E78 tra le opere prioritarie del Governo, Ceccarelli: “Questa è la volta buona”

Strade, diga, sanità, enti intermedi: nell'intervista di TeverePost all'assessore regionale il rapporto tra Toscana e Valtiberina e i problemi dei territori di confine

Vincenzo Ceccarelli

Sindaco di Castel San Niccolò dal 1985 al 1995, presidente della provincia di Arezzo dal 1999 al 2009, consigliere regionale dal 2010, assessore dal 2013. Questo il cursus honorum di Vincenzo Ceccarelli, compiuto seguendo tutte le trasformazioni del proprio partito dal PCI al PD. Attualmente, nella Giunta uscente guidata da Enrico Rossi, detiene le deleghe alle infrastrutture e all’urbanistica. TeverePost lo ha incontrato per parlare del rapporto tra la Regione Toscana e un suo lembo di confine, la Valtiberina.

Partiamo dalle infrastrutture stradali facendo un punto della situazione su E78 e Tiberina 3 bis, su cui ci sono state novità negli ultimi giorni.

Pur non essendo di diretta competenza regionale, ci siamo sempre preoccupati di aiutare gli enti territoriali per cercare di ottenere la manutenzione e l’ammodernamento di queste due importanti infrastrutture, e soprattutto della E78. Il ministro Delrio aveva messo in appaltabilità la realizzazione del nodo di Arezzo e del nodo Le Ville-Selci Lama nel 2020, poi il governo Lega-5 Stelle aveva rinviato al 2022, ma soprattutto non c’erano le risorse per la progettazione. Ora invece queste risorse sono state date all’Anas per circa 8 milioni e quindi Anas sta facendo la progettazione del lotto di Arezzo, mentre il lotto Le Ville-Selci Lama poggia sull’Umbria ma so che anche quello dal punto di vista della progettazione è finanziato. Ora siamo riusciti a far inserire la E78 nel decreto che ha fatto l’elenco delle opere da commissariare, cioè le opere prioritarie da accelerare. Questo è un ulteriore elemento che fa pensare che questa può essere la volta buona.

Per quanto riguarda la 3 bis, è tornata in evidenza nel momento in cui c’è stata l’interruzione della E45. In quella fase come Regione, con i Comuni della Valtiberina e dell’Emilia-Romagna, abbiamo chiesto che quell’arteria fosse riaperta e ritornasse nella competenza statale. Alla presenza del presidente dell’Anas e dell’allora ministro Toninelli fu preso l’impegno a soddisfare queste due richieste, per cui Anas si è messa a fare il progetto che ha avuto dei tempi piuttosto lunghi. Ora hanno sviluppato il progetto e hanno visto che le risorse che avevano preventivato sono insufficienti per fare tutta l’opera, quindi lo hanno suddiviso in due lotti. In una lettera dei giorni scorsi dicono che inizieranno a cantierizzare il primo lotto entro la fine di luglio. Per il ritorno della strada nel patrimonio di competenze Anas abbiamo inviato le specifiche al ministero chiedendo che questo riguardi tutto il tratto toscano dal confine di Regione fino a Sansepolcro per potersi riconnettere con la 258, anch’essa nel frattempo tornata di competenza dell’Anas.

Per la ciclopedonale Sansepolcro-Le Ville si è parlato di un aumento dello stanziamento regionale, come stanno le cose più nel dettaglio?

Abbiamo dato un cofinanziamento di 190.000 euro per coprire il 50% del costo, poi i Comuni hanno preso l’impegno di fare la progettazione e di andare in appalto per la realizzazione dell’opera. Sviluppando il progetto hanno comunicato che le risorse richieste erano sottostimate e che hanno bisogno di ulteriori fondi che andremo a dare loro prossimamente con gli stessi criteri del primo finanziamento. Si tratta di un’infrastruttura molto importante sia per le comunità locali, che potranno andare in bicicletta ovunque in sicurezza, e anche come asset per il turismo. È un primo lotto che poi verrà a ricollegarsi con Arezzo e con la ciclovia dell’Arno. Un domani sarebbe interessante congiungersi anche con il sistema delle ciclopiste che ci sono in Umbria lungo il Tevere.

A proposito di Tevere, a Sansepolcro stanno per partire i lavori per il secondo ponte. Per alcuni ci sono voluti troppi anni per arrivare a questo risultato, secondo lei perché?

C’è stato un iter tormentato, tra progettazione, gara d’appalto, ricorso. Quella richiesta di finanziamento fu fatta dall’allora sindaca Frullani e riuscii a farla inserire nella Finanzaria nel dicembre 2014, quindi sono passati quasi sei anni. Ora vedo che finalmente anche il Governo si è posto il problema di fare un decreto di semplificazione e accelerazione delle procedure. L’iter è stato sicuramente complesso, chi ha fatto e chi fa delle critiche avrà visto quali sono gli elementi che magari potevano essere accelerati.

Sempre riguardo al ponte, in questi anni più volte sono state avanzate proposte di individuare una collocazione alternativa, ma si è sempre risposto che il finanziamento era legato a quella specifica posizione. Conferma?

Modificare la collocazione avrebbe comportato tutta una serie di valutazioni, sondaggi e così via che avrebbero ulteriormente allungato i tempi. E comunque quando fu scelta quella collocazione furono fatte delle valutazioni piuttosto approfondite.

Cosa dobbiamo attenderci per quanto riguarda i lavori di messa in sicurezza della diga?

Ho letto che entro la fine dell’anno dovrebbero, se non completarsi, arrivare molto avanti. Purtroppo anche quello è un esempio della difficoltà di fare opere pubbliche nel nostro Paese, perché dieci anni fa ci fu il crollo del muro del canale diversore, poi per fare il progetto e avere tutti i pareri e contropareri c’è voluto tantissimo tempo. Ora c’è stato anche un sequestro parziale che comunque non ha interrotto i lavori. Penso che sia importante che la diga venga ripristinata perché l’utilità di quell’opera mi sembra sotto gli occhi di tutti, a maggior ragione con le stagioni che si stanno manifestando negli ultimi anni, in alcuni casi caratterizzate da lunghi periodi di siccità. Quindi si tratta di un’infrastruttura fondamentale sia dal punto di vista idropotabile che dell’uso irriguo. Per quanto riguarda la Valtiberina, c’è poi anche da realizzare l’ultimo lotto per completare la rete irrigua.

È notizia recente quella dello stanziamento di fondi per l’ospedale, che segue l’annuncio del progetto di potenziamento delle cure intermedie. Questo dopo anni di tagli dai Governi centrali e dopo una riforma regionale che ha suscitato perplessità, allontanando le prime linee dai centri decisionali con l’accorpamento delle Asl e, in Valtiberina, la perdita di un distretto sanitario autonomo. Qual è la sua valutazione?

Intanto mi sembra assolutamente rilevante che in provincia di Arezzo sia stato annunciato un piano di investimenti negli ospedali di oltre 100 milioni, a riprova del fatto che la Regione, nel momento in cui può, interviene. Durante questa emergenza sanitaria la sanità toscana ha dimostrato almeno per ora di poter gestire questo impatto in maniera assolutamente sufficiente, meglio di molte altre Regioni. La sanità, sopratutto quella pubblica, deve essere ulteriormente rafforzata, ad iniziare dai servizi territoriali, ma ovviamente le strutture ospedaliere hanno la loro rilevanza. Il direttore D’Urso ha predisposto questo piano di investimento a dimostrazione del fatto che nell’ambito dell’azienda si valuta essenziale tutta la rete ospedaliera, compresi gli ospedali territoriali. Certo, ci sono stati dei pesanti tagli che si sono ripercossi sulle scelte delle aziende e sui territori, mentre noi crediamo che, soprattutto dopo il Covid, sia evidente che nella sanità si deve investire. Io spero che anche i soldi del Mes vengano presi per essere investiti nella sanità.

Poi, vedendo i risultati che ci sono stati nella gestione dell’emergenza Covid e vedendo gli indicatori di salute, la riforma sanitaria in Toscana ha dimostrato di funzionare, ma di avere delle criticità nelle realtà dove le distanze sono più rilevanti, che sono l’azienda Sud-Est, che mette insieme Arezzo, Siena e Grosseto, e la Toscana Nord, che va da Pontremoli all’Isola d’Elba. Proprio per questo nel programma del centrosinistra ci sarà scritto che queste riforme devono essere valutate per capire se dovranno essere confermate o, come appare più plausibile, se si arriverà a una riorganizzazione che riduca le distanze. Per quanto riguarda le zone sociosanitarie, sono consapevole che siano troppo vaste, soprattutto quella che riguarda la Valtiberina. È una cosa che ho sempre detto e penso che vada sicuramente rivista per avere zone sociosanitarie più piccole, territori più omogenei e un maggiore protagonismo dei sindaci.

Ancora sul problema della distanza dal centro: il depotenziamento delle province, la sostituzione delle Comunità montane con le Unioni di Comuni, il possibile taglio dei parlamentari con la riduzione della rappresentanza territoriale, non sono secondo lei provvedimenti che contribuiscono a rendere le aree periferiche sempre più marginali?

Questo vale in generale, ma io penso che al di là della geografia da parte della Regione ci sia sempre stata la massima attenzione a tutti territori. Potrei fare un elenco delle attenzioni che il mio assessorato ha rivolto alle aree interne: il progetto aree interne di livello nazionale con la compartecipazione della regione, i progetti di rigenerazione urbana riservati alle aree interne, i bandi per la sicurezza stradale, i 50.000 euro che abbiamo ripetuto per più anni per i piccoli Comuni sotto i 5.000 abitanti per la manutenzione delle strade, i 20 milioni che abbiamo messo a disposizione sempre dei Comuni sotto i 5.000 abitanti, i finanziamenti per la pianificazione intercomunale, i lotti delle linee deboli che hanno aumentato di 270.000 chilometri all’anno l’offerta di trasporto pubblico in Valtiberina, e sicuramente mi sfuggono altre cose. Detto questo, le strategie future devono guardare sempre con più attenzione alle aree interne, che non offrono soltanto risposte ecoambientali a chi abita in città, ma sono aree dove la presenza della popolazione è fondamentale per quanto riguarda aspetti importanti per tutti quanti, che sono la tenuta idrogeologica, la prevenzione degli incendi, la conservazione decorosa del paesaggio e così via. Quindi dobbiamo creare le condizioni perché anziché spopolarsi queste zone si possano ripopolare. Per farlo ci vuole molta attenzione alla presenza di servizi e all’offerta di lavoro, quindi ognuno per la propria parte, con un impegno di livello nazionale ed europeo, dobbiamo andare in questa direzione.

Tornando sull’Unione dei Comuni, uno dei suoi limiti organizzativi è la presenza obbligatoria in Giunta dei soli sindaci. C’è l’idea di modificare la Legge regionale 68/2011, almeno su questo punto?

Se questo è un elemento ritenuto di criticità, che venga evidenziato. Fa parte del confronto e della dialettica che ci deve essere per trovare le soluzioni funzionali migliori.

E per quanto riguarda le province qual è la sua opinione?

Non ho mai nascosto che secondo me il fatto di cercare di togliere le province dall’architettura istituzionale è stato un errore, e l’aggravamento dell’errore è stato quello di depotenziare e definanziare le province ancora prima che fossero tolte, perché poi il referendum si sa quale esito ha avuto. Qui c’è un rimpallo di responsabilità, la prima proposta di toglierle avvenne nel momento in cui in maggioranza c’era il centrodestra, dopodiché è stata portata avanti anche dai governi del centrosinistra. Le province hanno pagato il fatto di essere l’anello più debole, ma la migliore riforma in Italia non sarebbe quella di togliere uno dei livelli istituzionali, ma quella di stabilire meglio le competenze, decidere chi fa cosa, togliere le sovrapposizioni. E le province non dovrebbero essere 120 e passa, come erano diventate con una proliferazione assurda; il giusto assetto è quello che aveva individuato il Governo Monti, 64-65 province, che secondo me hanno una loro utilità. Comunque effettivamente è vero che quando i centri decisionali si allontanano è più difficile avere rapporti con chi gestisce le competenze. I problemi però valgono sia per il troppo grande che per il troppo piccolo, vanno trovati dei livelli ottimali. Questo più che per i livelli istituzionali vale per quanto riguarda gli ambiti di gestione dei servizi.

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