Classe 1970, Enrico Brizzi ha iniziato ad allenare da giovanissimo. Nel corso di una carriera più che trentennale ha guidato numerose compagini toscane e umbre sia nel settore maschile che in quello femminile. In questa stagione il tecnico di Sansepolcro siede sulla panchina del Città di Castello Pallavolo, che milita in serie C femminile, ed allena anche formazioni giovanili. Nel corso dell’intervista rilasciata a TeverePost ha analizzato l’evoluzione e le prospettive del movimento pallavolistico e ha ricordato alcuni momenti della propria storia sportiva. La conversazione ha preso il via dalla stretta attualità, e quindi dalla pandemia.
Cosa significa fare sport in questo 2020?
Il 2020 è stato veramente un anno disgraziatissimo. Fino ai primi di marzo i campionati sono andati avanti regolarmente, anche se avevamo fatto un paio di settimane a porte chiuse, in una situazione un po’ irreale, e poi ci siamo fermati. Come Città di Castello Pallavolo siamo ripartiti il 4 di giugno e siamo andati avanti fino al 27 luglio, seguendo i protocolli e facendo allenamenti a porte chiuse. Si vedeva che c’era tanta voglia di allenarsi e stare insieme. In quel periodo abbiamo avuto il 96-97% di presenze, che secondo me d’estate è un dato importante. Dopo ci siamo fermati per la pausa estiva e siamo ripartiti un pochino in ritardo, perché fino a metà settembre le amministrazioni non erano in grado di metterci a disposizione gli impianti, comunque abbiamo ricominciato e con la squadra di serie C abbiamo fatto una partita ufficiale di Coppa Umbria. Ma già allora cominciavano a circolare voci un po’ brutte. Adesso siamo fermi da tre settimane, anche perché in Umbria la presidente della regione ha bloccato ogni allenamento per tutti gli atleti e le atlete che non hanno compiuto 18 anni. Per una società come la nostra, dove anche in serie C si sono 4 o 5 minorenni, questo ha significato lo stop completo. Comunque facciamo conferenze con le ragazze quasi tutte le settimane e dall’under 15 in su c’è grande voglia di ricominciare. Con dei protocolli ben precisi che riguardano sanificazione, misurazione della temperatura, gestione di spogliatoi, docce, allenamenti, a cui loro oramai sono abituate. Per i ragazzini più piccoli invece c’è molta paura da parte dei genitori, che cercano di limitare le presenze.
Secondo te tutto questo come impatterà sul movimento pallavolistico?
Impatterà molto, prima di tutto a livello economico, perché non facendo attività lo sponsor non ti può pagare. Quindi la chiusura attuale è molto più pesante della precedente, perché nella stagione scorsa molti sostenitori avevano già pagato e alla fine è arrivato solo qualcosa in meno. Inoltre sarà un problema a livello giovanile per quello che riguarda gli iscritti. Quest’anno nella fascia under 12 e minivolley le società hanno il 50% di iscritti in meno quando va bene, c’è anche chi è scomparso del tutto.
Prima della pandemia qual era lo stato di salute di questo sport?
Prima era buono, anche il maschile a livello nazionale era in crescita. Nella nostra zona era un po’ in difficoltà a livello numerico a Città di Castello, però tra Sansepolcro e San Giustino stavano recuperando, quindi non stavano poi così tanto male. Anche se è vero che a livello maschile ci sono due serie B, a San Giustino e a Città di Castello con la nuova società, che hanno una vocazione rivolta soprattutto alle prime squadre. A livello femminile invece c’è più vocazione per il livello giovanile e da Sansepolcro in giù, fino a Umbertide, ci sono tantissime iscritte, tantissime società e tantissime squadre, con meno propensione alla categoria nazionale. Anche noi siamo una società di giovanile, e siamo disponibili a collaborare con le realtà vicine che fanno campionati nazionali, come il Trestina, che è uscita di recente e ha comprato i diritti per la B2.
Dal tuo punto di osservazione di persona che è in questo mondo da sempre, come è cambiata la pallavolo negli anni?
Dai primi anni, quindi dal 1986, la pallavolo è cambiata completamente. Tante modifiche, come il passaggio dal cambio palla al rally point system o il fatto che il primo tocco non è fallo se non in alcune situazioni, hanno un po’ impoverito l’aspetto tecnico, però hanno alzato sicuramente quello dello spettacolo, su questo non c’è dubbio. Il rally point system, per cui ogni azione vale un punto, ha creato spettacolo fin dalla prima azione, perché quando sbagli sbagli, non come prima che quando sbagliavi in fase break era cambio palla e finiva lì. Ma soprattutto la differenza enorme si vede a livello giovanile dal punto di vista motivazionale.
Le nuove generazioni hanno un approccio diverso?
Mentre prima sia i ragazzi che le ragazze avevano una passione che gli arrivava subito e si divertivano, adesso bisogna motivarli, bisogna stargli molto dietro, bisogna insegnare loro qual è l’organizzazione giornaliera, bisogna insegnare loro le regole del gruppo. Una volta le regole del gruppo i ragazzi e le ragazze se le facevano da soli, adesso bisogna insegnare tutto: il rispetto delle regole, della squadra, dei ruoli all’interno della squadra. Questo è un problema e da 7-8 anni a questa parte sta diventando una vera e propria mission, perché quando i ragazzi arrivano una regola di comportamento non esiste. Anche cose semplici, avvertire se faccio tardi, fare sapere con largo anticipo che domani non posso allenarmi per un problema serio. Questa è una grossa differenza rispetto al passato e ogni anno bisogna cominciare da lì. Poi però ottieni soddisfazioni che forse una volta venivano date per scontate, quando hai fidelizzato un atleta ti rendi conto che dà proprio tutto e te lo fa vedere. E un altro cambiamento che ho notato negli ultimi anni è che bisogna gestire in modo diverso il settore maschile da quello femminile. Una volta il comportamento che un tecnico aveva rispetto al maschio e alla femmina più o meno era lo stesso, adesso è completamente diverso: se alleni il maschile e vuoi portare la stessa filosofia nel femminile non duri un mese, non solo a livello di prima squadra ma anche a livello di giovanile.
Quali sono stati i momenti più belli della tua lunga carriera?
Ricordo sempre gli aspetti positivi, difficilmente quelli negativi. Magari a volte lì per lì ho cambiato società anche un po’ arrabbiato o deluso, però poi ho capito che in ogni esperienza le cose positive sono state tante. Ricordo la mia prima stagione nel femminile, a Cortona quasi 20 anni fa, con la promozione in serie D. Ci provavano da sei anni e arrivavano sempre secondi, quindi fu una grande soddisfazione, e nello stesso anno arrivammo terzi alle finali regionali under 15 con una squadra che forse non aveva grandi talenti ma era di carattere. Ancora prima ricordo l’Avis Sansepolcro, una società venuta dal nulla che nel giro di due o tre anni ha fatto la serie C. Ho dei ricordi bellissimi a Stia, anche a livello umano, ancora ci sentiamo e mi invitano alle loro feste. Lì ottenemmo una salvezza in serie D maschile impressionante: arrivai all’ultima giornata del girone di andata e la squadra era ultima con 4 punti, poi nel girone di ritorno perdemmo una sola gara con la prima classifica e sfiorammo i play off. Ancora, l’esperienza nel Saione Pallavolo Volley Arezzo non si discute, con i campionati che abbiamo vinto e soprattutto il bellissimo ambiente che si era creato. Ci sono stato nove anni, che sono tanti, abbiamo visto la A2 maschile, abbiamo partecipato a tutti i campionati, abbiamo fatto due finali nazionali. Poi c’è Città di Castello che è la mia seconda casa: ci sono stato dal 1990 al 1992, ho assaporato la serie A e abbiamo fatto le finali nazionali in tante categorie, quando si andava alle finali nazionali in otto squadre – non come adesso che ci vanno in 24 – e si giocava con squadroni di serie A. Dopo questa bellissima parentesi sono rientrato a Città di Castello a 20 anni di distanza, anche stavolta con grandi soddisfazioni, soprattutto nel maschile, con sei finali nazionali. Ma ci sono tanti ricordi belli anche nelle altre società, in tutte quello dove stato.