Come ripartirà il ciclismo dopo lo stop causato dall’emergenza Coronavirus? Con la “fase 2” sono ripresi gli allenamenti e le uscite in bicicletta dei “pedalatori occasionali”, ma resta ancora un punto di domanda per ciò che concerne le competizioni nazionali e internazionali e le manifestazioni che coinvolgono centinaia di amatori (ad esempio corse di mountain bike, cicloturistiche su bici d’epoca, competizioni su pista e così via). Nel primo caso l’Unione Ciclistica Internazionale (il massimo organo a livello mondiale) ha previsto un nuovo calendario che dovrebbe scattare il 1º agosto con le Strade Bianche per concludersi il 31 ottobre con il Giro di Lombardia. Nel mezzo le Classiche Monumento, i Campionati del Mondo (dal 20 al 27 di settembre) e le principali corse a tappe: Tour de France dal 29 agosto al 20 di settembre, Giro d’Italia dal 3 al 25 di ottobre e Vuelta di Spagna dal 20 ottobre all’8 di novembre. Poco più di tre mesi in cui sono state racchiuse le gare che di solito si disputano in otto, senza interruzioni di alcun tipo e con sovrapposizioni che porteranno per forza di cose i corridori a dover selezionare gli impegni, privilegiando certe competizioni a discapito di altre. Giusto per fare un esempio chi prenderà parte a Liegi-Bastogne-Liegi, Amstel Gold Race, Gand-Wevelgem, Giro delle Fiandre non sarà ai nastri di partenza del Giro d’Italia e viceversa, mentre chi disputerà il Giro di Lombardia e la Parigi-Roubaix dovrà disertare la Vuelta. Con gare così ravvicinate sarà poi difficile, per non dire impossibile, pensare che un ciclista possa partecipare a più di un grande giro, mancando il necessario tempo per recuperare. L’emergenza sanitaria ha provocato una situazione mai vissuta fino ad oggi e l’UCI per salvare le principali corse ha previsto un calendario fitto di impegni e di non facile attuazione, ma che consentirà, se le condizioni lo permetteranno, di non annullare la stagione. Più dei tanti impegni ravvicinati sono due i problemi con i quali sarà necessario fare i conti. Il primo è il trend dei contagi a livello mondiale, perché se la situazione non migliorerà in modo significativo sarà difficile poter disputare le gare e il rischio concreto sarà l’annullamento definitivo del calendario programmato. Serviranno garanzie per chi organizza e per le squadre. Il secondo problema resterebbe anche con una circolazione minima del virus e riguarda la presenza del pubblico. Le ipotesi sono due: lasciare la gente a bordo strada assumendosi un rischio o fare svolgere le corse senza pubblico. Se per le competizioni da disputare all’interno di impianti sportivi (in uno stadio, in un palazzetto o in un velodromo) alla questione si potrebbe ovviare procedendo a porte chiuse, per il ciclismo su strada questa soluzione sarebbe poco plausibile. Anche volendo sarebbe complicato imporre infatti alla gente di restare in casa senza assistere al passaggio dei corridori e controllare la situazione ogni giorno per centinaia di chilometri. In secondo luogo, ammettendo che questo sia possibile, sarebbe giusto far disputare le corse senza la presenza del pubblico in una disciplina sportiva che è da sempre considerata quella più vicina alla gente? È immaginabile per esempio la scalata di una salita mitica come il Passo dello Stelvio senza due ali di folla che incitano gli “eroi della montagna”? Se già è strano assistere a una partita di calcio senza pubblico, nel ciclismo sarebbe un assurdo controsenso. Allo stesso tempo non sarebbe di certo responsabile dare il via alle corse con un rischio anche minimo di trasmissione del virus. Cosa fare allora? La domanda è legittima, la risposta è complicata. A rigor di logica forse sarebbe giusto aspettare, sperando che la situazione migliori per ripartire, ma accettando la possibilità che in mancanza delle necessarie garanzie si possa cancellare la stagione annullando le gare (per professionisti uomini e donne, per le categorie giovanili e per gli amatori). Ben vengano quindi allenamenti e pedalate individuali o in piccoli gruppi, perché la bici è salute e passione, ma per organizzare eventi che mobilitano spesso e volentieri migliaia di persone servirà un ragionamento ben più approfondito. Mettendo la tutela della salute al primo posto e senza dimenticare un concetto determinante: il ciclismo infatti in ogni sua manifestazione collettiva (corse all’aperto, raduni di vario tipo, cicloturistiche non competitive, eccetera) è festa popolare e contatto con la gente. Snaturare questa meravigliosa e per certi versi unica caratteristica potrebbe essere la perdita più grande con cui dover fare i conti in futuro.
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