All’avvio della fase 2 TeverePost ha intervistato il dottor Evaristo Giglio, direttore della Zona-distretto Aretina-Casentino-Valtiberina, la più grande delle otto Zone dell’Azienda Usl Toscana Sud Est. Con particolare attenzione alla nostra vallata, nel colloquio sono stati esaminati l’impatto avuto dall’emergenza e le prospettive che attendono nel prossimo futuro i fruitori dei servizi territoriali e sanitari in generale.
Come ha vissuto l’articolazione territoriale Valtiberina la fase dall’inizio dell’emergenza a oggi?
La Valtiberina ha risposto prontamente alla nuova organizzazione che si è resa necessaria a seguito del DPCM e delle varie ordinanze del Presidente della Giunta regionale toscana. In particolare è stato avviato un sistema di allerta per l’identificazione del caso positivo sia domiciliare che presso le strutture per disabili e non autosufficienti, comprese le RSA. Mediante l’indagine epidemiologica portata avanti dall’Igiene pubblica su input del medico di medicina generale o dall’USCA (Unità speciale di continuità assistenziale – équipe creata ad hoc in ogni zona o articolazione dopo ordinanza regionale) sono stati sempre garantiti l’immediato isolamento del caso e la quarantena dei contatti. I positivi asintomatici sono stati isolati a domicilio o in strutture non sanitarie, mentre i positivi con sintomi di malattia sono stati trasferiti in ospedale Covid (ospedale San Donato di Arezzo). Il Distretto della Valtiberina ha dato continue raccomandazioni alle strutture che ospitano anziani e pazienti fragili, caldeggiando sistematicamente rigide misure finalizzate all’osservanza delle precauzioni igieniche, alla chiusura degli ingressi dall’esterno per favorire il massimo della sicurezza, al monitoraggio dell’infezione attraverso i tamponi e i test sierologici. Ciò ha fatto sì che, mediante un monitoraggio attento e continuo, presso le RSA della Valtiberina non siano stati registrati casi di positività fra gli ospiti, mentre all’inizio dell’epidemia vi è stato un solo caso positivo tra gli operatori della RSA di Badia Tedalda. I casi positivi a domicilio e in altre strutture non sanitarie sono stati attivamente sorvegliati dai sanitari dell’USCA, i quali hanno potuto contare sull’apporto sia dei geriatri territoriali, sia della rete di pneumologia territoriale. La presenza congiunta dei sanitari di base (medici e infermieri) e degli specialisti suddetti ha assicurato una presa in carico globale che può essere considerata alla base del forte contenimento dei casi a livello territoriali, con scarsi ingressi in ospedale.
Il trend fino ad oggi registrato è assolutamente soddisfacente con pochi casi e con la sola eccezione di un focolaio di inizio della epidemia a cavallo tra i comuni di Badia Tedalda e Sestino.
L’articolazione territoriale della Valtiberina ha assicurato, sin dall’inizio dell’epidemia, l’effettuazione dei tamponi e dei test sierologici a tutte le strutture socio-sanitarie (RSA, Strutture per disabili, ecc) e sta attualmente ri-programmando l’esecuzione di altri esami ad ospiti e operatori delle stesse strutture.
Come cambiano i servizi con la fase 2? Come si traduce nel concreto della Valtiberina l’ordinanza regionale n. 49/2020?
Riguardo alla fase 2 bisogna dire che, nella nostra ASL, resteranno ad operare gli ospedali Covid ad Arezzo e Grosseto. Le attività specialistiche ambulatoriali e i prelievi che venivano effettuati nel presidio ospedaliero saranno trasferite nel territorio. Il distretto sta organizzando un’adeguata articolazione delle attività specialistiche che guardi, in primis, alla sicurezza degli utenti (check point, distanziamento, diradamento delle presenze in sala di attesa), anche attraverso l’attivazione della telemedicina e del teleconsulto tra Medico di medicina generale (MMG) e specialista. Resta in piedi il triage telefonico da parte del MMG ma anche la possibilità di chiamata da parte del medico allo specialista al telefono mobile dedicato.
Resterà in piedi il sistema delle USCA, che in Valtiberina ha visto la luce tra le prime zone, e attraverso queste figure sarà garantita la sorveglianza degli ospiti delle RSA.
L’ospedale di comunità, la cui attività era stata sospesa per favorire un migliore utilizzo dell’area di osservazione dell’ospedale, verrà riattivato all’interno dell’ospedale, dove troveranno spazio altri servizi che hanno carattere di prevalente territorialità. In questi casi è allo studio una suddivisione dei percorsi tra ospedale sensu strictiori e attività ambulatoriale e cure intermedie, in modo da contenere il più possibile la diffusione di infezioni.
Nel prossimo futuro, cosa devono aspettarsi di diverso rispetto al passato i fruitori dei servizi nella zona Valtiberina?
Non credo ci saranno significativi cambiamenti. Ciò che mi sento di dire è che questa emergenza, con tutti i problemi che si è portata dietro, ha permesso anche la riflessione ed il conseguente rilancio di alcune opportunità che le ordinanze del Presidente della Regione hanno colto. Tra queste la necessità di aumentare l’area delle Cure intermedie territoriali, il cui standard è previsto in 0,4 x 1.000 residenti, ma anche la presenza presso le RSA di una figura medica stabile che finora mancava, senza dimenticare che i modelli resisi necessari per contenere la diffusione del virus hanno evidenziato che la continuità tra l’ospedale e i servizi territoriali è una carta vincente che ha consentito in Valtiberina come in altre aree della Toscana un ottimo controllo dell’epidemia. Lo stesso modello potrà essere dunque applicato alle diverse sfaccettature della cronicità che è sempre lì (non è mai scomparsa con il Covid!) ed ora si aspetta dal servizio sanitario una presa in carico globale più efficace, dove il polo ospedaliero sempre di più sarà chiamato a ragionare dialetticamente con il territorio per garantire un ventaglio di risposte rapide ed efficiente. E qui tornano i modelli suddetti dell’appropriatezza, della telemedicina, del teleconsulto, ma anche dell’Integrazione clinica ed assistenziale attraverso l’espansione di un’efficiente Area di cure intermedie nel Distretto e di un potenziamento dell’assistenza domiciliare.
L’emergenza coronavirus ha messo in luce debolezze e criticità del sistema?
Se vi è stata una criticità rilevante dell’emergenza coronavirus da noi, essa potrebbe essere individuata nella percezione, avvertita tra le famiglie di pazienti con gravi patologie croniche e dunque più bisognose di continuità delle cure, di una loro seppur transitoria sottovalutazione da parte del sistema sanitario, a favore di un’attenzione a tratti sovradimensionata dell’offerta ospedaliera nei confronti della reale incidenza di ricoveri; condizione che, come si è detto, grazie alla rete territoriale che ha funzionato non ha subito lo stress atteso. La programmazione di questi servizi di rianimazione e di intensiva in generale è stata tuttavia necessaria poiché non era dato conoscere quale sarebbe stato il reale impatto, e dunque l’Azienda Sud Est si è prepararata al meglio. Nel corso dell’epidemia si è potuto constatare che la rete dei servizi territoriali (Medicina generale/USCA, Cure primarie del Distretto, Igiene pubblica) ha rappresentato il valore aggiunto in grado di limitare non solo la diffusione del contagio, ma anche l’evoluzione clinica della malattia, sia attraverso l’isolamento immediato dei focolai, sia mediante la sorveglianza attiva nei domicili e nelle RSA (USCA).
È stata questa constatazione a far ipotizzare concretamente che è forse possibile ripensare in grande un modello di interazione tra ospedale e territorio che potrebbe rappresentare, a partire dalla fase 2, l’innovazione davvero significativa di un modello di sanità che ha in sé gli elementi organizzativi e professionali per assicurare una presa in carico globale della cronicità, purtroppo ben nota e diffusa epidemia con cui dovremo fare i conti nei prossimi decenni.