In questi quasi due mesi, dal 24 febbraio, mi sono chiesto più volte cosa può fare una piccola comunità come Sansepolcro per fermare un conflitto e soprattutto per attuare politiche che possano prevenirne altri in futuro. Ovviamente Sansepolcro non è l’Onu e non è chiamata da sola a risolvere un problema ben più grande delle proprie possibilità e competenze. Ma entrando nella logica che tutti possono compiere dei piccoli gesti, ritengo che sia comunque possibile fare delle cose nell’immediato e altre nel futuro. Ci sono azioni che vanno benissimo adesso e che vengono già fatte, come un’adeguata accoglienza a chi scappa dal conflitto, un aiuto concreto inviando materiali dove c’è bisogno e anche, perché no, manifestazioni di piazza, atti politici approvati dal Consiglio comunale e, come già successo in passato, anche la partecipazione alla Marcia della Pace Perugia-Assisi.
Ma è importante chiedersi anche cosa possa fare il nostro Borgo in una prospettiva più ampia, tra l’altro in una fase in cui per la prima volta dopo tanti anni si respira in città un clima diverso rispetto al passato. Mi ha colpito come nessuna forza politica, commentatori social seriali o frequentatori della piazza non abbiano strumentalizzato quello che sta accadendo stigmatizzando l’arrivo dei profughi, come invece è successo in passato. Maturità e consapevolezza o solo lontananza da scadenze elettorali? Poco importa, positivo è il fatto che si possa parlare del tema senza rischiare di impantanarsi su polemiche inutili. Sono sorpreso anche dalla pacatezza dei toni e dalla mancanza di polemiche attorno alla recente apertura del centro culturale islamico di Sansepolcro. Questo è un deciso passo verso una società normale, che fino a pochi mesi fa stentavo a vedere in Valtiberina. Tolleranza, ascolto, comprensione, conoscenza reciproca e rispetto delle regole sono aspetti fondamentali per prevenire qualsiasi problema.
Una città che si definisce della “cultura della pace”, che ospita un prestigioso premio dedicato al tema e che porta anche il nome del Santo Sepolcro di Gerusalemme, deve dunque giocoforza avere il coraggio di dare coraggiosi esempi che possano anche essere seguiti da altri. Sul tavolo voglio mettere un’idea da dove partire. Un’idea non perfetta e pronta ad essere corretta e confrontata con quella che sarà la futura situazione internazionale. Vorrei che Sansepolcro prendesse l’iniziativa di proporre un patto di amicizia ad una città russa ed una ucraina. Nulla di straordinariamente nuovo, abbiamo vicino l’esempio di Rondine Cittadella della Pace che mette da anni attorno allo stesso tavolo persone che provengono dalle opposte parti di zone in conflitto tra loro. Avrei anche in mente su quali città poter puntare, due città più grandi di Sansepolcro ma che hanno già qualcosa in comune con la realtà valtiberina.
Molti ucraini arrivati negli ultimi trent’anni a Sansepolcro vengono dalla zona di Novovolyns’k, nella regione occidentale della Volinia ai confini con la Polonia. Una città fondata nel 1950 per sfruttare i vicini bacini carboniferi e che conosce bene il significato di immigrazione ed emigrazione. Una città nuova, costruita su terre sottratte alla Polonia dopo la Seconda guerra mondiale e che è stata abitata da nuovi coloni provenienti da più parti dell’Ucraina e dell’Unione Sovietica. La città ucraina è stata destinataria anche di un carico di aiuti inviato nel 2015 da parte di alcune realtà del nostro territorio. A Novovolyns’k c’è perfino una pizzeria aperta da una famiglia che lungamente ha vissuto in Valtiberina, dove ha imparato il mestiere, prima di tornare nel proprio luogo di origine.
Per la Russia avrei pensato a Kazan’, e non solamente perché chi scrive ci vive ormai da alcuni anni. Kazan è una realtà che rappresenta una Russia poco conosciuta. È il capoluogo del Tatarstan, la terra dei tartari. Qui i russi sono una minoranza etnica mentre invece i tartari sono la maggioranza. Musulmani, ortodossi e tanti non credenti vivono in eccellenti rapporti tra loro. Un modello di autonomia che può ricordare quella dell’Alto Adige e da cui c’è molto da imparare. In Tatarstan le festività delle due religioni sono un’occasione di festa per tutti. Chiese e moschee si guardano sulle stesse strade e piazze. C’è anche una piccola comunità cattolica molto ben organizzata. Kazan’ è una città etnicamente complessa come lo sono Gerusalemme o Sarajevo, ma senza la conflittualità che ha caratterizzato la storia delle due città che ho appena citato. Ora che anche a Sansepolcro è stata riconosciuta e integrata la presenza di una importante minoranza di cittadini musulmani, un legame con Kazan’ avrebbe ancora più significato.
Sia Novovolyns’k che Kazan’ hanno altre due caratteristiche comuni, e non solo il fatto che fino a trent’anni fa erano parte della stessa nazione. La prima è che entrambe dal 2014 hanno visto l’arrivo di profughi dal Donbass e l’altra è che tutte e due le città hanno avuto caduti nel conflitto in corso. Entrambe le comunità hanno quindi vissuto due dei principali drammi che la guerra si porta con sé dal 2014.
Quello che potrebbe essere utile per tutti è che Sansepolcro si facesse promotrice di un patto di amicizia non basato solo su rapporti istituzionali ma soprattutto su un’azione che serva da ponte per far incontrare gente diversa e con usi e tradizioni differenti. Scambi all’insegna della cultura, dello sport, delle attività di scuole e associazioni servirebbero a costruire l’humus della convivenza pacifica. Riuscire in questo complesso compito potrebbe essere da stimolo anche per altre comunità.
Personalmente, avendo avuto la fortuna di poter viaggiare e riuscire, seppure parzialmente, a comprendere mondi anche molto diversi tra loro, ritengo che solo conoscendosi e rispettandosi si possa costruire una società pacifica. L’Europa avrà bisogno che prima o poi scoppi la pace, anche nella parte più orientale del vecchio continente, e che i popoli che oggi si odiano riescano a ricostruire rapporti normali. È inevitabile fare questi difficili passi altrimenti quando finirà questo conflitto saranno maturi i tempi per l’inizio di uno nuovo. Se siamo riusciti a ricostruire un dialogo dopo quello che ha lasciato la Seconda guerra mondiale, in particolar modo tra Germania e resto del vecchio continente, possiamo riuscirci anche oggi.
Mi si potrà dire che quello che propongo è utopia e che sarà difficile che vada in porto un’idea così ambiziosa. Certamente intraprendere una strada come questa è un rischio e non è detto che i tempi siano da subito maturi. Allo stesso tempo ritengo necessario che qualcuno ci debba provare, che Sansepolcro abbia le carte in regola per farlo e soprattutto che per il futuro dell’Europa sia necessario fare tutto il possibile per non creare due blocchi ancora più separati rispetto a quelli dell’epoca della guerra fredda. Cominciamo dai piccoli passi.