tolsi la maglia e la lanciai verso i nostri tifosi che per fortuna me la ritirarono. La partita infatti non era ancora finita.

La penalizzazione di 14 punti fu decisiva per il successo finale. Quale atmosfera si respirava nel gruppo?

Dispiacere per quello che era avvenuto e per la pesante penalizzazione, senso di impotenza perché quanto era stato deciso non poteva essere cambiato, ma anche voglia di non mollare e di dimostrare che eravamo noi la squadra più forte. Il duello con l’Arezzo fu intenso e vivemmo con grande attenzione l’ultima partita in casa con gli amaranto proprio perché volevamo chiudere con un risultato che ci permettesse di ottenere sul campo più punti di loro. Pareggiammo 0-0 e ci riuscimmo. Non contava nulla a livello pratico, ma fu una soddisfazione. L’Arezzo era forte, noi lo stesso e meritavamo di lottare fino alla fine per la promozione.

Come ti trovasti a Sansepolcro?

All’inizio dormivo in albergo, poi mi trasferii in appartamento con Bellemo, Renzoni e Tarini. Si stava bene e mi piaceva sia Sansepolcro che la Valtiberina. Casa e calcio erano le priorità anche se il sabato facevamo un giretto in centro e sentivamo l’affetto della gente. Una bella esperienza, in un bel gruppo, perché la rosa era formata non solo da calciatori forti, ma prima di tutto da uomini veri. Siamo tra l’altro rimasti in ottimi rapporti e ci sentiamo ancora. Speriamo che la pandemia finisca presto per poter festeggiare il centenario della società con una bella partita, così come anticipato dall’attuale presidente Giorgio Lacrimini, uno dei leader di quel gruppo. Sarebbe meraviglioso ritrovarsi.

Come e quando avvenne il ritorno nei professionisti?

Nel 1996-1997 all’Aglianese in Serie D mi confermai su alti livelli e realizzai 18 gol. Finimmo il campionato al 4° posto e ero ormai diventato un attaccante importante per la categoria. Segnavo tanto ed ero in costante ascesa. In squadra con me c’era Guido Carboni che aveva giocato a Montevarchi. Mi segnalò al ds Sili che dopo avermi visto mi offrì un biennale. Avevo la possibilità di giocare in C1 e misurarmi tra i professionisti, quindi accettai con entusiasmo. Giocai 5 stagioni in rossoblù, con tante soddisfazioni, ma anche purtroppo con un brutto infortunio. Nella prima stagione da subentrante siglai 7 gol. In panchina c’era mister Discepoli che all’inizio mi dosava con il contagocce, ma che così facendo mi spronò a dare ancora di più. La stagione seguente iniziammo con Arrigoni, poi tornò Discepoli e io continuai a fare bene, segnando per esempio una meravigliosa doppietta all’Ardenza contro il Livorno. Ero al top. La società aveva fiducia in me e mi prolungò il contratto di altri 3 anni. Purtroppo però la terza stagione a Montevarchi fu quello dell’infortunio.

Cosa accadde?

Ero partito alla grande, con 5 gol nelle prime giornate. Avevo richieste anche dalla Serie B, compresa quella della Salernitana con cui c’era già un’intesa di massima. Purtroppo però contro il San Donà fuori casa in uno scontro a centrocampo mi ruppi il crociato del ginocchio destro. Mi operai, ma l’intervento non andò bene, quindi fui costretto a tornare altre due volte sotto i ferri. Ripresi ad allenarmi a fine aprile, con la squadra invischiata nella lotta per non retrocedere e pur non essendo al meglio giocai i play out contro il Lumezzane che decretarono la nostra retrocessione. Un anno saltato quasi del tutto e il treno per la Serie B perso. Per fortuna il contratto era stato rinnovato così rimasi a Montevarchi in C2 con Braglia, ma non ero ancora al top e segnai 6 reti. Iniziai l’anno dopo con mister Baroni, poi a stagione in corso passai in C2 alla Rondinella. Retrocedemmo, ma io ritrovai la condizione e terminai il campionato con la doppietta al Poggibonsi.

In azione con la maglia del Montevarchi

Non ti arrendesti e da quel momento cominciò un’altra fase importante della tua carriera.

La Rondinella fallì e io accettai la proposta del Cappiano Romaiano in Serie D. Mi convinsi dopo le parole di fiducia del ds Tommasi e anche con mister Di Stefano mi trovai bene. Fu una grande annata, per la squadra e per me. Vincemmo il campionato e io mi laureai capocannoniere con 18 gol pur saltando le ultime 10 gare a causa di uno strappo. Rientrai nella poule Scudetto contro il Ravenna e segnai anche lì. In estate ci fu una fusione societaria e nacque la Cuoiopelli Cappiano che per la prima volta partecipò al campionato di C2. La squadra fece bene e io lo stesso, dato che siglai 10 gol, uno dei quali, di testa in anticipo con sfera infilata al palo opposto, con il San Marino. “Ho segnato anche all’estero”, dicevo per scherzo.

Poi come si sviluppò la tua carriera?

La Cuoiopelli Cappiano mi voleva tenere, ma avevo circa 30 anni e non potendo più salire di categoria decisi che era il momento di pensare al futuro. Iniziai a lavorare nell’azienda tessile di famiglia e tornai in Serie D. Non volevo smettere di giocare, ma volevo far coincidere le due cose e avere meno impegni. Giocai quindi prima con il Forcoli, avventura durante la quale mi operai all’ernia al disco, poi con Larcianese e Scandicci. Nel 2006-2007 passai all’Impavida Vernio in Eccellenza dove con 8 gol detti il mio contributo alla clamorosa salvezza, conquistata nel play out con il Cavriglia. Da quel momento in avanti cambiai squadra praticamente ogni anno, andando nelle realtà che mi ispiravano di più. Calenzano in Eccellenza, poi di nuovo Vernio, poi Prima Categoria con La Querce, annata in cui segnai 10 gol tra cui quello nello spareggio con il Montignoso che valse la vittoria finale. Importante anche la stagione in Promozione con il Tuttocuoio guidato da mister Alvini, che ora allena la Reggiana. Era innovativo, scrupoloso e si vedeva che avrebbe fatto strada. Anche in questo caso vincemmo il campionato, così come accadde quando ero al Pistoia Club in Prima Categoria. Gli ultimi due anni della mia carriera li trascorsi allo Zenith Audax e al Santa Barbara, poi nel 2013 dissi basta. Senza rimpianti e avendo segnato gol in ogni stagione. In totale ne ho fatti più di 200. Nel conteggio mi ha aiutato mio fratello Massimiliano, giornalista a Prato Tv e grande appassionato di calcio, che mi segue da sempre. Diciamo che 203 sono certi, ma sono di più e qualcuno ci è sfuggito.

Il compagno di reparto più forte, il marcatore più tosto e gli allenatori decisivi nella tua crescita?

Il primo anno a Montevarchi in attacco c’era anche Bernardo Corradi, che poi ha fatto una grande carriera, mentre tra gli avversari dico Bellini, marcatore della Pistoiese che affrontai tante volte quando ero proprio a Montevarchi. Era corretto, ma fortissimo e i nostri duelli erano sempre intensi. Io ero al top, ma con lui faticavo. Ci siamo rivisti anni dopo e davanti a un buon caffè gli ho detto “era dura andarti via e mi mettevi sempre in difficoltà”. La sua risposta è stata: “tu dici così di me, ma per me era davvero dura marcarti”. Per un allenatore la cosa più importante è creare feeling con i giocatori. Per questo dico Trillini e poi seppur con i suoi modi Discepoli. Anche Braglia con il suo carattere è stato importante e poi le capacità di innovazione di Alvini. Il gruppo comunque è fondamentale ed è la priorità a ogni livello.

Quali erano le tue caratteristiche migliori?

Ero un bomber di razza e questa dote mi ha consentito di fare una bella carriera. Da sola non sarebbe però bastata. Ho affrontato ogni avventura con determinazione e voglia di migliorarmi attraverso gli allenamenti. La passione e la voglia di giocare mi hanno spinto a dare il massimo con professionalità e grinta. Nei periodi belli e soprattutto in quelli negativi, perché la mia carriera è stata segnata da tanti infortuni e da altrettante risalite. Se non mi fossi allenato bene e se non avessi avuto l’atteggiamento giusto non sarebbe certamente stato possibile. “C’è sempre un’altra gara e c’è sempre un’altra occasione”, mi ripetevo nei momenti in cui le cose non giravano. Così mi rimboccavo le maniche e ripartivo. Senza gli infortuni la storia sarebbe stata diversa e avrei potuto giocare in Serie B, ma sono felice di quanto ho fatto perché me lo sono conquistato. Ho militato nei professionisti, ho assaporato la passione che anima il calcio dilettantistico e mi è piaciuta. In campo ero un leone, anche se al di fuori sono riservato. Il calcio è stata la mia vita: ho dato tanto e ricevuto tanto, ma le sfide e le emozioni non sono certo finite.

Sulla panchina delle giovanili della Vaianese Montemurlo

Sogni nel cassetto?

Mi piace molto allenare. Ho preso il patentino nel 2006 e da quando ho smesso di giocare mi sono dedicato ai giovani. Ho iniziato nel vivaio della Vaianese e oggi alleno gli Allievi Regionali del Coiano Santa Lucia, bella realtà in cui mi trovo molto bene. Tanti i momenti belli, che vanno oltre risultati e vittorie e che consentono di veder crescere giovani calciatori a livello umano e sportivo, individuale e come gruppo. Mi auguro che si possa uscire presto da questa situazione di emergenza per tornare al calcio che amiamo e in futuro mi piacerebbe guidare una prima squadra, raggiungendo il massimo di ciò che è nelle mie possibilità. Non sarà facile, ma nel calcio sognare è lecito.

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