Luca Serri, 40 anni, la prima metà dei quali vissuti in Valtiberina, e più precisamente alla Ville di Monterchi, è oggi il CEO di ATIproject, che ha fondato insieme a un socio nel 2011. Si tratta di uno studio di progettazione architettonica e ingegneristica che lavora promuovendo sostenibilità ambientale e impatto zero. Oggi ha più di duecento collaboratori e, oltre la sede principale di Pisa, filiali a Milano, Belgrado, Odense, Ginevra e Parigi. Luca coordina l’unità di progettazione prendendo le decisioni tecniche sullo sviluppo dei progetti.
Qual è stato il tuo percorso di studi e professionale?
Dopo essermi diplomato al Liceo di Sansepolcro mi sono iscritto alla facoltà di ingegneria di Pisa, dove ho seguito la specializzazione in Energetica. Fin dalle superiori ho sempre avuto la passione per le fonti energetiche rinnovabili, il risparmio energetico e la sostenibilità ambientale, quindi ho fatto un percorso di studio che mi ha permesso di concretizzare questa mia passione in quello che attualmente è il mio lavoro, che è una fortuna non banale. Dopo l’università mi sono trattenuto a Pisa, inizialmente ho lavorato un po’ in facoltà valutando la possibilità di un percorso accademico, ma questo mi è servito a capire che non era quello che volevo fare. Volevo avere un approccio più concreto al lavoro, motivo per cui mi sono dedicato alla libera professione. All’inizio da solo, ma ormai, dal punto di vista della complessità delle opere e dei progetti, siamo in una situazione tale che da solo non puoi avere risultati importanti. Ho avuto la fortuna di conoscere Branko, che è il mio socio ormai da più di 10 anni e con cui ho condiviso da subito la passione per la sostenibilità ambientale, l’edilizia a basso consumo e in generale tecnologia e architettura. Abbiamo capito che ci completavamo molto a livello di formazione, perché io seguivo più la parte energetico-impiantistica e lui più la parte edile-architettonica, e ci siamo resi conto che le forze unite non si sommavano ma si moltiplicavano. Questo è stato uno degli elementi trainanti di tutta la nostra attività, e non a caso le prime persone che si sono unite a noi, quasi dieci anni fa, sono ancora con noi e sono le persone che ci aiutano nella gestione dell’ufficio e dei progetti assieme alle tante altre che si sono aggiunte in seguito. Quindi è tutto un percorso basato su passioni personali che si sono riuscite a concretizzare in un lavoro e sulla consapevolezza della forza che una squadra può mettere in più rispetto alla forza del singolo. Per cui anche a livello di approccio ai vari progetti siamo riusciti a crescere molto rapidamente: quando siamo partiti non eravamo nessuno e potevamo occuparci al massimo della piccola residenza privata, adesso invece ci occupiamo di progetti ad ognuno dei quali lavorano quotidianamente oltre 70 persone, e sono opere di dimensione decisamente importante.
Qualche esempio?
Abbiamo sicuramente progetti rilevanti nel settore scolastico, a Milano e nel resto d’Italia. Dopodiché abbiamo il settore ospedaliero: ad Odense, in Danimarca, stiamo concludendo il progetto di uno degli ospedali più grandi attualmente in costruzione in Europa. Si tratta di una vera e propria città, perché sono 250.000 metri quadrati, ci passa dentro un tram, c’è un anello che lo circonda di dimensione tale che non ti puoi spostare in questo cantiere se non con un mezzo, a piedi non riesci ad attraversarlo. Un altro progetto che stiamo seguendo è la ristrutturazione del Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra. È un intervento completamente diverso dal precedente, un restauro con riqualificazione energetica, che è particolarmente interessante perché innanzitutto si tratta anche di un vero e proprio museo, quindi c’è tutta la gestione delle opere d’arte, e poi è un edificio dove viene fatta la storia del pianeta, per cui è un intervento anche prestigioso. Facciamo naturalmente anche progetti per conto di aziende che per esempio realizzano nuovi uffici improntati alla sostenibilità ambientale e al comfort degli spazi di lavoro.
Però devo dire che non sempre è la taglia ciò che rende un progetto importante. Ad esempio uno dei progetti più importanti nella nostra storia è stato quello per la realizzazione del co-housing a Pisa: un intervento residenziale, dodici appartamenti completamente realizzati in legno, quindi è un progetto piccolo rispetto a quelli che seguiamo adesso. Ma è stato progetto importantissimo nella nostra storia, perché di fatto questo edificio ce lo siamo progettato e realizzato per noi. Dentro questa palazzina di co-housing vivono infatti nove persone dell’ufficio, tra cui anch’io. Sono tra l’altro persone chiave in quella che è la nostra attuale organizzazione, e questo progetto è stato una pietra miliare nel nostro sviluppo perché ci siamo realizzati qualcosa a nostra misura, creando una sinergia basata non solo sulla comunione di intenti, ma anche sulla comunicazione di spazi e di vita con alcuni membri fondamentali del team. Siamo riusciti a mettere un tetto sopra la testa a dei ragazzi nemmeno trentenni realizzando un edificio che sul mercato non esisteva e che nessuno si sarebbe potuto permettere se non realizzandolo come lo abbiamo fatto. È una delle sicurezze che siamo riusciti a dare a tutte queste persone come base su cui poggiarci per costruire tutto il resto.
Quando avete fondato l’azienda vi aspettavate uno sviluppo di questa portata?
Ce lo auguravamo perché da sempre abbiamo puntato alla crescita: il nostro motto è gettare sempre il cuore oltre l’ostacolo, superare i limiti propri e quelli della struttura in generale. Per questo anche a livello di organizzazione aziendale praticamente ogni sei mesi ci diamo un nuovo modello di strutturazione e di crescita, ma sono modelli che invecchiano rapidamente, siamo in costante aggiornamento e rinnovo. Quello che stiamo facendo oggi era ciò che ci eravamo prefissi fin da principio. Siamo molto soddisfatti perché siamo riusciti a raggiungere questi obiettivi in dei tempi che erano quasi impensabili in un’Italia che dal 2010 al 2020 è stata devastata dalla crisi del mercato economico in generale e di quello immobiliare in particolare. Quindi tanta forza di volontà, tanta visione del futuro, tanta innovazione ma soprattutto grande lavoro di squadra. Noi cerchiamo molto di spersonalizzare la nostra azienda, a noi non interessa che emerga il nome dei soci fondatori, anzi deve emergere il nome della società, che è fatta da tante persone e non solo da chi ne detiene le quote.
Quello che mi preme sottolineare è che se uno ha una visione chiara di quello che vuole fare e il progetto poggia su fondamenta serie, c’è davvero la possibilità di costruire qualcosa di importante per realizzarsi dal punto di vista professionale. Questo mi piacerebbe trasmetterlo a tanti ragazzi, magari meno folli di me nell’inseguire quello che è il loro obiettivo personale, che si lasciano scoraggiare. Invece è importante che non ci si scoraggi perché nessuno tranne te stesso ti può dare le giuste motivazioni per arrivare all’obiettivo.
Come ha inciso l’emergenza Covid sulla vostra attività?
La nostra attività si basa tanto sulla comunicazione tra le persone, quindi cambiare completamente metodologia di comunicazione è stato senza dubbio un bell’impatto. Devo dire però che ci riteniamo assolutamente privilegiati perché, svolgendo un’attività meramente intellettuale, abbiamo avuto la fortuna di poterci riorganizzare rapidamente, anche perché noi lavoravamo già tantissimo utilizzando metodi alternativi e smart working. Avendo sedi in tutta Europa lo dovevamo fare già da prima necessariamente. Chiaramente la giornata lavorativa è strutturata in maniera completamente diversa, tanto tempo in più è dedicato alla comunicazione a distanza piuttosto che di persona. L’impatto dal punto di vista economico c’è chiaramente stato, ma non perché abbiamo lavorato di meno: infatti abbiamo fatto la scelta, che solo il tempo ci dirà se è stata strategica o meno, di rilanciare di fronte al problema che si è creato. Ovvero abbiamo deciso di mantenere quelle che erano le crescite economiche a tutti i nostri colleghi, non abbiamo fatto come tanti, cioè ridurre le ore lavorative o tagliare sui bonus o sugli incrementi. Abbiamo lasciato tutto invariato e abbiamo chiesto a tutti di fare quadrato per investire sull’efficienza e riuscire a portare avanti tutti i progetti che avevamo già avviato. Non è stato facile non tanto per problematiche nostre interne quanto perché il mondo intorno a noi si è veramente fermato. Ad esempio uno dei problemi fondamentali è che tutto il comparto degli appalti pubblici ha subito un rallentamento veramente notevole. Nel momento in cui non vengono pubblicate più gare di appalto e non vengono mandati avanti i progetti, questo ricade su tutte le imprese connesse. Ci sarà sicuramente un rallentamento drastico dell’economia e io come progettista lo vedo prima degli altri, perché le aziende lavorano tra un anno sui progetti che io faccio adesso: se i nostri committenti, che sono le stazioni appaltanti pubbliche, non affidano più progetti vuol dire che da qui ad un anno ci saranno meno opere da realizzare. Si può recuperare questo ritardo se si riescono a velocizzare le procedure di gara, perché a noi spesso chiedono di progettare una scuola da 10 milioni di euro in due mesi, poi il progetto sta fermo un anno o un anno e mezzo in attesa di una procedura di gara per affidarlo a una ditta che lo realizzi.
Tornando al nostro approccio all’emergenza, un esempio concreto può essere il fatto che proprio al momento dell’avvio del lockdown abbiamo deciso di partecipare a una gara per conto dell’Università di Firenze per la progettazione del nuovo polo di Agraria. Si tratta di un’opera da oltre 70 milioni di euro. Noi abbiamo deciso di prendere un’unità importante dell’ufficio e dedicarla a questa gara, proprio perché la ritenevamo strategica nell’ottica di investire nel fare nuovi progetti, quando le prospettive in quel momento erano che un quarto dei nostri clienti poteva essere fallito da lì a tre o quattro mesi. È stata una scommessa vinta perché quella gara di progettazione ce la siamo aggiudicata e in questo momento stiamo progettando il nuovo polo, che sorgerà a Sesto Fiorentino e che è una delle opere di edilizia universitaria più importanti che si realizzeranno nei prossimi 10 anni.
Questa fase di emergenza può dare opportunità in termini di ripensamento degli stili di vita?
La storia insegna che ogni volta che ci sono state grandi difficoltà, chi si è saputo adattare trovando soluzioni innovative e fuori dagli schemi è riuscito a fare la differenza nel momento successivo. Senza dubbio ci sarà un ripensamento in quello che è il modo di lavorare del settore connesso ai servizi, dove effettivamente la flessibilità anche del lavoro e del lavoro in sede può essere ben maggiore rispetto a quella che c’è stata fino ad ora, per limiti in parte tecnici ma soprattutto mentali. Ad ogni modo molto dipende da come questa problematica impatterà qualora non dovesse essere trovata una soluzione in termini di vaccino, perché basandosi sulla situazione attuale è estremamente difficile prendere decisioni di lungo periodo. Per esempio noi ci poniamo il problema di come progettare una scuola oggi affinché sia predisposta a un’emergenza di tipo Covid, ma i tempi di progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sono talmente grandi che potrei trovarmi a dare risposte che una volta messe in atto non sono più al passo coi tempi. Se io dovessi progettare un’aula adesso, rischierei di doverla fare grande due volte e mezzo rispetto a un’aula convenzionale, avrei quindi un’opera pubblica che costa due volte e mezzo rispetto a un’opera tradizionale e potrei usarla da qui a tre anni quando magari il problema non sussiste più.
Quali sono secondo te i principali ostacoli a un futuro ecologicamente sostenibile?
Gli ostacoli sono in parte mentali, nella misura in cui le soluzioni davvero ormai esistono tutte, si tratta semplicemente di avere il coraggio di percorrere le strade più innovative. L’altro ostacolo è chiaramente di tipo economico, perché avere soluzioni innovative dal punto di vista del costo immediato impone degli investimenti maggiori. Questo fa sì che ci debba essere una politica di supporto a questo tipo di decisioni, per lo meno per innescare un meccanismo virtuoso. Dopodiché, superata la prima fase, sono tutte soluzioni tecniche che stanno in piedi anche senza avere finanziamenti o incentivazioni di tipo statale. Ce ne sono mille esempi, guardiamo il fotovoltaico: all’inizio i primi impianti costavano circa sette volte quello che costano adesso, e quindi non potevano essere realizzati se non con incentivi che ne sostenessero economicamente la fattibilità; come questi sistemi sono diventati di dominio pubblico, con la concorrenza tra le aziende, le speculazioni che sono venute meno, si è abbassato il costo dei prodotti, più aziende hanno investito per realizzare questi impianti e i prezzi sono crollati. Oltretutto investire oggi su qualcosa che guardi al domani dal punto di vista della compatibilità energetica e ambientale consente anche di avere un prodotto o un edificio che invecchia molto più lentamente. Questo lo vediamo nel mercato dell’edilizia, dove ci sono tantissimi edifici anche nuovi ma costruiti con un’ottica di trent’anni fa che sono tuttora invenduti. E rimarranno invenduti a lungo, perché nel mentre il mercato è andato avanti e ha prodotto degli oggetti e degli edifici ben più performanti.
Che rapporto hai con la Valtiberina?
Dal punto di vista professionale purtroppo lavoriamo poco con la Valtiberina perché non è capitata occasione, anche se spero che ci sia presto questa possibilità. Attualmente in realtà stiamo facendo un piccolo intervento privato nel comune di Anghiari, ma poter trovare ulteriori commesse in Valtiberina mi darebbe la possibilità di portare anche a casa mia i nostri progetti, e questo mi farebbe molto piacere perché sono estremamente legato ai miei luoghi di nascita. Quindi ci auguriamo che qualche amministrazione decida di fare qualche bell’intervento, e noi magari potremmo partecipare sperando di aggiudicarci la gara per la progettazione. Ma, come si sa, nemo propheta in patria!