Dopo essersi laureato in ingegneria gestionale e direzione d’impresa ed aver vissuto in diverse città italiane, il sangiustinese Daniele Merendelli nel 2003 approda a Londra. Partito con l’idea di restare in Inghilterra solo sei mesi, una bella proposta di lavoro ha rivoluzionato i piani di Daniele che ci racconta la sua storia londinese, dal lavoro alla vita quotidiana, con un occhio puntato al futuro e ai sogni nel cassetto.
Daniele, raccontaci come è nata l’idea di trasferirti a Londra
Ho studiato 3 anni all’Università di Perugia ed ho proseguito successivamente i miei studi all’Università di Tor Vergata a Roma, laureandomi in ingegneria gestionale e direzione d’impresa. Dopo aver girato varie città tra cui Milano e Prato sono tornato qua ed ho iniziato a lavorare a “Cosa di Lana” nel campo della moda. Lavoravo molto con l’estero e mi sono accorto che era fondamentale conoscere bene la lingua inglese: per questo, ho pensato di trasferirmi sei mesi a Londra per imparare la lingua, pochi mesi che si sono trasformati poi in un tempo molto più lungo quando ho capito che non sarebbe bastato un periodo così limitato a farmi apprendere bene la lingua.
Come e quando è iniziata la tua “avventura” inglese?
Sono partito il 25 ottobre 2003. Non mi ero assolutamente preparato: pensandoci ora, avrei potuto cercare qualcosa già qua in Italia, ma internet ancora era agli inizi e non era facile cercare lavoro all’estero. Sapevo benissimo di non poter andare avanti nel mio settore senza conoscere bene l’inglese ed è stato impulsivo il trasferimento. Il primo anno è stato duro: ho trovato lavoro in un ufficio come ricercatore marketing, all’interno di un’azienda leader mondiale nella vendita di corsi di aggiornamento per manager. Lavoravo tanto ed ero pagato pochissimo, non ci arrivavo quasi a fine mese. Lavoravo dalle 6 alle 18: la sera andavo a lavorare in un ristorante e tre volte a settimana alla scuola d’inglese. È stato difficile perché i soldi erano pochi e non volevo aiuti da casa, volevo farcela da solo. Vivevo in zona 3 perché gli affitti erano meno costosi.
Poi è arrivata una bella opportunità…
Tutto è iniziato quando “Cose di Lana” mi chiese di andare a presentare una collezione per cercare un agente a Londra. In quel preciso momento non lavoravo per loro, ma ho accettato volentieri. All’agenzia di moda a Londra mi sono accorto che la collezione che presentavo non era molto adatta a loro, però gli sono piaciuto molto, tanto che sette mesi dopo mi hanno contattato per offrirmi un lavoro. È andata molto bene perché dopo un anno difficile in cui stavo seriamente pensando di tornare in Italia è arrivato il lavoro giusto, con stipendio raddoppiato. Ho ricoperto il ruolo di senior brand manager in un’azienda di moda, la più grande multibrand di moda inglese. Avevamo showroom in tutto il mondo, da Parigi a New York.
Com’è vivere in un paese straniero?
Dall’Italia, quello che pensi dell’Inghilterra è Londra, ma Londra è un’altra cosa rispetto all’Inghilterra. Londra è aperta, multietnica, l’Inghilterra lo è un po’ meno. La realtà è molto diversa da quello che immaginiamo, ma Londra ancora si difende bene. Non so se ci sono tanti altri paesi in cui riuscirei a vivere. Mi sono trasferito ad Hackney, vicino a Stratford. Da qui vengono fuori tutte le mode. È una zona molto particolare e veramente esaltante: qui vivono la maggior parte degli artisti e la stragrande maggioranza dei ristoranti sono vegani. Ho anche una bellissima casa vista mare a Margate: c’è una vista stupenda sul lungomare con delle maree e dei tramonti spettacolari. È il paese in cui il pittore Turner ha vissuto tanti anni perché c’era una luce particolare e magica. Una cosa che si impara subito è la mentalità inglese, diversa dalla nostra. Per esempio, alcune battute che noi facciamo quotidianamente a Londra andrebbero malissimo e non sarebbero capite. Spesso ti ritrovi con gruppi di amici di nazionalità diverse dalla tua e devi ben calibrare quello che dici per non offendere nessuno. Questa è una cosa molto bella perché impari ad avere una mentalità molto aperta e ad essere più comprensivo.
Quali differenze hai riscontrato fra Italia e Londra? Stili di vita, abitudini diverse
Ti dico solo che in Italia facevo colazione con fette biscottate e marmellata, oggi mangio pane lievitato e avocado. Qua a Londra c’è il mondo e mi accorgo che da quando abito qua viaggio meno, perché tutti i giorni è come affrontare un viaggio diverso. Ogni volta che vado a cena con amici è come viaggiare, ogni volta vai su ristoranti etnici diversi. A casa di amici spesso cucinano i piatti che preparava la mamma nel loro paese ed è veramente bello. A livello di abitudini niente ti stupisce, anche se prendo ancora in giro i miei amici che mi dicono che pasta e ketchup è fenomenale. In generale, Londra è meno incentrata sul concetto di famiglia, a cui noi invece teniamo molto. Un’altra cosa è che a Londra devi prenotare tutto tantissimo tempo prima, addirittura biglietti per un concerto o andare a teatro un anno prima. Devi ricordarti che, quando c’è una cosa bella da fare, ci sono altre 6 milioni di persone che hanno il tuo stesso pensiero.
Come hai vissuto il periodo del primo lockdown nel 2020 a Londra?
Già all’inizio della pandemia l’azienda per cui lavoravo aveva pensato di vendere e, per questo, hanno apportato in quel periodo dei tagli importanti, soprattutto dipendenti senior. Non è stato facile, ma questo momento particolare, però, ha portato delle cose belle: ho capito che forse il mondo della moda non faceva più per me, molta tendenza, esteriorità e meno business e per questo, confrontandomi con degli amici, abbiamo deciso di aprire un’azienda. Oggi sono direttore, insieme ad un’altra persona, di questa azienda che dà supporto a livello di contabilità e budgeting ad aziende che producono film (Netflix, Prime…). La nostra è un’azienda che sta crescendo: per ora siamo felici perché ci sono molti investimenti in questo settore.
In Inghilterra ci sono state le prime riaperture: come si percepisce, in generale, questo allentamento delle restrizioni?
Molte persone sono già state vaccinate e c’è la percezione che questo appena trascorso sia l’ultimo lockdown. C’è l’idea che se sei vaccinato non sei più infettivo e questo è legato ad una mentalità un po’ più individualista rispetto alla nostra. La percezione è che abbiamo risolto il problema del Covid, ma non è così. L’altro ieri sono stato in una zona di Londra molto particolare e caratteristica: la strada era piena e c’era tanta gente. È bello perché è da tanto tempo che non si vedeva una cosa così. Si capisce quanto la gente ha bisogno di queste cose.
A proposito di vaccini, com’è strutturato il piano vaccinale in Inghilterra?
Hanno iniziato a vaccinare le categorie a rischio: ultra ottantenni, persone con patologie, case di cura e sanitari. Sono scesi poi con l’età, vaccinando over 60 e over 50. Martedì scorso hanno annunciato l’apertura anche agli over 45 ed anche io ho avuto la possibilità di vaccinarmi. Dopo 4 giorni dalla prenotazione, ho ricevuto la somministrazione: tutto veloce ed efficiente. C’è un’organizzazione incredibile, se continuano così arrivano a vaccinare tutti entro luglio. In un giorno sono arrivati a 600 mila dosi somministrate. Inoltre, abbiamo la possibilità di ricevere direttamente a casa e gratuitamente dei test rapidi che danno risultato in 10 minuti.
Pensiero per il futuro: hai qualche sogno nel cassetto?
Il mio sogno nel cassetto è tornare in Italia, per godermi la pensione o magari anche prima. Continuare a fare questa vita non mi dispiace, ma avrei voluto la famiglia vicino. A livello lavorativo, spero che tutto vada per il meglio: fra due mesi dovrebbe iniziare un lavoro in Giamaica, ho obiettivi e breve e lungo termine. Se ho la possibilità di vivere all’estero è soprattutto perché ho mia sorella che si occupa dei miei genitori: senza il suo aiuto sarei già tornato in Italia.