Riccardo Castellani è nato nel 1983, ha conseguito la maturità scientifica a Sansepolcro e la laurea specialistica in Ingegneria gestionale all’Università degli Studi di Bologna. Le prime esperienze lavorative lo hanno visto Supply Planner in Nestlé Purina e poi Project Manager in Power-One. Nel 2014 è diventato un “valtiberino nel mondo”.
Perché sei emigrato in Irlanda?
Fondamentalmente per lavoro. A dicembre 2012 avevo lasciato l’azienda dove ero Project Manager per poter frequentare il T.F.A. (Tirocinio Formativo Attivo). Questo corso, all’epoca, permetteva di ottenere l’abilitazione all’insegnamento (della matematica, nel mio caso). Ho sempre pensato che insegnare fosse il più bel mestiere del mondo; per questo motivo, una volta superate le prove di selezione, con un po’ di coraggio e di incoscienza, ho lasciato un lavoro a tempo indeterminato per poter seguire il mio sogno. Una volta terminato il T.F.A., tuttavia, le cose non sono andate come pensavo: le graduatorie, infatti, non sono state aperte e ben presto ho capito che non avrei avuto possibilità di insegnare in alcuna scuola a settembre. Così mi sono messo di nuovo a cercare lavoro in Italia. Ho fatto diversi colloqui, ma nessuno si è concluso positivamente: a detta dei vari recruiter, avendo quattro anni di lavoro alle spalle, ero troppo junior per fare alcuni lavori, troppo senior per farne degli altri. Senza considerare che tutti mi ritenevano pazzo, nel momento in cui arrivavo a dire che avevo lasciato un posto a tempo indeterminato per frequentare, di fatto, un corso di formazione. Così, dopo i primi quattro mesi di ricerca di lavoro in Italia, ho iniziato a cercare delle opportunità anche all’estero. Al tempo Bulgari Ireland, con sede a Dublino, richiedeva una figura professionale con un background molto simile al mio. Ero stato a Dublino come turista ed avevo avuto una buona impressione della città. Per questo motivo ho deciso di candidarmi. Mi hanno richiamato due giorni dopo e da lì è iniziato un lungo percorso di selezione che fortunatamente si è concluso positivamente. La mia avventura in Irlanda è iniziata così.
Come ti sei trovato in questi sei anni?
Benissimo. Al di là dell’esperienza lavorativa, che è stata meravigliosa e mi ha permesso di crescere molto dal punto di vista professionale, vivere a Dublino è stato fantastico. Ho avuto la possibilità di stringere amicizia con ragazzi e ragazze provenienti da tutte le parti del mondo. Dublino è una città multietnica e, pur essendo una capitale europea, non è troppo grande da potercisi perdere. Ci si può spostare tranquillamente a piedi ed in bici (ci sono moltissime piste ciclabili).
Hai avuto occasione di dedicarti anche alla pallavolo.
Esatto, ho partecipato per un anno al campionato di pallavolo irlandese di prima divisione. Giocavo nel ruolo di centrale nel Santry Volleyball Club di Dublino. È stato molto divertente. Ci allenavamo due o tre volte a settimana dalle 21.00 alle 22.30 e nel weekend avevamo il match contro una delle altre squadre. La maggior parte di queste hanno sede nei dintorni di Dublino, ma ci sono comunque squadre di altre Counties (come ad esempio Galway o Limerick). Per cui, grazie a questa esperienza, ho anche avuto la possibilità di visitare meglio l’Irlanda; quando giocavamo fuori casa, quasi sempre partivamo il giorno prima per poter visitare la città dove giocavamo. O quando ciò non era possibile, ci assicuravamo di avere a disposizione qualche ora dopo la partita.
Come è andato il periodo centrale della pandemia?
È stato duro, come credo per tutti. Seguivo con attenzione e preoccupazione da gennaio e febbraio quello che stava accadendo prima in Asia e successivamente in Italia ed era ovvio che, prima o poi, il coronavirus sarebbe arrivato in Irlanda. E così è stato, con conseguente lockdown del Paese. Da quel momento in poi la quotidianità si è stravolta, Dublino è diventata irriconoscibile. Strade deserte, pub chiusi, così come negozi, ristoranti, palestre, uffici. Ho iniziato a lavorare da casa, sperimentando all’inizio non poche difficoltà. La vita sociale trovava il suo apice nel momento dell’aperitivo “virtuale” post-lavoro, dove io ed alcuni miei amici ci collegavamo su Skype per delle videochiamate di gruppo, bevendo uno spritz fatto in casa o una birra e sgranocchiando qualche salatino. Fortunatamente ci era comunque concesso di allontanarci da casa fino ad un massimo di due chilometri per fare attività fisica. È per questo che ho deciso di iniziare a correre: quelle corsette alla sera mi hanno aiutato a scaricare un bel po’ di tensione in un periodo dove trascorrevo giornate intere chiuso nel monolocale dove vivevo.
Perché hai deciso di tornare in Italia?
Perché finalmente, dopo aver vinto un concorso, mi è stata assegnata un cattedra di matematica in una scuola superiore. Potrò concretizzare il mio sogno a partire dal primo settembre di quest’anno. La scelta è stata comunque dolorosa: ho dovuto lasciare un lavoro che mi piaceva molto e sui cui avevo investito non poco. Inoltre, salutare tutti i miei amici è stato durissimo. Quegli amici, infatti, hanno rappresentato una sorta di seconda famiglia in più di un’occasione. Però va bene così: sono sicuro che rimarrò in contatto con loro. E, in ogni caso, tornerò a visitare Dublino più e più volte.
Consiglieresti a giovani e meno giovani di vivere esperienze all’estero?
Assolutamente sì! Credo che un’esperienza all’estero possa assumere un’alta valenza formativa. Per quanto mi riguarda, ho conosciuto tante persone interessanti, tante culture e tanti modi di pensare differenti, ho imparato ad essere più tollerante, ad essere meno frettoloso nel giudicare. Vivere all’estero, insomma, ti permette di diventare più open-minded, e anche più intraprendente e sicuro di te.