È stato uno dei grandi protagonisti di quel formidabile Sansepolcro che nella stagione 1978-1979 conquistò la promozione in Serie C2 e con la maglia bianconera ha vissuto 6 annate ricche di soddisfazioni e di risultati prestigiosi. Stiamo parlando ovviamente di Claudio Facchin, piemontese di origine, ma biturgense a tutti gli effetti. A Sansepolcro ha infatti incontrato Silvana, l’amore della sua vita, e vive da oltre 40 anni. In campo è stato il “faro” della squadra, grazie alle sue indiscusse qualità tecniche e alla sua capacità di giocare sempre a testa alta, disegnando calcio e mettendo la sua classe al servizio del collettivo. Sansepolcro è diventato il centro del suo percorso nel mondo del pallone, ma prima e dopo ha vissute altre significative esperienze. In avvio nella periferia piemontese, a La Spezia, nell’Under 23 del Parma, a Città di Castello e Cuneo, più tardi in altre realtà del nostro territorio in cui si è tolto altre importanti soddisfazioni anche ricoprendo il doppio ruolo di giocatore-allenatore. Aveva qualità superiori alla media e avrebbe meritato di calcare palcoscenici ancora più prestigiosi, ma la sua carriera è stata comunque di livello e lo ha portato tra l’altro ad affrontare in amichevole il Cagliari di Riva, la Juventus di Bettega e il Torino dei “gemelli del gol” Graziani e Pulici. Tre squadre che hanno fatto la storia dello sport italiano. Il calcio è sempre stato la sua grande passione ed è anche una “questione di famiglia”, visto che suo cugino è Gian Piero Gasperini, mister che in questi anni sta facendo cose strabilianti con l’Atalanta. Oggi assieme a Claudio ripercorreremo una storia calcistica lunga e intensa che merita di essere raccontata.
Quando e come è iniziata la tua avventura calcistica?
Sono nato e cresciuto nella periferia di Torino. All’inizio giocavo come tutti i bambini assieme agli amici per le strade e nei campetti della zona, mentre il settore giovanile lo feci nel Bussoleno, piccola realtà di paese lì nella periferia. Feci anche un provino con il Torino e mi misi in bella evidenza, tanto che la società granata mi prese. Però mio padre non mi fece andare perché voleva che studiassi. Mio zio, il babbo di Gasperini, era amico di Boniperti e voleva portarmi a fare un provino con la Juve, ma mio padre fu irremovibile.
Quando cambiarono le cose?
Un po’ di tempo dopo. Iniziai a lavorare e feci l’anno del militare in Marina, con il Centro Addestramento Reclute, il CAR tanto per intenderci, a La Spezia. Ovviamente dato che il calcio era la passione mia e di molti giovani, appena c’era un momento libero ne approfittavamo per giocare lì nel campetto della Marina. Un dirigente dell’Arsenal Spezia, compagine ligure che militava Promozione, mi vide e mi chiese di giocare con loro. Accettai con entusiasmo. Con il pallone tra i piedi me la cavavo bene. Venivo convocato abitualmente nella rappresentativa ligure e alcune squadre professionistiche si fecero avanti, contattandomi per fare dei provini. Con il Parma ne feci tre. Nel primo giocai bene quindi mi fecero tornare, nel secondo segnai anche una rete e così ce ne fu un terzo in cui di gol ne realizzai ben due. Così nella stagione 1973-1974 mi presero per giocare nell’Under 23. Prima di andare a Parma avevo fatto la preparazione con l’Empoli che militava in Serie C e avevo giocato in amichevole anche contro il Cagliari del grande Gigi Riva. Una bella emozione.
Come fu l’esperienza a Parma?
Molto bella a livello calcistico e anche personale. Il Parma, allenato in quegli anni da Giorgio Sereni, aveva in organico giocatori come Repetto, Volpi e Spadetto e militava in Serie B. Far parte dell’Under 23 era una opportunità importante. Giocavo sempre titolare, come centravanti arretrato, e disputai un’ottima annata, segnando anche qualche rete. Mi allenavo con la prima squadra, però non venni mai convocato anche se lo avrei meritato. Purtroppo mi penalizzò la clausola che avrebbe fatto scattare l’obbligo di riscatto in caso di presenze in Serie B, ipotesi che non rientrava evidentemente nei piani della società. Il momento più emozionante fu l’amichevole disputata dalla prima squadra contro la Juventus, gara in cui giocai anche io.
Come andò?
Nella squadra bianconera c’erano tanti campioni, a partire da Roberto Bettega che conoscevo in quanto abitava vicino a mia zia. A fine gara scambiammo qualche battuta e conservo ancora una foto che ci ritrae insieme all’uscita dal campo. Disputai una buona prestazione e sfiorai anche il gol calciando di poco fuori dopo un dribbling dal limite. Segnare contro una squadra così forte, seppur in amichevole, sarebbe stato meraviglioso, invece il tiro uscì per una questione di centimetri.
Come si concluse l’avventura al Parma?
Con un pizzico di rammarico, perché ero sempre tra i migliori in campo nell’Under 23 ed avrei meritato una chance in prima squadra. Purtroppo non andò così e a fine stagione le nostre strade si separarono. Il Parma prese dal Città di Castello il portiere Borsi e mi inserì nello scambio, così nella stagione 1974-1975 arrivai in Umbria. La squadra tifernate militava in Serie D, aveva in rosa Mambrini e altri buoni calciatori e era diretta da mister Azzali, tra l’altro un ex calciatore del Parma. Non fu una stagione straordinaria a livello di risultati, ma io, alla prima avventura tra gli adulti, feci comunque bene e segnai anche qualche gol. Fu un’esperienza importante per la mia crescita calcistica e non solo, dato che una sera andai a ballare con i miei compagni al Clover e conobbi Silvana, la mia attuale moglie e da quel momento la donna della mia vita. Per questo sarei rimasto volentieri a giocare in zona.
Invece non andò così, almeno nell’immediato. Prima del tuo arrivo a Sansepolcro ci fu il trasferimento al Cuneo in Serie D. Come fu l’esperienza piemontese?
I due anni di prestito erano terminati e il Cuneo si dimostrò la società più convinta nel prendermi. Iniziai la nuova avventura con il solito entusiasmo e devo dire che le cose andarono bene fin da subito. A ferragosto affrontammo in amichevole, nel nostro stadio, il Torino dei “gemelli del gol” Pulici e Graziani. Considera che eravamo nel 1975-1976 e che quella squadra a fine anno conquistò lo Scudetto. Fu una splendida giornata, una di quelle che ti porti dentro per sempre. Lo stadio era gremito perché tutti volevano vedere all’opera il team granata e c’era davvero tanto entusiasmo. Io mi trovavo bene contro le squadre che giocavano e che facevano giocare, perché potevo far valere la mia tecnica e mi misi in mostra. La stagione fu buona per me e per la squadra, ma ero fidanzato con Silvana e volevo venire a giocare nel Sansepolcro per stare con lei. Il presidente del Cuneo non mi voleva vendere, ma i dirigenti bianconeri riuscirono a convincerlo.
Sansepolcro ha rappresentato una pagina importante della tua carriera. Quali i ricordi più cari di quella avventura?
Avevo tanta voglia di giocare nella squadra biturgense non solo per stare vicino a Silvana, ma anche perché militava in un campionato importante come la Serie D e perché in organico c’erano tanti giocatori forti. Mi trovai subito bene e le 6 stagioni passate in bianconero restano nel mio cuore. Capitano di quel Sansepolcro era Fernando Chiasserini che da vero leader mi accolse nel migliore dei modi, facendomi sentire a mio agio. Eravamo un bel gruppo, dentro e fuori dal campo. Ci facevamo un sacco di scherzi e ci divertivamo tanto. Il periodo magico iniziò con Silvano Grassi in panchina, tecnico preparato e soprattutto uomo fantastico che per molti di noi fu una sorta di secondo padre.
Veniamo alla promozione dalla Serie D alla C2 nella stagione 1978-1979. Cosa significò quell’impresa?
Fu un’annata incredibile che ci vide protagonisti di una straordinaria cavalcata. Non sentivamo nessun tipo di pressione e non avevamo l’obbligo di vincere, ma domenica dopo domenica acquisivamo consapevolezza e volevamo giocarcela fino alla fine. Andavamo in campo con tanto entusiasmo, spinti anche dai nostri tifosi che ogni settimana riempivano gli spalti del Buitoni dandoci una carica ulteriore. La squadra era già forte e fu completata con alcuni importanti innesti mirati come Olinto Magara, decisivo con i suoi gol, a partire da quello che ci permise di vincere il derby contro il Città di Castello e che dette la svolta alla nostra stagione. Squadra, società, tifosi e soprattutto mister Grassi. Molti meriti del successo furono suoi. Preparava bene le partite, ci sapeva prendere per il verso giusto e fu la guida ideale. Io realizzai un paio di gol e ricordo che a fine stagione venni premiato dalla radio locale come miglior giocatore bianconero. Scendevamo in campo consapevoli e tranquilli, tranne forse che nelle ultime gare e soprattutto nel match conclusivo con il Russi. Lì ci era presa un po’ di paura di vincere, ma andò bene e grazie allo 0-0 festeggiamo la storica promozione!
La Serie C2 rappresenta ancora oggi la massima categoria mai raggiunta dal Sansepolcro nella sua storia centenaria. Come ti fa sentire questo?
Molto felice ed orgoglioso. In quel momento ci sembrava una cosa naturale, a distanza di tanti anni invece ci rendiamo conto di quanto unico fu quel periodo. Giocare in C fu un traguardo importante per tanti di noi e facemmo del nostro meglio per mantenere la categoria. Nella prima stagione ottenemmo ottimi risultati e ci salvammo senza troppi patemi, nella seconda invece pagammo a caro prezzo i 5 punti di penalizzazione e proprio per questo retrocedemmo. Giocavamo un bel calcio e non meritavamo, a mio avviso, di scendere di categoria. A livello personale ricordo anche un paio di miei gol, uno in casa con il Grosseto su punizione e un altro fuori con il Siena. Ebbi anche l’onore di indossare la fascia da capitano. Fu una gratificazione ed un segno della fiducia che c’era nei miei confronti. Sansepolcro è casa mia ormai da anni e devo dire che fin da subito si creò un bel rapporto con tutti, partendo dalla società, dai compagni e dai tifosi, ma anche con chi non seguiva il calcio. La retrocessione dalla Serie C fu un dispiacere, ma nonostante quell’amarezza reputo fantastiche le 6 stagioni trascorse in maglia bianconera.
Come si sviluppò la tua avventura calcistica negli anni successivi?
Nell’estate del 1981 io e Tellini seguimmo, per così dire, Chiasserini al Subbiano in Promozione. Il mister era Galantini, la squadra era competitiva e infatti ci piazzammo nei piani alti della classifica. L’anno dopo io e Tellini ci trasferimmo a Bibbiena, in Prima Categoria con Brunero Poggesi in panchina. Lì restai per ben tre stagioni e nella seconda vincemmo il campionato primeggiando al termine di un duello spettacolare e avvincente con la Monterchiese. Nel decisivo scontro diretto, di fronte a 3500 persone, sul punteggio di 0-0 ci fu concesso un calcio di rigore. Mancavano mi pare 2 gare alla fine e vincendo quella sfida ci saremmo portati a +5. Era il momento della verità quindi. Mi presentai sul dischetto con un po’ di tensione, ma segnai e fu un gol fondamentale. A Bibbiena rimasi un altro anno. Nel frattempo partecipai al corso di allenatore di Terza Categoria prendendo il patentino e nella stagione 1985-1986 chiamato dal presidente Conti andai alla Monterchiese in Prima Categoria come tecnico-giocatore. Per la prima volta ricoprivo il doppio ruolo e andò bene, visto che disputammo un bel campionato. Allenare mi piaceva, ma volevo anche continuare a giocare così raddoppiai il mio impegno per altri 10 anni. Non ho trovato difficoltà nel fare allenatore-giocatore, anzi a volte essere in campo è un vantaggio perché vedi bene le partite e ti fai sentire meglio dai giocatori.
Ci racconti gli ultimi anni della tua carriera?
Nel 1986 passai al Lama in Promozione Umbra, giocando nella squadra diretta da Falasconi prima e da Scaia poi e allenando nel frattempo la juniores, nel 1988-1989 andai da giocatore al Cortona, in Promozione, con Piccinelli in panchina, poi dalla stagione successiva sempre il doppio ruolo. Nel Montagnano del presidente Petrucci per due stagioni allenavo e giocavo da capitano. Il primo anno ci piazzammo al 2° posto in Seconda Categoria, la stagione successiva vincemmo il campionato. Poi Soci in Prima Categoria, Casentino Calcio con la vittoria in Seconda Categoria e Sulpizia con il 1° posto parimerito sempre in Seconda Categoria che non ci valse però la promozione. Nel 1994-1995 mi chiamò la Sampierana in Eccellenza Romagnola, avventura che si concluse perché la società voleva vincere, mentre noi eravamo a metà classifica. Fu però una bellissima esperienza in una società molto organizzata. Tornai alla Sulpizia e chiusi la mia carriera al Trestina in Prima Categoria, annata finita con un esonero e negativa anche per me. Dopo quella parentesi smisi del tutto, fino alla scorsa estate, quando contattato Giorgio Lacrimini, ho iniziato ad allenare i 2006 del Sansepolcro.
In questa lunga avventura nel calcio chi è stato il più forte tra i tuoi ex compagni?
I nomi sarebbero tanti, ma dovendo sceglierne uno dico Alessandro Tellini. Era bravo soprattutto nell’uno contro uno e poi correva, quindi sapevo che potevo lanciarlo anche con palla lunga, perché lui ci sarebbe arrivato. A volte esageravo per metterlo alla prova, ma il risultato era sempre lo stesso.
E le tue qualità migliori invece quali erano?
Ero un regista tecnicamente bravo con entrambi i piedi e facevo “girare” la squadra. Correvo parecchio e negli allunghi a tutto campo in pochi mi stavano davanti, ma mi piaceva soprattutto gestire il pallone, fare assist e vedere il gioco. Quando giocavo a Bibbiena scartai tutta la difesa avversaria e poi fermai il pallone per far segnare Beppe Forasassi. Avevo anche un bel tiro, non forte ma preciso e qualche gol ogni anno lo segnavo. Non ho mai avuto infortuni seri e questo mi ha permesso di giocare per tanto tempo.
Ci racconti qualcosa di tuo cugino Gian Piero Gasperini?
È di qualche anno più giovane di me e di sua sorella con la quale spesso ancora oggi passiamo in estate le vacanze, ma siamo cresciuti insieme e sono molto felice di quello che sta facendo da allenatore. Ha tanti impegni e non ci sentiamo così spesso, ma soprattutto negli anni in cui era sulla panchina del Genoa andavo allo stadio per vedere la partita. Fuori dal campo è un compagnone, nel suo lavoro è davvero bravo. Ha un carattere forte, è un ottimo tecnico, preparato, pignolo, decisionista. Sta facendo cose incredibili e non mi sorprende perché è davvero bravo. Il calcio lo assorbe moltissimo e gli auguro il meglio.
Come valuti la tua avventura nel mondo del pallone e cosa ti ha insegnato il calcio?
Ho imparato tanto e ho conosciuto persone con cui si è instaurato un rapporto di vera amicizia e con cui ci sentiamo anche a distanza di anni. Il mio rimpianto è quello di non aver giocato in categorie superiori, ma sono felice di quanto ho fatto e di avere dato tutto. Mi sono divertito, ho imparato il rispetto delle regole, del gruppo, degli avversari e oltre ai successi in campo ho ricevuto tante gratificazioni: la medaglia d’oro come giocatore più tecnico del torneo al Picco di La Spezia, gli anni al Sansepolcro, i tanti complimenti di chi mi ha accompagnato in questo percorso, i piccoli grandi gesti, come quello fatto dagli ex compagni del Casentino Calcio che nel mio 60° compleanno vennero a festeggiarmi con il pulmino. Esser ricordato come giocatore e soprattutto come uomo vale per me oggi più di un campionato vinto.