Prosegue il nostro approfondimento sui confini del territorio valtiberino. Dopo aver ricordato che Sansepolcro confina con Città di Castello e che a loro volta San Giustino, Citerna e Monte Santa Maria Tiberina non confinano tra di loro per colpa dei tentacoli del territorio tifernate, stavolta raccontiamo una storia più conosciuta e che interessa il comune di Badia Tedalda.
Nonostante la località di Ca’ Raffaello, forse per il passaggio della Strada Statale 258 Marecchiese o per la scomparsa di Guerrina Piscaglia, sia più nota di Santa Sofia, quest’ultima è storicamente più importante, ed essendo stata un marchesato si trova citata in numerose fonti. L’area di Santa Sofia è una delle otto exclavi geografiche interregionali presenti in Italia. Tra queste è la più grande – circa 15 chilometri quadrati – e con poco meno di 300 abitanti è anche la più popolosa. Tra gli altri record attribuibili a questo territorio c’è quello di essere il lembo di Toscana più vicino al mare Adriatico, dal quale dista meno di cinquanta chilometri.
Il fattaccio da cui tutto ha origine risale a martedì 5 giugno 1607, quando il Granduca di Toscana Ferdinando I comprò quindici chilometri quadrati di territorio dai Gonzaga di Novellara e Bagnolo. Non si trattava solo dell’acquisto di qualche casa, di pascoli e di una parte della valle del Marecchia: dietro c’era una precisa strategia che Firenze portava avanti da secoli. Il sogno dei Granduchi di Toscana era quello di arrivare al mare Adriatico e di conseguenza acquisire un ruolo geopolitico strategico di indubbia importanza tagliando in due la penisola italiana. Altre testimonianze di questo espansionismo risalgono al secolo precedente e riguardano il passaggio di Sestino alla Toscana nel 1520 e la costruzione di una città-fortezza sulla vetta del Sasso di Simone da parte di Cosimo de’ Medici nel 1566. Più nota la storia della Romagna toscana, che vide Firenze acquisire un vasto numero di territori portandosi fino alle porte di Forlì dove, nel comune di Castrocaro, sempre Cosimo edificò la Città del Sole, una città-fortezza tuttora visitabile. Quasi tutte queste terre entrarono a far parte dell’Emilia-Romagna durante il Fascismo. Stessa sorte toccò a Verghereto e alle sorgenti del Tevere, che così finirono proprio e non casualmente nella provincia che diede i natali a Benito Mussolini. L’exclave di Santa Sofia, dopo aver sempre mantenuto il legame con la Toscana in epoca preunitaria, entrò a far parte del Regno d’Italia nonostante la maggior parte dei cittadini di Badia Tedalda non avesse votato a favore dell’unione con il resto d’Italia nel plebiscito del 1860. Le riforme fasciste non toccarono questa parte di territorio e di conseguenza l’exclave continuò a sopravvivere come parte della provincia di Arezzo e territorio di Badia Tedalda fino alla nascita della Repubblica Italiana e poi fino ai giorni nostri.
Facciamo un passo indietro e torniamo nuovamente al 5 giugno del 1607. Proviamo a capire da chi e come i Medici comprarono questo territorio.
“Era cotesto paese insieme col vicino castelletto di Monte Rotondo di Marecchia un de’ molti paesi appartenuti ai conti di Montedoglio, occupati dai Tarlati, e quindi da Neri Uguccione della Faggiuola, al quale pare non venissero resi dopo la pace di Sarzana nel 1353, mentre erano tornati in potere dei conti di Montedoglio. Fu uno degli eredi di questi luoghi donna Paola figlia del conte Prinzivalle di Guido, ultimo primogenito maschio della prima razza de’conti di Montedoglio; la qual donna sul declinare del secolo XV essendosi maritata ad un Gonzaga conte di Novellara portò i suoi diritti sui feudi di Montedoglio nella casa del marito. Dai figli di Cristoforo di Giovanni Francesco Gonzaga dei conti di Novellara pronipoti di donna Paola, il Granduca di Toscana Ferdinando I mediante istrumento del 5 giugno 1607 comprò per il prezzo di scudi settemila, il villaggio col distretto e ragioni di Santa Sofia in Marecchia”.
Questo si legge alle pagine 163 e 164 del volume quinto del Dizionario geografico fisico storico della Toscana edito dall’Accademia dei Georgofili nel 1843 e conservato alla Biblioteca Nazionale di Firenze. Sempre questo prezioso testo di epoca preunitaria ci ricorda che dopo il 1607 si susseguirono più di un marchese della famiglia Colloredo, fino a quando il 19 settembre 1794, ad opera del Granduca Ferdinando III d’Asburgo-Lorena, “il marchesato di Santa Sofia in Valmarecchia venne incorporato alla Comunità della Badia Tedalda, nella quale tuttora è compreso con tutte le gravezze pubbliche e comunitative della comunità medesima senza distinzione o privilegio”. I membri della famiglia Colloredo tuttora oggi continuano ad ereditare il titolo di marchesi di Santa Sofia.
È interessante seguire l’evoluzione dei soggetti politici che hanno circondato l’isola geografica nel corso dei secoli. All’inizio il Marchesato di Santa Sofia confinava con il Ducato di Montefeltro. Questo fino al 1625, quando Urbino passò sotto il controllo dello Stato Pontificio. Durante la dominazione napoleonica fu creato il Dipartimento del Metauro, mentre dopo il Congresso di Vienna la zona tornò di nuovo sotto lo Stato della Chiesa. Nel 1860 anche la legazione delle Marche fu occupata dal Regno di Sardegna e subito dopo entrò a far parte del nascituro Regno d’Italia. Quindi nel 1861 il confine non fu più tra due stati, ma divenne tra la Provincia di Arezzo e la Provincia di Pesaro e Urbino. In epoca repubblicana fu evento degno di nota quello del 2006, quando attraverso un referendum previsto dall’ordinamento costituzionale italiano sette comuni, tra cui quelli confinanti con Santa Sofia, sono passati dalle Marche all’Emilia-Romagna e dalla Provincia di Pesaro e Urbino a quella di Rimini. Il passaggio reale avvenne nell’agosto del 2009 e da quel momento la nostra isola geografica si ritrovò circondata dall’Emilia-Romagna, e più precisamente dai comuni di Casteldelci, Pennabilli e Sant’Agata Feltria dove oggi, grazie alle rapide azioni intraprese dal Sindaco Alberto Santucci, i residenti del Comune di Badia Tedalda, e natualmente anche quelli di Santa Sofia, possono recarsi anche durante la fase 2 della pandemia di Covid-19.