Negli ultimi giorni mi è capitato spesso di essere contattato da amici o semplici conoscenti intenzionati a conoscere come viene vissuta la guerra in corso tra Russia e Ucraina dal mio osservatorio in qualche modo privilegiato. Tra i tanti ci sono coloro che non hanno idea di dove esattamente viva e che pensano che la mia famiglia sia in una situazione di pericolo. Altri vogliono capire come i media russi raccontano la guerra o se l’opinione pubblica della nazione più vasta del mondo appoggia o meno l’intervento militare in atto in Ucraina. Rispondere a queste domande non è semplice perché la Russia, come ogni luogo al mondo, ha sensibilità molto variegate e quella che può essere la mia panoramica personale non è per forza rappresentativa dell’opinione dell’intero Paese. Provo a raccontare tutto quello che vedo e sento, ribadendo che è un punto di vista parziale.
Favorevoli e contrari alla guerra
Impossibile poter parlare di percentuali, e allo stesso tempo esistono posizioni intermedie. In questi giorni sono scesi in piazza, in manifestazioni definite “non autorizzate”, alcune migliaia di cittadini, comunque meno di quelli che si videro all’epoca delle vicende legate a Naval’nyj. Però tra loro e in forma virtuale ci sono anche molte personalità importanti dello “star system” russo come cantanti, attori e personaggi sportivi, che hanno pubblicato nei propri profili social prese di posizione contro il conflitto verso un popolo fratello. Non mancano tra le celebrità anche molti che sono favorevoli alla linea di Putin. Detto francamente, la stragrande maggioranza delle personalità pubbliche non si è espressa in alcun modo.
La preoccupazione è largamente diffusa anche tra la gente non celebre, ma allo stesso modo la parte politica del problema, ovvero allargamento della Nato e ostilità ucraina verso la gente del Donbass, sembrerebbe essere ritenuto un ostacolo con l’Occidente sostanzialmente dalla totalità dell’opinione pubblica. Sulla guerra percepisco come molti si aspettassero un intervento militare destinato alla difesa di Doneck e Lugansk, al massimo al ripristino dell’acqua in Crimea, e non un’operazione su larga scala come quella a cui stiamo assistendo. Davanti a tutto questo ho spesso sentito frasi di sostegno a Putin, ma anche persone in un primo momento perplesse sul conflitto tornare ad essere convintamente a favore dopo aver visto la reazione dell’Occidente con sanzioni, revoche di eventi sportivi o musicali, ma soprattutto per la vasta concessione di armamenti all’Ucraina. Tra quelli che conosco personalmente sono pochi coloro che sono convintamente contrari a quello che sta accadendo. Di seguito elenco alcuni dei temi più comuni che i russi sottolineano quando si affronta il tema.
La guerra c’è da otto anni
Inizio da una frase che spesso i miei interlocutori italiani percepiscono come esagerata mentre per i russi, compresi quelli contrari a tutto ciò avvenuto dopo il 24 febbraio, è una cosa scontata. Tra febbraio e marzo del 2014 a Kiev veniva estromesso dal potere il presidente considerato filorusso Viktor Janukovyc. Avveniva alla fine dei mesi di protesta nella piazza centrale di Kiev, Piazza Indipendenza meglio conosciuta come Maidan. Alcune regioni dell’Ucraina, quelle dove era maggioritaria la presenza dell’etnia russa o della lingua russa, insorsero contro il nuovo potere. La Russia prese possesso della Crimea con un’operazione indolore e supportata dalla maggioranza della popolazione locale. Nell’Est del paese si formarono delle amministrazioni popolari verso cui l’Ucraina inviò il proprio esercito. Dalla conseguenze di questo nacquero le Repubbliche popolari di Doneck e Lugansk, supportate dalla Russia. Dopo un anno di guerra la situazione entrò in stallo con gli Accordi di Minsk, in realtà mai portati a compimento. Per sette anni in Occidente si è parlato pochissimo del conflitto a bassa intensità proseguito tra separatisti e ribelli e che ha comunque causato migliaia di morti e profughi verso la Russia. A Mosca e nell’intera nazione per sette anni il tema ha sempre tenuto banco nei mezzi di informazione, soprattutto in occasione di passi come il divieto di usare il russo come lingua nei territori ucraini a maggioranza russa o per le sanzioni in atto da parte di Usa e Unione Europea.
Il tema dei profughi
A seguito della parte più intensa della guerra nel Donbass, quella tra il 2014 e il 2015, circa un milione di profughi arrivò in Russia dai territori di Doneck e Lugansk. Furono distribuiti in gran parte della Russia europea e una parte di loro è poi tornata nel Donbass. Chiunque si trovi in fila ad un ufficio immigrazione russo per permessi di soggiorno o domande di cittadinanza vedrà sempre un quantitativo importante di passaporti ucraini. Dall’inizio della crisi del 2014 quasi un milione di ucraini ha acquisito la cittadinanza russa anche grazie ad una legge speciale che agevola e velocizza l’iter. L’accentuarsi della crisi che ha portato alla guerra in corso ha visto ricominciare un’ondata di profughi esattamente come sta avvenendo nelle frontiere occidentali con Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania. I mezzi di comunicazione russi hanno evidenziato come dal 2014 alla crisi attuale la Russia si sia fatta carico di portare aiuti umanitari ai connazionali del Donbass e di ospitare i profughi in fuga nel proprio territorio, oltre che difendere la popolazione da quello che le autorità russe hanno definito un “genocidio”.
Il colpo di stato e Stepan Bandera
Nel punto di vista di Mosca e di fatto della gran parte dei russi le vicende di Maidan tra il 2013 e il 2014 furono un colpo di stato ordito da americani ed europei per deporre il presidente e il governo filorusso in collaborazione con manifestanti e forze paramilitari di destra. Le elezioni presidenziali del 2010 e quelle parlamentari del 2012 videro vincere Viktor Janukovyc e i partiti filorussi. Nessuno in Ucraina o all’estero definì quelle elezioni non democratiche. L’allontanamento di Janukovyc dal potere con la forza in Russia viene visto come un colpo di stato come le successive elezioni, dove di fatto alcuni candidati e alcune forze politiche non poterono partecipare. Per i comunisti ucraini arrivò addirittura la messa al bando. Assieme a tutto questo nella retorica dei nuovi governanti tornarono in auge figure controverse come quella del collaboratore nazista e nazionalista ucraino Stepan Bandera, a cui sono stati dedicati strade e monumenti, soprattutto all’ovest del paese, mentre venivano abbattute le statue di Lenin visto come simbolo dell’imperialismo russo. A questo vanno aggiunti successivi provvedimenti legislativi con il divieto di parlare la lingua russa e l’eliminazione di tutti i simboli, monumenti e toponomastica di riferimento al periodo sovietico.
Il consenso su Putin
Il presidente russo è di fatto al potere dal 2000. La vasta popolarità avuta finora si basa su alcune dinamiche poco note in Occidente. Putin viene visto come colui che ha portato la Russia fuori dai caotici anni ‘90 nei quali il Paese era sprofondato in una gravissima crisi economica e sociale dovuta alla fine dell’Unione Sovietica. La riorganizzazione dello Stato, la limitazione allo strapotere degli oligarchi, l’aver ri-nazionalizzato i settori strategici privatizzati da El’cin e l’aver concluso il conflitto ceceno sono i principali motivi per i quali Putin ha goduto di ampio consenso in patria. Allo stesso tempo ha riportato la Russia al centro dello scacchiere mondiale in politica estera e ha praticamente estinto il debito pubblico della nazione. Negli ultimi anni le critiche gli sono piovute addosso più per problematiche di politica interna, ma raramente per il ruolo assunto dalla Russia a livello internazionale. Ad oggi, soprattutto tra i meno giovani, gode di un consenso molto vasto e non mancano i russi che ritengono che se è stato deciso questo attacco, probabilmente era necessario farlo.
Russofobia
Un altro tema che metto nell’elenco è quello che ruota attorno alla russofobia. Dalla distruzione dei monumenti sovietici relativi alla seconda guerra mondiale da parte di alcune nazioni dell’Est Europa, al mancato riconoscimento dello Sputnik come vaccino da parte dell’agenzia europea, dall’ostracismo verso il gasdotto Nord Stream 2 fino all’impossibilità di partecipare alle Olimpiadi con la propria bandiera ed inno. Tutte cose che contribuiscono a rafforzare un sentimento di accerchiamento verso la Russia che la gente percepisce come una precisa scelta politica. A questo si aggiungono le vicende relative ai luoghi in cui i russi sono minoranza etnica in altri stati post-sovietici, dove alcuni diritti come il bilinguismo non vengono riconosciuti. Tutti questi aspetti, oltre all’incremento delle già citate sanzioni, contribuiscono a scavare un solco sempre più difficile da colmare tra molte persone, soprattutto tra quelle meno avvezze alla comprensione e ascolto reciproco.
Sempre a livello personale ritengo che una parte del mondo non sarà più la stessa dopo questa vicenda. Possono cambiare i governanti ma il ricordo di questo episodio, in qualsiasi modo finirà, resterà e creerà problemi nei rapporti tra Europa e Russia per decenni. Forse proprio questo era l’obiettivo degli Stati Uniti e forse anche della Cina. Personalmente ho sempre ritenuto che un buon rapporto tra Russia ed Europa fosse strategico per entrambe, anche per conquistare un’autonomia politica, economia e diplomatica che il vecchio continente non riesce più ad avere. Da persona che ha lavorato per anni per far conoscere le dinamiche russe all’Italia e viceversa significa dover ricominciare un enorme lavoro daccapo.