Cosa succede in Kazakistan?

Una guida per capire qualcosa di più sul grande Paese a cavallo tra Asia ed Europa cercando di raccontare i fatti che lo stanno mettendo al centro delle cronache di questi giorni

Il centro della capitale Nur-Sultan

Il raddoppio dei prezzi dei carburanti in Kazakistan ha letteralmente incendiato un Paese che finora rappresentava un baluardo di stabilità nel Centro Asia. La crisi in atto è di complessa interpretazione e come spesso accade le parti interessate spostano le verità come più può fare comodo. Le sommosse sono guidate dall’estero e sono frutto di problemi interni? L’intervento della Russia e di altri Paesi ex sovietici nella crisi kazaka quali conseguenze porterà? Europa e Stati Uniti hanno un ruolo? E la Cina? Cercheremo di raccontare qualcosa sulla storia di questo immenso Paese e di spiegare perché la sua posizione e le sue risorse economiche fanno gola ai vicini russi e cinesi e non lasciano indifferenti neppure Europa e Stati Uniti.

Breve storia del Kazakistan

Con diciannove milioni di abitanti e una grandezza pari a nove volte l’Italia, il Kazakistan è uno dei Paesi più vasti del mondo e si estende a cavallo tra il continente europeo e quello asiatico. Dal punto di vista geopolitico quello che oggi conosciamo come Kazakistan non esisteva prima degli anni ‘30 del XX secolo. Esattamente nel 1936 veniva creata la Repubblica socialista sovietica di Kazakistan in territori che fino a quel momento appartenevano alla Russia sovietica. Nei quindici anni precedenti l’entità kazaka, che fino al 1925 era in realtà chiamata Kirghizia, era semplicemente una regione della Russia, mentre tutta l’area degli “stan” era conosciuta con il nome di Turkestan.

Naturalmente anche prima dell’autonomia riconosciuta in epoca sovietica nelle terre dell’odierno Kazakistan vi erano popolazioni, seppure solo per brevi momenti in grado di creare dei propri soggetti che potevano assomigliare ad un’entità statale. Nel Turkestan si alternarono mongoli, arabi, turchi, in alcune aree persino persiani ed inglesi fino all’arrivo dei russi tra il XVIII e XIX secolo. Con in russi arrivò anche la ferrovia che permise alle popolazioni di spostarsi e agli stessi slavi di colonizzare parte del paese, fondando anche quella che sarebbe diventata la nuova capitale: Alma-Ata.

Le tradizioni culturali vedevano una popolazione legata alla religione musulmana e con una lingua di origine turca. In epoca sovietica venne sviluppata l’industria e organizzata l’agricoltura. Il Kazakistan era la seconda repubblica sovietica per estensione ed ospitava poligoni nucleari, testate missilistiche e il cosmodromo di Leninsk (oggi Bajkonur, tuttora attivo), da dove furono lanciati il primo satellite e il primo uomo nello spazio.

Monumento bellico sovietico dedicato al celebre contingente kazako dei “panfilovci”

Il Kazakistan non fu entusiasta della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Al referendum per il mantenimento dell’Unione del marzo del 1991 il 95% dei cittadini (affluenza 88%) votò contro la fine dell’esperienza sovietica. Le autorità kazake furono le ultime, tra le quindici Repubbliche ex sovietiche, a dichiarare l’indipendenza del Paese. Nel corso del 1992 il nuovo Stato si organizzò dotandosi di nuova bandiera e simboli, lavoro non semplice perché dovevano essere inventate una storia e una tradizione, non essendo il Kazakistan pre-esistente all’Unione Sovietica.

Nel 1997 la capitale fu spostata dalla meridionale Alma-Ata alla più centrale Akmola (in epoca sovietica Celinograd), che fu ribattezzata per l’occasione Astana, che in kazako significa “capitale”. La città venne costruita quasi dal nulla con un’architettura avveniristica. Parte della popolazione di Alma-Ata fu costretta al trasferimento forzato nella nuova capitale per mantenere il proprio lavoro nei ministeri e nelle altre infrastrutture di governo. Il Kazakistan dal 2015 è entrato a far parte di un’unione doganale con Russia e Bielorussia, oltre ad aver fondato la Comunità economica euroasiatica assieme a Russia, Bielorussia, Kirghizistan e Armenia.

Complessivamente nei trent’anni di indipendenza la grande nazione centroasiatica ha beneficiato di una forte crescita economica grazie alle enormi risorse naturali a disposizione e ai buoni rapporti con Russia e Cina. Le ricchezze non sempre sono state distribuite in maniera uniforme tra la popolazione, permettendo ad una oligarchia vicina ai gruppi di potere di arricchirsi e a molte compagnie estrattive estere, tra cui alcune europee ed italiane, di sfruttare importanti concessioni di estrazione. Nel 2017 Astana ha ospitato l’Expo dedicato alle energie future e ha visto la partecipazione di 115 nazioni espositrici. Nel 2019 la capitale kazaka ha preso il nome di Nur-Sultan, in onore del tuttora in vita primo presidente Nursultan Nazarbaev.

Demografia e composizione etnica

Capire la composizione etnica del paese e le dinamiche che ruotano attorno ai cambiamenti degli ultimi trent’anni è fondamentale per inquadrare molti aspetti del Kazakistan moderno. In epoca sovietica l’etnia russa superò come numero di abitanti quella kazaka e complessivamente la popolazione slava (quindi anche ucraini e bielorussi) era maggiore di quella turcofona (oltre ai kazaki anche molti tartari, uzbeki e kirghisi).

Dopo un calo demografico simile a quello della Russia negli anni ‘90, in Kazakistan dai primi anni del XXI secolo è in atto un importante aumento della popolazione accompagnata da un cambiamento della composizione etnica. Basti pensare che poco meno della metà dell’attuale popolazione è nata dopo l’indipendenza del Paese, e quindi non ha mai avuto il passaporto sovietico. Oltre a questo nelle famiglie kazake nascono più bambini che in quelle russe, con un tasso di fertilità di quasi tre figli per donna kazaka contro 1,3 delle famiglie russe.

Un veterano kazako dell’Armata Rossa

Contemporaneamente sono state avviate politiche per favorire il rientro in patria dei kazaki che vivevano in altre aree dell’ex Unione Sovietica. Le stesse politiche erano portate avanti anche dalla Russia, con la conseguenza di una forte diminuzione degli slavi nella composizione etnica del Paese. Ad oggi la popolazione kazaka è poco meno del 70% della popolazione e quella russa circa il 20%, concentrata prevalentemente nelle regioni settentrionali e nella ex capitale Alma-Ata.

Nursultan Nazarbaev

Il Kazakistan e Nursultan Nazarbaev sono indiscutibilmente legati a doppio filo, essendo l’uno protagonista della storia dell’altro, almeno fino ad oggi. Nato nel 1940, Nazarbaev ha avuto un’eccellente carriera nelle file del Partito Comunista kazako e in quello sovietico. Dopo cinque anni come primo ministro tra il 1984 e il 1989, diventa l’ultimo presidente del Kazakistan sovietico e il primo di quello indipendente. Favorevole al colpo di stato dell’agosto del 1991, non sarà tra i sostenitori dello smantellamento dell’Unione Sovietica, di fatto subendola. Traghetta il proprio paese attraverso le difficoltà di non far affondare una nazione che dipendeva molto dagli altri membri dell’Urss, riuscendo a far nascere un sentimento nazionale fino a quel momento quasi inesistente. Mantiene ottimi rapporti con la Russia e sviluppa legami con la Cina. Di fatto in Kazakistan istituisce un sistema quasi a partito unico, dato che nelle varie elezioni la forza di governo, Nur Otan (Patria Radiosa) riuscirà sempre a dominare il parlamento con percentuali tra l’80% e il 90%. Non vanno diversamente le elezioni presidenziali, dove Nazarbaev si attesterà sempre attorno al 90% dei consensi. L’unico partito che in un’occasione è riuscito ha superare il 10% dei consensi è stato quello comunista, poi prontamente sciolto.

Nazarbaev in un manifesto propagandistico nel 2008

A sorpresa nel marzo del 2019 Nazarbaev decide di dimettersi permettendo al presidente del Senato Qasim-Jomart Toqaev di diventare presidente provvisorio del Paese. Proprio in occasione delle dimissioni da presidente di Nazarbaev, Toqaev decreta che la capitale prenderà il nome di Nur-Sultan. Tre mesi dopo Toqaev vince le elezioni presidenziali con il 70% entrando in carica come presidente per un mandato di cinque anni. Al suo posto di presidente del Senato viene eletta Dariga Nazarbaeva, figlia di Nursultan. All’ex presidente spetta un ruolo da senatore, la presidenza del consiglio di sicurezza del Kazakistan e la conferma come leader del partito Nur Otan.

Tra gli indubbi meriti del lungo mandato di Nazarbaev c’è quello di aver mantenuto il Paese stabile, in pace e senza infiltrazioni dell’integralismo islamico come successo in altri “stan”. Allo stesso tempo il paese ha avuto una grossa crescita economica ed infrastrutturale anche grazie al ruolo di cerniera tra Russia e Cina e di zona di passaggio di numerose merci che dall’Asia raggiungono l’Europa. Non si può certamente affermare che il Kazakistan sia una democrazia compiuta, considerata l’inesistenza di forze di reale opposizione al monopolio partitico di Nur Otan. Secondo la stampa occidentale il clan di Nazarbaev si porta dietro anche accuse di corruzione e nepotismo, ma nonostante questo nessuna nazione europea ha rinunciato finora a fare affari con il Kazakistan.

Una curiosa vicenda legata alla presidenza di Nazarbaev è quella legata al piano 2030 di cui erano presenti slogan e cartelli lungo le strade dell’intera nazione. La promessa era che entro quella data il Paese sarebbe diventato ricco e prospero risolvendo ogni problema di povertà. Con l’avvicinarsi della scadenza il progetto è mutato in piano 2050 per non specificati problemi internazionali.

La rivolta di inizio anno

Tutto ha inizio nel sud-ovest del Paese, nella regione di Mańğystau, area ricchissima di petrolio e gas naturale. La prima città dove la gente scende in piazza è Jañaözen, luogo tristemente noto per uno sciopero represso nel sangue dieci anni fa, in occasione del ventennale dell’indipendenza kazaka, e che coinvolgeva i lavoratori locali dell’italiana Eni che rivendicavano da mesi migliori salari e condizioni di lavoro. Stavolta gli anni dall’indipendenza sono trenta, il luogo lo stesso, ma la protesta è contro la liberalizzazione dei prezzi del carburante, in particolar modo quello del gpl, raddoppiato. Seppure i prezzi kazaki siano lontanissimi da quelli europei (si parla di 11 eurocent al litro diventati 22) l’impatto dei costi del carburante in un Paese enorme dove quasi tutto si sposta su ruota diventa devastante anche per i conseguenti aumenti di cibo e generi di prima necessità.

Sempre sulle rive del Mar Caspio comincia un’importante protesta anche a Aktau, il capoluogo della regione. Il governo kazako aveva deciso di liberalizzare i prezzi tagliando i sussidi che avevano garantito finora il basso impatto dei carburanti sulle tasche dei cittadini. Come sta avvenendo in tutto il mondo la forte richiesta di energia ha fatto scattare aumenti prevedibili già dal 2 gennaio, con il conseguente inizio della protesta anche in altre zone del grande Paese. Il 2 e 3 gennaio le proteste si limitano all’occupazione di alcune piazze e le autorità locali dialogano con i dimostranti assicurando che si faranno carico della questione. Le forze dell’ordine al momento non hanno alcun motivo di intervenire. Il governo prende le contromisure preparandosi a possibili manifestazioni nella ex capitale Alma-Ata e nelle principali città, che puntualmente si verificano portando ai primi scontri tra polizia e manifestanti.

Proteste ad Aktau il 4 gennaio. Foto Esetok (CC BY-SA 4.0)

Sale la tensione

Nonostante il 5 gennaio avvengano importanti movimenti politici, la situazione non accenna a calmarsi per esplodere ad Alma-Ata, la città più popolosa del Paese. Al mattino il presidente Toqaev licenzia il primo ministro in carica, assicura una moratoria di sei mesi sui prezzi dei carburanti e soprattutto defenestra Nazarbaev da presidente del consiglio di difesa. La capitale Nur-Sultan è blindata mentre ad Alma-Ata i manifestanti, tra i quali alcuni ben armati e in grado di distribuire armi, prendono possesso del palazzo del comune e della vicina residenza presidenziale, incendiando il primo e saccheggiando la seconda. La furia delle proteste non si limita ai palazzi delle istituzioni nella parte alta della città ma coinvolge anche negozi e automobili. Si contano alcune vittime tra le forze dell’ordine: alcuni poliziotti, sembrerebbe due, vengono decapitati, altri spogliati e linciati dalla folla. Le vittime tra le forze di polizia sarebbero almeno 18 con settecento feriti, in base ai bollettini governativi. Complessivamente le forze di sicurezza kazake hanno un atteggiamento rinunciatario e sembra che abbiano ricevuto anche l’ordine di non contrastare i manifestanti che marciano verso l’aeroporto di Alma-Ata. che di seguito sarà occupato e in parte saccheggiato.

Toqaev chiede il sostegno dei Paesi dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (OTSC) denunciando di fatto che le proteste sono un tentativo di destabilizzare il paese dall’esterno. Allo stesso tempo l’impressione è che il presidente non si fidi di parte dei propri collaboratori e non casualmente sarà poi arrestato Kárim Másimov, a lungo primo ministro in epoca Nazarbaev e fino a poche ore fa a capo dei servizi segreti. Stessa sorte per Samat Abish, nipote dell’ex presidente e numero due dei servizi segreti.

L’OTSC è una organizzazione militare di cui fanno parte attualmente sei ex Repubbliche sovietiche. Oltre al Kazakistan ci sono Russia, Bielorussia, Armenia, Kirghizistan e Tagikistan. Il contingente internazionale, al momento composto da circa quattromila uomini, arriva in Kazakistan in meno di ventiquattro ore e si limita ad incarichi di sorveglianza di strutture strategiche, mentre l’esercito kazako, disimpegnato dagli incarichi ora assunti dall’OTSC, provvede ad una “normalizzazione” della situazione ad Alma-Ata. Il risultato è di qualche migliaia di arresti e qualche decina di morti – alcuni sostengono centinaia – tra i manifestanti.

Toqaev e Putin lo scorso 28 dicembre. Foto Kremlin.ru (CC BY 4.0)

Chi c’è dietro i manifestanti? Le piste interne

Sebbene le autorità kazake abbiano chiesto l’intervento dell’OTSC denunciando interferenze straniere, il siluramento di numerosi importanti funzionari è la dimostrazione che ci sono anche piste interne legate all’organizzazione delle manifestazioni o all’incapacità di prevedere ed intervenire. È un compito difficile con le informazioni al momento a disposizione riuscire ad inquadrare la situazione con esattezza, ma si possono fare delle ipotesi in base a degli elementi finora emersi. Intanto non mancano soggetti che rivendicano la guida del movimento di protesta. Tra loro il dissidente kazako Muxtar Äblyazov, rifugiato in Francia, in passato anche ministro con condanne per truffa e bancarotta in patria e indagato in Gran Bretagna. La moglie e la figlia dell’uomo d’affari furono protagonisti di un episodio di espulsione dall’Italia nel maggio del 2013. Oltre alle rivendicazioni personali di un ruolo nella vicenda delle rivolte di inizio anno, nessuno ad Alma-Ata o a Nur-Sultan ha fatto il suo nome. Non è chiara la posizione dei partiti alternativi a Nur Otan presenti in parlamento come ex comunisti e liberali. I loro siti internet sono non raggiungibili, come quasi tutte le pagine internet con origine nel grande Paese euroasiatico.

Un’altra teoria legata a piste interne vede protagonista lo stesso ex presidente Nazarbaev, o almeno parte del clan a lui riconducibile. Nonostante il padre della patria abbia accettato le limitazioni di potere imposte da Toqaev lo scorso 5 gennaio e abbia dichiarato in più occasioni il proprio sostegno al presidente in carica, alcuni ritengono che i suoi fedelissimi mal sopportino la diminuzione del potere da quando non è più presidente. In realtà nessun segnale negli ultimi due anni ha fatto percepire un calo dell’influenza di Nazarbaev nella politica del Paese, dato che ha sempre condotto personalmente anche gli incontri con i capi di Stato, non ultimo quello con Putin negli ultimi giorni di dicembre. Di certo parte della protesta si è scagliata contro di lui, lo dimostrano i cori contro “il vecchio” e l’abbattimento della sua statua in una cittadina non lontana da Alma-Ata. Nelle rivendicazioni anche dei manifestanti più moderati verso le istituzioni kazake c’è stata la precisa richiesta di estrometterlo dallo scenario politico. Per ora Toqaev ha rimosso alcuni parenti e fedeli dell’ex presidente da alcuni ruoli chiave dello stato. Interessante sarà capire se le purghe in corso colpiranno anche la figlia prediletta, che guida il Senato ed è di fatto vicepresidente del Paese.

Chi c’è dietro i manifestanti? Le piste estere

Le piste estere fanno riferimento ai principali vicini di casa del Kazakistan o all’ingerenza americana. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, che effettivamente avrebbero solo da guadagnare nel creare una situazione di attrito tra Kazakistan e i vicini russi e cinesi, al momento è difficile immaginare come avrebbero potuto mettere il loro zampino dato che lo scenario non sembrerebbe assomigliare più di tanto a situazioni come quella dell’Ucraina del 2013-2014 o ad altre rivoluzioni colorate. Certo che distogliere la Russia dalle attenzioni verso l’Ucraina sarebbe in un certo senso come aprire un secondo fronte diplomatico, ma al momento i rapporti tra Kazakistan e Russia restano ottimi.

La Cina ha più volte manifestato il proprio sostegno a Toqaev e ha il massimo interesse alla stabilità del Paese, al centro del progetto di rilancio della Via della Seta destinata al trasporto di merci proprio da Pechino verso l’Europa. La Russia, accusata di essere il Paese che trae il massimo beneficio dalle conseguenze della rivolta, non avrebbe alcun motivo di destabilizzare un fedele alleato con cui ha costruito unioni doganali ed economiche. Rimarrebbe la storica contrarietà di Nur-Sultan verso Mosca su un parlamento comune euroasiatico, ma da solo questo non sarebbe un motivo di destabilizzazione. Tra l’altro la forte minoranza russa che vive in Kazakistan è sì concentrata prevalentemente nel nord del Paese, ma con percentuali molto più basse di quelle dei russi di Ucraina. Per semplificare: un’operazione che porti alla ribellione di provincie kazake che potrebbero essere filorusse non funzionerebbe allo stesso modo di come è riuscita nell’Ucraina orientale.

Toqaev ha più volte fatto riferimento ad interferenze arabe, che alcuni hanno letto come turche, e tra gli arrestati ci sono molti stranieri originari di quelle aree. In effetti anche alcuni dei principali attivisti delle proteste sono appena rientrati dalla Turchia, ma anche in questo caso non si comprenderebbe che interesse abbia Erdoğan, che ha intensi rapporti diplomatici con la Russia, ad aprire un ennesimo fronte di attrito con Mosca dopo quello in Siria, in supporto all’Azerbaigian contro l’Armenia e la vendita di armamenti all’Ucraina. In ogni caso pure Ankara ha puntualmente auspicato che le autorità kazake ristabiliscano l’ordine nel Paese.

Infine c’è chi dà la colpa alle circa ottantamila società che gestiscono criptovalute trasferitesi dalla Cina al Kazakistan per il minor costo dell’energia. La presenza di queste società potrebbe però al limite aver inciso sull’aumento dei costi energetici, e quindi solo indirettamente su quello che è avvenuto nelle piazze.

Scenari futuri

L’ipotesi più probabile è che dietro alle prime manifestazioni di inizio gennaio ci fosse gente comune contraria agli aumenti dei carburanti ma anche stanca di una situazione politica quasi statica da tre decenni. A questi si sono aggiunti soggetti con l’unico obiettivo di fare razzie e saccheggiare negozi, oltre ad un terzo gruppo di persone con intenti politici estremistici. Tra questi ultimi sicuramente anche qualcuno ben organizzato che ha avuto rapido accesso ad arsenali di armi non solo leggere, oltre ad avere conoscenza di tattiche di guerriglia urbana.

Cittadini, banditi e rivoltosi si sarebbero quindi trovati a condividere le stesse piazze, e la reazione delle forze dell’ordine kazake difficilmente ha fatto distinzioni tra le tre categorie, finendo per colpire anche i cittadini che protestavano senza voler praticare atti violenti. Toqaev ha più volte respinto gli inviti del mondo occidentale al dialogo, ribadendo che non è possibile confrontarsi con dei criminali.

Ad oggi i vincitori morali della crisi sono proprio il presidente Toqaev e la Russia. Il primo perché è rimasto in sella andando a cercare proprio il sostegno di Mosca, quest’ultima perché si è trovata ad esercitare un ruolo in un Paese importante e strategico per la propria politica. Sarà da capire nel medio periodo se questa apparente presa di distanza tra Toqaev e Nazarbaev sarà un fenomeno duraturo o piuttosto una forma di convenienza per superare questa crisi. Gli occhi saranno puntati sul futuro politico della presidente del senato Dariga Nazarbaeva, per capire come i vari gruppi di potere si muoveranno. Previsto nelle prossime ore un rimpasto del governo, mentre sono già stati nominati i nuovi vertici dei servizi segreti.

Nursultan Nazarbaev lo scorso 28 dicembre. Foto President.am (CC BY-SA 3.0)

Certo è che il gruppo dirigente kazako avrà una cambiale da saldare alla Russia e questo potrà avvenire in più modi: uno di questi potrebbe essere una maggiore vicinanza politica, economica e militare nella direzione della ricostruzione di una forte area filorussa nello spazio ex sovietico. In ogni caso un importante contingente militare, non solo russo, è al momento presente in Kazakistan e sarà interessante vedere se oltre a presidiare luoghi strategici eserciterà un ruolo nella prossima fase politica.

Il 10 gennaio si è riunito in teleconferenza l’OTSC alla presenza di tutti i leader dei sei Paesi coinvolti. È stata confermata la certezza di un ruolo di agenti stranieri all’interno delle proteste kazake, oltre a ribadire che l’OTSC non è solo un’alleanza sulla carta, ma uno strumento che d’ora in poi sarà pronto ad intervenire al ripetersi di situazioni simili e su richiesta del Paese coinvolto. Il Maidan ucraino è stato citato come esempio di “modus operandi” per costruire, sfruttando in particolar modo la rete internet, occasioni per destabilizzare i Paesi. Sempre nell’incontro virtuale del 10 gennaio è stato confermato che il “contingente di pace” resterà in Kazakistan per un tempo determinato.

Alla data del 9 gennaio, secondo le fonti governative kazake i morti per le proteste erano 164, a cui devono essere aggiunti i 16-18 membri delle forze dell’ordine, i feriti erano circa 2.200 civili e 1.300 agenti, gli arrestati quasi 6.000, tra cui un numero importante di stranieri. Sempre secondo fonti governative l’ordine costituzionale sarebbe stato ristabilito nonostante il perdurare dello stato di emergenza in molte aree del Paese.

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