Da Monte Santa Maria Tiberina alla televisione: la carriera di Graziano Scarabicchi

Con ben 90 spot pubblicitari al seguito, l’attore umbro si racconta a TeverePost

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Graziano Scarabicchi - foto di Paolo Stucchi

Partito giovanissimo alla volta di Milano e Roma, l’attore umbro Graziano Scarabicchi, classe 1985, è diventato negli anni uno dei volti più noti degli spot televisivi. Lontano dal piccolo paese di Monte Santa Maria Tiberina inizia a lavorare come modello a Milano, per poi affacciarsi al mondo della televisione, in particolare pubblicità che lo hanno portato, nel corso degli anni, a collaborare con attori di fama internazionale. Fortemente legato alla famiglia di origine, in particolare le nonne, Graziano considera fondamentale, per la sua carriera, le forti radici che lo legano alla sua terra di origine e ai suoi cari.

Graziano, raccontaci come e quando è iniziata la tua carriera

Sono partito da Monte Santa Maria Tiberina quando ero ancora molto giovane. Ho sempre saputo di voler fare l’attore già da bambino, quando mio nonno cantastorie mi narrava racconti di guerra. Sono sempre stato un ragazzo che guardava dritto verso gli obiettivi prefissati, non ho mai perso il focus. Alle superiori andavo a lavorare nel fine settimana e mettevo da parte i soldi per partire verso Roma e Milano. Pensavo sempre al mio futuro e non mi sono mai perso dietro troppe cose. Sono partito con una valigia piena di sogni, ma non immaginavo che l’avventura fosse così dura. Sono partito dal Monte come modello e sono approdato, inizialmente, a Milano: mi ricordo che qui giravo a piedi la città andando a suonare a tutte le agenzie di moda. È stato molto difficile all’inizio, soprattutto perché a Milano arrivavano ragazzi giovanissimi da tutto il mondo. Ho ricevuto tantissimi no, potrei farne una collezione! Da parte mia, però, ho sempre messo la “tigna” per affrontare questa nuova realtà e sicuramente, nel tempo, questo ha fatto la differenza.

Per i tuoi genitori com’è stato vederti partire verso questa nuova avventura?

Mio padre è cresciuto senza una figura paterna: ha imparato tutto sulle sue spalle e, per questo, si è molto legato a me e mio fratello. Ha un’azienda di ferro battuto e avrebbe voluto che i suoi figli portassero avanti il suo mestiere. È sempre stato un uomo molto protettivo nei nostri confronti, gli piace tenere tutto sotto controllo. La scelta di trasferirmi a Milano inizialmente lo spaventava molto perché era un mondo che non conosceva. Io e mio padre lavoriamo entrambi sulle sfide, ho ereditato questo aspetto da lui e se dici che una cosa non fa per noi, noi diciamo che niente è impossibile.

C’è stato un momento in particolare in cui hai capito che volevi fare questo lavoro?

Già alle elementari: ogni volta che facevamo una recita scolastica a me piaceva stare al centro dell’attenzione. Per me era come una rivincita. Quando salivo sul palco, mi sentivo il migliore e da li ho capito che questo sarebbe stato il mio futuro. Da bambino guardavo la videocassetta del “Titanic” almeno 3 volte a settimana, tanto che l’ho praticamente consumata. Chi l’avrebbe mai detto che a distanza di anni con Kate Winslet ci avrei lavorato! Ho avuto l’onore di lavorare con la mia attrice preferita, con la star che da bambino vedevo come irraggiungibile. Ho avuto anche la fortuna di lavorare con il mio attore preferito, Anthony Hopkins.

Foto di Paolo Stucchi

Che ruolo ha avuto la tua famiglia nella tua vita?

La mia famiglia ha avuto, ed ha tutt’ora, un ruolo fondamentale. Posso dire di essere cresciuto in mezzo all’arte: mio padre è un fabbro, mio nonno era un falegname. Sono cresciuto fra a materiali grezzi e forti come legno e ferro che, con la mano dell’uomo, si trasformano in qualcos’altro. Molte volte mi immedesimavo in un oggetto grezzo che qualcuno poteva lavorare, pensando, così, di poter diventare qualsiasi cosa volessi. Ho comprato casa a Roma ed abito stabilmente li: ho scelto questa città perché ricca di storia e comunque vicino alla mia famiglia. A rigor di logica, avrei dovuto scegliere Milano perché lavoro molto più li, però Roma mi permette di essere molto più vicino alla mia terra d’origine.

Che studi hai intrapreso per arrivare in televisione?

Ho frequentato diverse accademie. Sono partito con un’accademia triennale di musical a Milano. Inizialmente lavoravo come modello, ma per me era abbastanza limitante non poter parlare ed esprimermi. Mi presero per fare il valletto in un programma e, in quel momento, mi accorsi di essere carente nel parlare: decisi, così, di fare provini per accademie che mi potessero formare a trecentosessanta gradi. Ho vinto una masterclass al Piccolo Teatro di Milano nel 2009, uno dei più prestigiosi teatri italiani. Successivamente, ho vinto un corso presso il teatro Arcobaleno a Roma e, dopo aver vissuto 5 anni a Milano, mi sono trasferito nella capitale. Ho partecipato a diversi stage, seminari e corsi di aggiornamento che tutt’ora continuo a fare perché lo studio e la formazione sono importanti, soprattutto in questo settore.

Sei il volto di tantissimi spot televisivi: quanti ne hai girati fino ad ora?

Fino ad ora, ho girato ben 90 spot! A novembre dello scorso anno ero in onda contemporaneamente con 8 spot di 8 brand diversi. Bisogna essere camaleontici e versatili per questo lavoro. Vincere provini per le pubblicità è molto difficile: devi essere immediato, arrivare subito a livello visivo, devi dare fiducia ed essere un volto rassicurante. Servono attori credibili, ma con un aspetto fashion. I canoni richiesti sono molto rigorosi: denti dritti, fisiognomica regolare, zero difetti, mentre nella moda un difetto può risultare vincente. Bisogna essere subito riconoscibili. Un attore di spot deve seguire i canoni moderni, deve osservare la realtà e riprodurla in maniera coerente.

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Qual è stata l’esperienza più significativa della tua carriera?

Sicuramente, lo spot girato per Decathlon: li ho dovuto superare i miei limiti! Mi sono dovuto buttare da un ponte di 10 metri, anche se soffro di vertigini. In generale, sono un po’ diffidente e buttarsi vuol dire affidarsi obbligatoriamente a qualcun altro. Affrontare questo mi ha permesso di confrontarmi con i miei limiti e superarli. È stata una sfida non solo lavorativa, ma anche personale. Sono in continua competizione con me stesso piuttosto che con gli altri, perché con la mia persona dovrò starci una vita intera. Generalmente, se trovo qualcosa di positivo negli altri, la prendo e la faccio mia.

Come hai vissuto, da attore, il periodo del lockdown nel 2020?

Sono stati mesi di sconforto e smarrimento. Eravamo chiusi in casa senza sapere nulla di certo. Sono stato bloccato per tre mesi, senza poter far nulla, neanche provini. Avevo già lavori confermati e date stabilite, spot confermati che poi non si sono realizzati. Arrivavano budget ridicoli per fare auto-provini a casa e li ho pensato che fosse la fine. Ho avuto la fortuna di avere un agente che mi ha molto seguito, con cui mi sentivo spesso. Mi ha consigliato di prepararmi e studiare molto e così ho fatto. Ho iniziato ad esercitarmi nel fare provini da casa, ho studiato e mi sono perfezionato. Quando hanno riaperto le regioni, il 5 giugno sono riuscito a prendere subito un lavoro, iniziando di nuovo a lavorare e non fermandomi fino a dicembre. In situazioni del genere, essere lucidi è fondamentale ed essere positivi aiuta molto.

Come sono cambiati i set in epoca Covid? Quali misure vengono adottate?

È tutto più freddo e asettico, hanno tutti più paura . Tutto è più complicato, anche i semplici spostamenti in treno. Non c’è più l’affetto di prima e, soprattutto, gli abbracci. C’è voglia di fare e raccontarsi, ma c’è anche timore. Tutto questo, però, si rompe quando lavori con i bambini: loro sono liberi, hanno voglia di giocare e divertirsi. Bisogna stare obbligatoriamente nella sala da trucco predisposta per ognuno di noi con la mascherina. Non si può andare oltre, se andiamo negli ambienti comuni bisogna indossare sempre la mascherina e rispettare il distanziamento, anche per parlare con il regista. Oggi comunichiamo molto con gli occhi. È come se ci fosse un muro e l’unico contatto che si può avere è quello visivo. Ad oggi, ho fatto 42 tamponi in totale per poter lavorare.

Cosa ti aspetti per il futuro? 

Sicuramente, spero di essere una persona serena e felice, qualunque cosa andrò a fare. Mi vedo bene anche dietro la macchina da presa, magari come sceneggiatore o regista per dar vita a qualcosa di mio che nasca dal mio punto di vista. Potrei, perché no, dedicarmi anche all’arredamento che mi appassiona molto. Sicuramente, un giorno vorrò anche diventare padre, perché credo che la vita è un percorso magnifico che deve essere condiviso, in cui è fondamentale donare amore. Ho capito questo grazie alle due missioni umanitarie a cui ho partecipato, esperienze che hanno cambiato la mia vita e il mio modo di pensare.

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