La parabola artistica di Bob Seger mi fa venire in mente le onoranze funebri di Vespasiano, imperatore romano famoso per la sua tirchieria. La sera dei suoi funerali ci fu chi ironizzò sulla sua parsimonia. A teatro, un attore ne parodiò il cadavere drizzandosi nella bara e chiedendo ai beccamorti: “Quanto costa questo trasporto?”. “Dieci milioni di sesterzi” “Be’, datemene centomila” rispose il cadavere “e buttatemi nel Tevere” . Vespasiano era un provinciale, veniva dalla Sabina, era stato cresciuto nella frugalità e si era fatto largo nell’impero dopo lunghi anni di gavetta e di dure lotte. Provinciale può essere considerato Robert Clark (Bob) Seger che, nato in un sobborgo di Detroit, pur non essendo un genio musicale, da buon lavoratore ha dovuto versare sangue sudore e lacrime, con migliaia di concerti “on the road” per costruire la sua carriera peraltro notevole. Gli ci sono voluti lunghi anni di fatica e apprendistato per passare da gloria locale del suo stato (il Michigan) a stella musicale di prima grandezza ergendosi, a suon di rock’n roll, a cantore dei “blue collars” cioè della classe operaia della parte nord del middle west americano, chiamata “rust belt” ovverosia “cintura della ruggine”, per le condizioni fatiscenti delle numerose fabbriche di quella zona, dismesse, causa crisi, a partire dagli anni 70 del secolo scorso. Se da un lato l’”heartland rock” il rock della classe operaia lo accomuna a Bruce Springsteen, magari con meno genio ma con altrettanta energia, dall’altro il paragone con l’antico imperatore è basato sull’interruzione della sua attività. A metà degli anni 90, carico di gloria e (finalmente) di successo commerciale si narra che abbia telefonato al suo manager chiedendogli quanto avesse guadagnato nella sua carriera. Il manager rispose: “Hai 30 milioni di dollari sul tuo conto”. Bob mise giù la cornetta e annunciò il suo ritiro dalle scene, probabilmente svuotato musicalmente di idee e consumato dagli infiniti tour.
Un magnifico perdente
Fin dal suo primo contatto con la musica, Bob, nato nel 1945, ha sofferto del complesso del numero due perché inizialmente soverchiato dalla fama del suo coetaneo e conterraneo Mitch Ryder, peraltro per lui fonte di ammirazione e di ispirazione. A metà anni 60 Mitch era già famoso in Michigan e negli states; suoi pezzi come “Devil with a Blue Dress On”, del 1966, avevano raggiunto le prime posizioni della classifica di Billboard mentre Seger si affacciava appena alla musica come cantante di gruppi minori registrando le sue prime incisioni su disco per etichette garage locali..La musica di Ryder (e conseguentemente quella di Seger) era fortemente influenzata dal suono “black”. Non per caso Detroit era (ed è) la sede della Motown, casa discografica di Stevie Wonder, Diana Ross, Marvin Gaye e di tante altre stelle del rhythm and blues e del soul. Quindi tempi fortemente sincopati e uso di sezione fiati anche in chiave rock.
C’è da rilevare che Bob non è neppure baciato dalla dea bendata, appena fattosi un nome almeno a livello locale come leader del gruppo Bob Seger & The Last Heard. e composto un pezzo nel 1967, “Heavy Music” che poteva essere il suo primo hit a livello nazionale, la sua casa discografica dichiara fallimento appena dopo l’uscita del disco. Il brano diventerà comunque un inno dei giovani della zona punto di riferimento per gruppi locali come gli MC5 e gli Stooges di Iggy Pop a loro volta precursori del Punk ,della New Wave e dell’ Heavy Rock. È il suono crudo, stridente, che da sempre caratterizza la musica bianca di Detroit, considerata città dura per le difficili condizioni di vita della sua sterminata classe operaia.
Bob non si arrende, nel 1968 firma per la Capitol Recors e cambia formazione. Adesso il gruppo si chiama Bob Seger System, incide un brano, “2+2” contro la guerra in Vietnam che anni dopo servirà da ispirazione per “Seven Nation Army” (il famoso po-porò-popopoo-po dei mondiali vinti dall’Italia nel 2006) dei White Stripes, altra band originaria di Detroit. Segue a ruota nel 1969 “Ramblin’ Gamblin Man” primo suo brano ad entrare nella classifica nazionale al diciassettesimo posto, pezzo dal ritmo duro come un maglio, con riff di organo Hammond e voce soul. L’album omonimo non è che il primo di una lunga serie, 10 in 11 anni, che rappresentano ognuno un piccolo passo verso il grande successo una crescita basata su collaborazioni con chitarristi del calibro di J.J. Cale e sulla presenza di sessioni celeberrime come Muscle Shoals Section, che avevano partecipato a registrazioni con Aretha Franklin, Wilson Pickett e Etta James e soprattutto su centinaia di concerti tenuti ogni anno in giro per tutto il paese
Fra i suoi assistenti c’era un ragazzo al quale aveva affidato i cori in Ramblin’Gamblin’Man e che aveva scelto come pupillo. Si trattava di Glenn Frey e se non entrò a far parte della sua band fu solo perché la madre lo beccò mentre si fumava una canna col cantante. Nessuno avrebbe mai previsto che il giovane discepolo sarebbe di li a breve diventato il famosissimo leader degli Eagles, prima ancora che Seger sfornasse un altro successo. Ancora una volta il destino lo aveva relegato in secondo piano, al punto che anni dopo, con molta autoironia e crediamo un filo di disappunto, decise di chiamare il suo ottavo album, uscito nel 1975, Beautiful Loser, vale a dire “Bel Perdente”. Intanto dal suo settimo album, la band che lo accompagnava su disco e dal vivo era cambiata. Adesso il gruppo si chiamava Bob Seger & The Silver Bullet Band mentre nel frattempo il modo di comporre di Bob si era evoluto dando spazio a Ballads oltre che a fulminanti pezzi rock, di conseguenza il suono era basato tanto sul pianoforte che sulle chitarre come strumenti caratterizzanti il suo modo di composizione ed esecuzione. I musicisti scelti lo avrebbero seguito in capo al mondo anche perché, nonostante il gruppo portasse il suo nome, Seger era un leader democratico, percepiva lo stesso stipendio e quando si trattava di prendere decisioni non faceva pesare il suo voto più di quello degli altri membri
Il successo arriva “on the road”
Seger e la band si misero in marcia per promuovere il disco, arrivando a tenere fino a 250 concerti all’anno come gruppo d’apertura per famose band come Bachman Turner Overdrive, Thin Lizzy e Kiss. In quel momento erano una macchina perfetta che funzionava così bene al punto che il pubblico chiedeva il bis, cosa inusuale per una band di supporto e il gruppo principale della serata andava fuori di testa per loro, tra invidia e ammirazione, ma fuori dal Michigan ancora non erano nessuno. Però alla fine questo tour infinito, anche se il 33 girr non fu quel successo commerciale che ci si aspettava, grazie alle registrazioni live trasferite su vinile ed uscite col titolo di Live Bullet nel 1976, finalmente arrivò il riconoscimento che meritava. Il disco divenne uno dei grandi classici dal vivo degli anni 70.
Seger decise di sfruttare l’impulso e nello stesso anno, lanciò quello che è considerato il suo miglior disco di sempre Night Moves. Ispirato dal Born To Run di Springsteen del 1975, decise di prendersi del tempo per chiudersi in studio di registrazione e curare ogni minimo dettaglio. La ciliegina sulla torta fu la canzone che dà il titolo al disco, un’ode nostalgica sul trascorrere del tempo, ispirata da American Graffiti, che fu il primo pezzo della sua carriera ad entrare nella Top Ten di Billboard. L’album vendette 6 milioni di copie. Da un momento all’altro Seger venne considerato, insieme a Springsteen e a Tom Petty, uno dei pilastri di quel genere che venne definito Heartland Rock. Una miscela esplosiva fatta di semplicità, autenticità e testi che raccontano di gente normale. Sarebbe diventato una stella dopo questo disco e tutti quelli pubblicati fino ad allora entrarono nelle liste dei più venduti.
Il successo verrà confermato due anni più tardi (siamo nel 78) con Stranger In Town, album splendido nel quale brani trascinanti e frizzanti si alternano a splendide ballads. È il disco che contiene quasi tutte le (poche) canzoni famose anche in Italia, la celeberrima Old Time Rock and Roll, Still The Same, Till it Shines e Weve Got Tonight, questi ultimi due brani hanno avuto cover italiane, il primo da parte di Anna Oxa col titolo di Pagliaccio Azzurro e il secondo divenuto Grazie Perché per le voci di Gianni Morandi ed Amii Stewart, mentre All Time Rock and Roll fu la colonna sonora che fece entrare Tom Cruise nell’empireo delle star di Hollywood. Era la musica su cui l’attore, alla sua prima prova da protagonista, ballava in mutande nel film Risky Businnes del 1983, una scena talmente iconica che venne poi parodiata in diverse sit com americane e nei cartoons, Simpson compresi..
Puntuale a distanza di due anni dal precedente nel 1980 esce Against The Wind che conferma il suo stato di grazia raggiungendo la prima posizione nella classifica di Billboard che con oltre 6 milioni di copie vendute rappresenta il suo apice come popolarità singoli come la title track e “Fire Lake” veleggiano a lungo nei primi posti nella Billboard hot 100. poi nel 1992 con The Distance bissa il successo anche se la critica inizia a trovarlo ripetitivo. L’album contiene comunque pezzi come Shame On The Moon che, da singolo, arriva al numero due in classifica e quella che è la più “Springsteeniana” delle sue composizioni: Roll Me Away che parla di due giovani in fuga. In ogni caso il marchio di fabbrica di Bob, fatto di rock e ballate continua a funzionare commercialmente per tutti gli album che pubblica come ad esempio quello del 1986 che si intitola”Like a Rock” il cui brano omonimo servì da colonna sonora per il jingle pubblicitario della Chevy (il pickup della Chevrolet) per 13 anni. Finché si arriva a quello del 1995, It’s A Mistery, tanto fiacco da farlo posizionare solo al numero 27 della classifica. Ed è in quel momento che Bob chiama il suo manager e dopo la telefonata decide di mollare.
Non si tratterà di un ritiro definitivo , Bob tornerà sulla scena nel 2006 dopo 11 anni di silenzio anche se la sua nuova produzione non sarà all’altezza dei tempi d’oro; troverà però un guizzo di creatività nel 2017 in una canzone dettata dal sentimento per la scomparsa l’anno prima dell’amico di sempre Glenn Frey al quale dedicherà Glenn Song contenuta sull’album I Know You When. Per il resto Bob dà ancora il meglio di se nei concerti live fra i quali uno leggendario lo ha visto nel 2011 duettare al Madison Square Garden di New York con Bruce Springsteen sulle note di Old Time Rock And Roll, insieme al “Boss” peraltro era già salito diverse volte sul palco a partire dal 1980..