Denida Muriqi, dall’Albania a Sansepolcro andata e ritorno

Perfettamente integrata in Italia, è tornata a vivere a Scutari. La “Valtiberina nel mondo” di oggi ci parla dell'emergenza oltre l'Adriatico

Denida Muriqi

Denida con il marito e la figlia

Denida Muriqi è nata a Scutari, nel nord dell’Albania, dove ha vissuto fino al 2002. All’inizio di quell’anno raggiunse, assieme al padre e alla sorella, la madre che era arrivata a Sansepolcro un anno prima alla ricerca di un futuro migliore. Denida aveva tredici anni e parlava già la lingua italiana grazie ai programmi televisivi che raggiungevano l’altra sponda dell’Adriatico. Questo le permise di essere subito inserita in terza media e non perdere l’anno scolastico. La protagonista della nostra rubrica Valtiberini nel mondo ha anche avuto esperienze lavorative nel settore della ristorazione mentre completava gli studi universitari. Si è laureta nel 2011 in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro all’Università di Perugia. Nel decennio vissuto in Valtiberina Denida era ottimamente inserita nel tessuto sociale e parlava un italiano senza la minima inflessione dialettale. A testimonianza della perfetta integrazione della famiglia Muriqi anche il fatto che la sorella Desara è stata la prima cittadina non di origine italiana a ricoprire la carica di Consigliere comunale a Sansepolcro. Nonostante questo oggi Denida vive di nuovo a Scutari, dove lavora presso l’Operatore sanitario regionale ed è felicemente sposata. Dal matrimonio con Ardit, avvenuto nel Paese delle Aquile alla presenza di molti amici arrivati dall’Italia, è nata una bella bambina.

Le strade deserte di Scutari

Denida, tu appartieni alla categoria degli “emigranti di ritorno”. Sei arrivata in Italia che eri molto giovane, che cosa ti ha riportato in Albania dopo che in Valtiberina ti eri perfettamente integrata?

Uno strano destino ha segnato la mia vita, facendomi rincontrare un amico di infanzia, oggi mio marito, che mi ha riportata a vivere a Scutari, proprio accanto alla casa dove ero vissuta precedentemente. Questo mi ha portato ad andarmene dall’Italia esattamente dieci anni dopo il mio arrivo, lasciando la mia famiglia, parenti e amici a Sansepolcro. Ho messo a frutto la mia laurea italiana in Albania. La mia laurea e la figura professionale del tecnico della prevenzione nel 2012 erano quasi sconosciuti qui in Albania. Ancora oggi sulla sicurezza dei lavoratori si controlla e si agisce poco. Nel 2019 circa 171 lavoratori hanno subito incidenti sul lavoro, dei quali 36 con esito mortale. L’80% di questi casi è direttamente correlato alla mancanza di condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro. Il settore più problematico in termini di incidenti continuano ad essere l’edilizia, l’industria mineraria, quella energetica, ma anche il settore del confezionamento di calzature e abbigliamento nelle aziende di moda.

L’Albania è uno dei paesi che sta aiutando l’Italia nell’emergenza coronavirus. Com’è la situazione virus nella tua città e nel resto della nazione?

Appena sono stati annunciati i primi focolai in Lombardia e in Veneto, eravamo sicuri che la diffusione del nuovo coronavirus avrebbe toccato anche l’Albania, visti anche i diciannove voli che ci collegano giornalmente. A mio modesto parere il governo avrebbe dovuto chiudere da subito per lo meno alcune tratte, anche alla luce dei limiti del sistema sanitario albanese. L’8 marzo infatti ci sono stati i primi due casi positivi al Covid-19. Si trattava di un ragazzo che, rientrato da un viaggio a Firenze, aveva contagiato anche suo padre. Finora in Albania sono stati eseguiti 7279 tamponi e, di questi, risultano positivi al Covid-19 726 persone, di cui 104 proprio a Scutari.

La notizia della partenza di trenta fra medici e infermieri albanesi verso l’Italia, per me e per tutti noi albanesi è stato motivo di grande orgoglio. Il discorso del Primo ministro Edi Rama è stato molto toccante: “Non siamo privi di memoria, non possiamo non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non abbandonano mai un proprio amico in difficoltà’’. E poi: “Trenta nostri medici e infermieri partono oggi per l’Italia, non sono molti e non risolveranno la battaglia tra il nemico invisibile e i camici bianchi che stanno lottano dall’altra parte del mare. Ma l’Italia è casa nostra da quando i nostri fratelli e sorelle ci hanno salvato nel passato, ospitandoci e adottandoci mentre qui si soffriva”.

Quali provvedimenti sono stati presi dalle autorità? Vengono rispettati?

Seguendo il modello italiano, dal 10 marzo il governo ha annullato tutti gli eventi pubblici, ha chiuso le scuole, i servizi di ristorazione, ha sospeso sia il trasporto pubblico che quello privato, ha cancellato tutti i collegamenti con l’Italia e chiuso con anticipo i valichi di confine terrestri con gli altri paesi della regione. Chi entrava dai paesi colpiti dal Covid-19 aveva l’obbligo di isolamento per 14 giorni, pena cinquemila euro di multa. Amministrazione pubblica e aziende applicano lo smart working, mentre uscire di casa è permesso solo in due fasce orarie, quattro ore la mattina e due nel pomeriggio. Per gli anziani, invece, uscire è assolutamente proibito.

Il Presidente del consiglio Edi Rama ha comunicato le misure restrittive sui suoi canali social. Post continui, videomessaggi e frequenti dirette su Facebook sono stati e sono ancora il principale mezzo di informazione sui provvedimenti del governo. I primi giorni gli operatori di telefonia mobile inviavano SMS a tutti gli utenti e sulle chiamate in uscita avevano impostato un messaggio vocale del premier che diceva sostanzialmente di rimanere a casa, lavarsi le mani, diffidare dei media e di aprire le finestre, attaccando per l’ ennesima volta la stampa. Tra la maggior parte dei mezzi di comunicazione albanesi e il Primo Ministro i rapporti non sono idilliaci da quando Rama ha scelto di comunicare quasi esclusivamente utilizzando ERTV, una televisione da lui creata.

L’Albania è una nazione dove circa il 70% della popolazione è musulmana. Com’è vivere il Ramadan in una situazione come questa?

Ovviamente anche l’ingresso nelle moschee è vietato, quindi in questo momento particolarmente sacro è difficile per chi è praticante e sta digiunando non recarsi in moschea. Solo i muezzin possono andare cinque volte, tra notte e giorno, in moschea per richiamare i fedeli alla preghiera dai minareti.

Come viene raccontata l’epidemia in Italia?

Da vera cittadina adottiva sono sempre sintonizzata sui canali italiani e quindi ho seguito tutto in tempo reale. Soprattutto per il fatto che mia madre lavora in una casa di riposo per anziani vicino a Sansepolcro dove c’è stato un caso di Covid-19, e quindi rischia molto.

Denida sul lago di Scutari
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