Federico Greco sa che farà il regista da quando, a cinque anni, vide il disneyano L’isola sul tetto del mondo durante il cineforum dell’asilo. Da allora non ha mai immaginato altro destino e ha concentrato tutte le sue risorse mentali ed economiche su questo obiettivo. Non ha voluto mai fare corsi di regia per la paura che gli venisse imposto uno stile e una prospettiva non suoi, anche perché fin dall’età di 10 anni era stato comunque già marchiato a fuoco da una visione, lasciato solo ad assorbirla in una sala d’essai della provincia marchigiana: 2001 – Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. In maniera del tutto contraddittoria ha iniziato presto, invece, a insegnarlo lui, il cinema. Proprio a Sansepolcro. Non ha mai creduto nella continuità tematica e stilistica come strumento di riconoscibilità autoriale (perché, in definitiva trattasi nella maggior parte dei casi di una condizione di mera autopromozione) e ha spaziato dai documentari d’arte ai film narrativi horror, dai documentari sulla macroeconomia alle web serie commedia. Ultimamente sta lavorando a un libro che coniuga psicanalisi junghiana, antropologia, analisi industriale, cinema e cultura pop. “Finché riuscirò a campare con quello che faccio e finché nessuno mi smaschererà, continuerò così”, ci dice.
Hai un legame speciale con la Valtiberina, cosa ti ha portato qui ormai diversi anni fa?
È vero, con la Valtiberina ho un legame in origine professionale ma che col tempo è diventato affettivo. Anzi, direi un vero e proprio legame emotivo. Di quelli da farti battere il cuore alla sola idea di risentire quegli odori e rivedere quelle persone. Vivo a Roma e invento ogni scusa possibile per tornare. Come, qualche anno fa, una breve vacanza in tenda con mio figlio.
Risale tutto a ormai più di venti anni fa, quando fui inviato in qualità di giornalista a seguire un festival di cortometraggi che si teneva a Sansepolcro. In seguito iniziai a collaborare con il circolo MetaMultiMedia e a tenere dei corsi di cinema, regia e scrittura. Finché intorno al 2008-2010 ho realizzato come regista due documentari: Piero della Francesca e il Polittico della Misericordia, prodotto da Filippo Massi e Francesca Piccini, e Voci Migranti, commissionato dalla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale onlus. Entrambi sono stati trasmessi proprio in questi giorni di quarantena da Ttv. Per me sono state esperienze formidabili, sia professionalmente che umanamente. E un pretesto per approfondire i miei studi culturali e sociali.
Tre anni fa hai presentato PIIGS, un film documentario che racconta i risultati dell’austerità in Europa.
Si tratta di un lungometraggio ideato, diretto e prodotto con Mirko Melchiorre e Adriano Cutraro che nella primavera del 2017 è stato distribuito al cinema per nove settimane, in seguito è stato trasmesso dalla RAI e infine acquistato da diverse televisioni internazionali (tra cui Russia Today e teleSur). Ha avuto uno straordinario e inaspettato successo – visto l’argomento apparentemente ostico – sia di critica che di pubblico.
PIIGS è il frutto di un lavoro decennale legato a doppio nodo a un forsennato studio del funzionamento dell’Unione europea e dell’eurozona. Per quanto mi riguarda è stato anche l’inevitabile approdo di una intensa militanza politica, che tuttora prosegue, volta a divulgare la realtà dietro le intenzioni della nascita dell’Ue: un progetto di progressivo impoverimento dei popoli europei attraverso dogmi basati sull’economia della scarsità ma propagandati come unica alternativa possibile all’isolamento dei singoli paesi europei nei confronti del resto del mondo. In queste settimane la realtà si sta premurando di smascherare tali dogmi uno dopo l’altro: necessità di un tetto molto basso al deficit e al debito pubblico, il pericolo indiscriminato dell’inflazione, la necessità di un vincolo esterno, la strumentale sovrapposizione dei concetti di sovranità monetaria e nazionalismo ecc… Per i meno disattenti è infatti ormai chiaro che l’eurozona è l’unico continente del pianeta (eccetto alcuni paesi africani) in cui i singoli Stati non possono creare denaro per fare fronte all’emergenza sanitaria ed economica (devastante come quella sanitaria). Siamo però letteralmente circondati da governi che, come si è sempre fatto e ancora si fa ovunque eccetto che nell’Ue, stampano moneta facendo deficit a due cifre senza che ciò sia un problema per le proprie economie: Gran Bretagna, Giappone, USA, Canada, Cina.
In tutto questo manca un punto di vista di sinistra.
Le analisi della sinistra in questi ultimi trenta anni hanno fotografato una realtà drammatica di progressiva distruzione dello stato sociale, ma sono rimaste sempre completamente e colpevolmente cieche rispetto al “Che fare?” gramsciano. Nel 1923 Gramsci diceva: “Perché i socialisti sono sempre stati deboli dal punto di vista rivoluzionario? Perché hanno fallito quando dovevano passare dalle parole all’azione? Essi non conoscevano la situazione in cui dovevano operare, essi non conoscevano il terreno in cui avrebbero dovuto dare la battaglia.” Aggiornando la riflessione, quel terreno oggi sono l’eurozona e l’Ue. Una critica qualsivoglia a questo paradigma è vietata soprattutto a sinistra, la zona politica dove c’è la maggiore ignoranza e vigliaccheria su questi temi. “Che fare dunque? Da che punto incominciare? Ecco: secondo me bisogna incominciare proprio da questo; dallo studio”, concludeva Gramsci, inascoltato allora come oggi. D’altronde è proprio quello che facciamo dire a Claudia attraverso la voce di Claudio Santamaria alla fine del nostro film: bisogna cambiare il terreno della battaglia. Portarla su un altro livello. Lottare nella stanza più grande. Oggi la lotta non si combatte più solo sul terreno del conflitto di classe ma anche e soprattutto su quello ancora più verticale tra capitale finanziario e stati democratici, divenuti terreno fertile per la speculazione da parte di conglomerati di potere economico internazionali. È una condizione non sufficiente, certo, ma altrettanto necessaria perché si torni a consentire all’Italia di fare politiche economiche per i salari, l’occupazione, la redistribuzione della ricchezza e la giustizia sociale. Dentro questa (irriformabile) Unione europea nessuna di queste lotte è più possibile da decenni, perché i Trattati hanno accorciato e congelato la coperta: se con una mano dai con l’altra devi togliere da qualche altra parte. Solo aprendo gli occhi su questo, e sapendo riconoscere il vero cancro, ci si può dire davvero europeisti.
Quanto l’austerità ha influito nell’attuale catastrofe sanitaria in Italia?
L’austerità è il vero virus, e lo abbiamo contratto nel 1992, anno della firma del trattato di Maastricht. L’austerità è ciò che ha costretto il nostro paese a tarparsi le ali dal punto di vista della spesa dello Stato. Se negli ultimi dieci anni non avessimo diminuito di 37 miliardi la spesa per la sanità pubblica, se non avessimo fatto avanzo primario negli ultimi 30 anni, se non avessimo seguito ciecamente i partiti della sinistra governativa privatizzatrice, partiti anti italiani e autorazzisti, pienamente neoliberisti, adesso saremmo in grado di fronteggiare meglio la pandemia e di salvare vite. Letta, Monti, Renzi, Gentiloni, Zingaretti, Bersani, Prodi, Conte e sardine varie da una parte e Salvini, Meloni e Grillo dall’altra (in qualità di finte opposizioni) sono i veri colpevoli delle tragedie che si consumano quotidianamente, da un mese, nelle corsie degli ospedali italiani, nelle RSA e nelle case di molti italiani. E da decenni ovunque in Italia. Perché solo oggi apriamo gli occhi sull’emergenza? Non era già un’emergenza il numero di suicidi per lavoro, in salita dal 2010 (tanto che l’Istat ha smesso di contarli)? Non era già un’emergenza la disoccupazione e la precarizzazione sempre più dilaganti? Non era già un’emergenza la distruzione dello stato sociale, della sanità, della scuola, della ricerca? Sono i diretti colpevoli anche della imminente catastrofe economica, quella che vedrà il fallimento di migliaia di piccole e medie imprese e lavoratori autonomi. Tutte le misure che questo esecutivo sta prendendo sono legate mani e piedi a quell’economia della scarsità dell’Ue, da loro fortemente voluta, che vede nei finanziamenti a debito – e non a fondo perduto come accade ovunque nel mondo – l’unico modo per l’Italia di far fronte alla pandemia. Se per qualche mese una massa monetaria di tale natura allevierà un po’ le tasche dei lavoratori, sul medio e lungo periodo non potrà che portare il paese in una condizione simile a quella greca del 2015. Soprattutto se accetteremo il MES, gli eurobond, il SURE e qualunque dispositivo di erogazione monetaria che non sia basato sull’emissione diretta di liquidità nei conti correnti di lavoratori, famiglie e imprese. In questi giorni e con questi attori in gioco, sui tavoli di Bruxelles, all’eurogruppo, al Consiglio e alla Commissione europei davvero non c’è alternativa a un futuro col cappio al collo. A meno che non prendiamo tutti coscienza che c’è un paradigma intero da ribaltare, immediatamente, non domani: quello imposto dai trattati. Tutto il resto sono cerotti sul corpo di un malato di cancro.
Personalmente come stai vivendo la situazione?
Da questo punto di vista non è cambiato molto, per il momento, a parte il fatto di aver perso, come moltissimi, diversi lavori e dunque reddito. Caso ha voluto che questo per me – privilegiato rispetto all’enorme massa di persone che sta letteralmente morendo di asfissia monetaria (e spegnendosi per la depressione) – sia un momento di grande impegno nella scrittura. Se tutto va bene nell’arco di qualche mese usciranno due libri, uno firmato con Mirko e Adriano, coautori di PIIGS, e un altro tratto dalla mia tesi di laurea su Guerre stellari: una riflessione che usa il film di Lucas come pretesto per riflettere sull’importanza della narrazione epica come strumento di stimolo all’autoanalisi collettiva in periodi di profonda crisi culturale e politica. Un lavoro che spazia da Aristotele a Campbell. Pretesto anche per qualcos’altro di altrettanto importante per me: una autoanalisi esistenziale attraverso “Il viaggio dell’eroe” di influenza junghiana.
Quali altri progetti hai in cantiere?
A parte i libri e un dottorato, sto scrivendo con Mirko e Adriano un lungometraggio di finzione, la storia di un’indagine giornalistica sulla scia dei grandi giornalisti d’inchiesta, i cosiddetti muckraker (spalamerda li chiamava Theodore Roosevelt): giganti come Upton Sinclair, Ida Mae Tarbell e John Steinbeck. Sto anche mettendo a punto alcuni soggetti di film horror, una delle mie passioni, visto che nel 2005 ho esordito nel lungometraggio proprio con un horror su Lovecraft.