Bioedilizia ed energie rinnovabili, una startup prima delle startup – Prima parte

La storia imprenditoriale di Paolo Nicchi, giovane di Monterchi che con l’appoggio della sua famiglia ha fondato oltre 15 anni fa un'azienda innovativa senza ricorrere al credito bancario, cercando di sfruttare al massimo le tecnologie informatiche e internet

Paolo Nicchi

Paolo Nicchi è un imprenditore monterchiese che insieme al padre nel 2004 ha dato vita alla Sistemi Chiocciola srl, startup nata sul brevetto T-BLOCK. L’azienda dopo circa 5 anni di ricerca ha iniziato a crescere molto rapidamente nel settore delle energie rinnovabili fornendo ancoraggi e strutture per impianti solari termici e fotovoltaici per poi concentrarsi, non senza difficoltà, nella bioedilizia per fornire fondazioni rapide ed ecologiche a case e strutture in legno.

Come sei diventato un giovanissimo imprenditore?

In realtà sono partito come programmatore web in alcune realtà aretine. Ero uno smanettone molto appassionato fin da piccolo e già nel 1997 avevo una buona padronanza di internet e dei suoi linguaggi, anche se non mi ero reso esattamente conto di quanto; non potevo spostarmi e il contesto aretino non offriva le opportunità di confronto possibili nelle grandi città tipo Milano o Roma.
A dire la verità la mia nascita come imprenditore è stata tutta merito di un’intuizione tecnica di mio padre! La Sistemi Chiocciola nasce da quell’idea, poi è stata portata avanti grazie a tanti sacrifici personali e alle mie competenze informatiche, perché un conto è avere un’idea, tutt’altra storia è creare un mercato e gestire un’azienda. Siamo nati nel 2004 sulla spinta di un altro brevetto del 2002. Mio padre ha sempre avuto la fissa per l’ambiente e per la bellezza, “difetto” che ho ereditato anche io. Ma lui è un tipo un po’ fuori dall’ordinario, è un perito metalmeccanico laureato in pedagogia, diciamo che ha una personalità tutta sua: io gli dico sempre che ha inventato un ancoraggio perché non riesce a stare con i piedi per terra.

Qual è la storia di questa invenzione?

Nel lontanissimo 2001 per evitare la diffusione di “capannini” improvvisati, spesso abusivi ma soprattutto brutti, nelle nostre belle campagne, mio padre ha brevettato una copertura per auto elettriche. Ad oggi posso affermare che per quell’idea era ancora presto. Ha sempre avuto un grande interesse per la mobilità sostenibile e consideriamo che già a fine anni ottanta aveva costruito una delle prime biciclette elettriche, così pochi anni dopo ha sentito il bisogno di soddisfare l’esigenza di una copertura smart, ecologica e bella. Energia pulita e sostenibilità sono da sempre argomenti centrali nella mia famiglia, era chiaro che prima o poi questo interesse avrebbe dato dei frutti! Ma torniamo alla storia del T-BLOCK. Progettata questa copertura ci siamo posti il problema di come fissarla: non potevamo permettere che venisse riversata sul terreno una colata di cemento per ancorarla, saremmo andati contro i nostri valori e i nostri obiettivi, ottenendo il risultato opposto. Avevamo un bel problema da risolvere e mio padre, il tecnico della situazione, ha provato a cercare qualcosa ad impatto zero, convinto di trovare già disponibile nel mercato un sistema a vite per il terreno. Non trovando nulla se lo è costruito da solo. Una sera lo abbiamo sentito chiamare dal giardino dietro casa e siamo scesi a vedere cosa stesse succedendo: aveva appena avvitato il primo T-BLOCK creando così un solido ancoraggio a terra. In nessun modo, tirandolo, riuscivamo ad estrarlo dal suolo. Per me è stato un po’ come la scena della “Spada della Roccia” illuminata dal fascio di luce, in quel momento ho realizzato che davanti a me avevo qualcosa di davvero speciale: da oltre duemila anni l’uomo picchetta tende e fa una grande fatica ad infilare paletti nel terreno per fare un sacco di cose e ancorare strutture. Sapevo che da quel momento in poi non sarebbe stato più così e ho pensato che questa cosa avrebbe potuto rivoluzionare il mondo dei fissaggi a terra.
All’inizio, abbiamo avuto anche l’opportunità di vendere il brevetto, ma abbiamo deciso di tenerlo e di provare a portarlo avanti con le nostre forze, anche se non avevamo lontanamente idea di cosa volesse dire fare impresa. Io avevo 23 anni e nessuno in famiglia si era mai cimentato in una sfida del genere, ma nessuna cifra, almeno per me, può valere quanto le emozioni date da un progetto personale, anzi da un’avventura come questa. Certo l’aspetto economico è importante, ma quando si fanno le cose con il cuore e la passione prima o poi i risultati arrivano.

E dopo?

Naturalmente per portare un prodotto sul mercato abbiamo dovuto aprire un’azienda con una sua organizzazione, così è stata fondata la Sistemi Chiocciola srl, la cui proprietà è ripartita tra familiari, ma è diretta e amministrata solo da me ormai da diversi anni.

Perché questo nome?

Perché la copertura per le auto elettriche ricorda il guscio di una chiocciola e anche il T-BLOCK, il marchio europeo che rappresenta la nostra soluzione di ancoraggio a vite, è un prodotto in acciaio che utilizza l’elica, richiamando anche in questo caso l’idea della chiocciola. La storia di questo “naming” richiederebbe un capitolo a parte e ci sarebbero un sacco di aneddoti divertenti da racccontare, ma non abbiamo tempo e vi lascio con una curiosità. Immaginate cosa significa dettare al telefono l’indirizzo email aziendale che comporta l’uso dellla chiocciolina “@” con un dominio internet come sistemichiocciola.com!

Il successo è arrivato subito?

Due T-BLOCK prodotti da Sistemi Chiocciola

All’inizio ci sono stati grandi sacrifici, le prime soddisfazioni economiche sono arrivate molto tempo dopo (sette anni), quando sono riuscito a pagarmi i primi stipendi.
Nella prima fase quasi ci prendevano in giro e molti non credevano ai numerosi vantaggi che il nostro sistema poteva offrire. Nei mercati a cui ci affacciavamo, ci scontravamo con una mentalità tutto fuorché aperta alle novità, soprattutto in edilizia, e il più delle volte non riuscivamo a sfondare le resistenze verso il nostro prodotto proprio perché non avevamo una storia a supportarci.
Una delle prime esperienze importanti è stata entrare in contatto con la Protezione Civile Nazionale, durante l’epoca Bertolaso. Inizialmente si sono interessati al nostro prodotto, ma non siamo arrivati a nessun accordo commerciale fino a quando, a causa di uno spiacevole episodio avvenuto alla presenza di Papa Giovanni Paolo II: in occasione dell’Agorà dei giovani a Loreto, un forte vento spinse nel palco, sfiorando il pontefice, tende e attrezzature varie, così ci chiamarono perché avevano l’effettiva e immediata esigenza di utilizzare il nostro prodotto, in particolare per la resistenza nel fissaggio delle tende pneumatiche. Considerate che con un T-BLOCK da 50 centimetri in pochi secondi si può ottenere l’equivalente di una zavorra di 400 kg, potrebbe tenere sollevato un bufalo da solo! Così ottenemmo questa prima importante commessa che ci permise di avviare lo studio delle caratteristiche degli ancoraggi in relazione ai terreni, quel processo interno ad ogni azienda produttrice che si chiama ricerca e sviluppo. Eravamo molto proiettati sul futuro e visto che in casa nostra avevamo pannelli solari termici già da molti anni, ipotizzammo fin da subito l’impiego di T-BLOCK per il fissaggio a terra delle centrali fotovoltaiche.
All’inizio la produzione era di tipo artigianale, poi crescendo siamo passati ad una produzione di tipo industriale grazie al sostegno e alla collaborazione con partner di altissimo profilo tecnico e con una storia importante nel settore della meccanica.

Vi siete quindi concentrati sugli impianti fotovoltaici.

Sì, abbiamo iniziato a montarli in Toscana. Eravamo tra i primi, i più veloci e soprattutto i meno invasivi nell’installazione di un impianto fotovoltaico a terra. Nel 2009, grazie alle tempistiche che potevamo garantire, abbiamo vinto una gara d’appalto molto importante per la realizzazione di quello che all’epoca era uno degli impianti fotovoltaici più grandi d’Europa, nella Centrale Enel di Montalto di Castro. Con grande soddisfazione posso dire che in quell’occasione il nostro cliente riuscì a stabilire un record europeo di velocità: 6 megawatt in 90 giorni, ottenendo un premio importante per la crescita in borsa.
Siamo uno delle due aziende europee che ha portato sul mercato questo tipo di ancoraggio e, incredibile da dire, ma dobbiamo ringraziare tantissimo la concorrenza che meglio di noi (si parla di una multinazionale tedesca ) ha sdoganato nel mercato dei professionisti di alto livello l’uso degli ancoraggi e delle fondazioni a vite in Europa e nel mondo.
Nel settore fotovoltaico siamo stati punto di riferimento nazionale per qualità produttiva e velocità di installazione, ma soprattutto per la visione ecologica di lungo termine: i clienti grazie alle nostre soluzioni investivano sia nei pannelli che nelle strutture, siamo stati gli unici al mondo a utilizzare T-BLOCK in acciaio INOX 304 sotto terra, combinati a strutture in alluminio, e questo ha generato un valore enorme: per esempio, quando tra 20 o 30 anni verranno smantellati gli impianti fotovoltaici, i pannelli solari e le strutture dei nostri competitor dovranno essere smaltiti, generando un costo, mentre chi ha usato le nostre strutture, oltre a dormire più tranquillo lato resistenza e durabilità, potrà recuperare e riutilizzare il materiale oppure potrà rivenderlo, realizzando così un ricavo, e il terreno tornerà immediatamente allo stato originario.
In quel periodo la nostra crescita è stata molto rapida e in un’economia incerta come quella italiana il successo si stava trasformando in problemi. Stavamo superando il temuto limite dei 15 dipendenti, ma personalmente non mi fidavo del contesto nazionale, non era certo adatto alla crescita di un’azienda come la nostra e non me la sono sentita di fare quei passi che ci avrebbero fatto fare il grande salto nel mondo dell’industria internazionale, nonostante avessimo già clienti anche fuori dal territorio italiano. Non so se la scelta fu giusta o meno, ma la giovane età del team – il più vecchio ero io e avevo 30 anni – le distanze fisiche da coprire e alcuni problemi familiari mi hanno spinto in una direzione diversa. Così, invece di inseguire obiettivi forse anche fuori portata, abbiamo scelto di cambiare strada, rinunciando ad un’espansione e ad un fatturato davvero considerevoli. In questo modo è cominciata una discesa pericolosa e abbiamo rischiato di morire come azienda.

Anche perché siamo ormai arrivati al famigerato 2012.

Cantiere con T-BLOCK

Nel 2012 crolla il mondo, tolgono gli incentivi al settore fotovoltaico e il mercato precipita. Molti clienti chiudono. Noi stessi siamo tentati di mollare. Però io mi ero fissato: con i nostri T-BLOCK si poteva fare tanto altro, per esempio le case. Su questo mi sono trovato quasi da solo, avevo la sensazione che il mondo sarebbe andato in quella direzione, ma spesso anche le persone vicine e i miei stessi collaboratori erano molto scettici. Finanziammo così diversi progetti di ricerca universitari per capire come impiegare le nostre fondazioni a vite in bioedilizia e così nel 2012 partecipammo alla più importate competizione internazionale tra centri di ricerca in materia di case ad alta efficienza energetica, il Solar Decathlon Europe, consentendo all’Italia di arrivare al 3° posto nelle finali di Madrid. Un grande ricordo e sicuramente un traguardo che ha tracciato un nuovo percorso al nostro brand.
L’obiettivo era chiaro: permettere a chiunque di realizzare o autocostruire una casa in tempi brevissimi, in pochi giorni, senza inquinare il terreno con sistemi invasivi come le classiche fondazioni in cemento armato. Eravamo all’inizio di una nuova avventura. La prima casa con questa tecnica è stata realizzata nel 2013 a Tufillo, in Abruzzo, esperienza che mi ha segnato nel profondo perché di fatto quella casa fu autocostruita in tre fine settimana, non da muratori professionisti, ma da coloro che fisicamente l’avevano pensata, io compreso. Funzionava, vittoria, ma ora c’era da portare la soluzione sul mercato e il momento non era proprio ideale. Per una serie di cose iniziò una sorta di letargo aziendale e la mia attenzione fu catturata da altro, in particolare dal bisogno nazionale ed europeo di innovazione e di trasformazione in una società digitale: sia le imprese che la pubblica amministrazione italiana, per essere all’altezza dell’economia globale dovevano (e devono ancora oggi) obbligatoriamente cambiare pelle e sfruttare al massimo la tecnologia digitale disponibile, così ho dedicato quasi cinque anni di volontariato a questo scopo, sia come socio fondatore di due FabLab, sia come Digital Champion. Un periodo magro per i risultati economici, ma significativo, ricco di prove ed esperimenti che mi hanno permesso di accumulare un’esperienza straordinaria e di vivere una fase pionieristica sia aziendale che sociale. Contemporaneamente alla fine di questo periodo, nel 2017, la Sistemi Chiocciola è tornata a focalizzare le attività sugli obiettivi lasciati in sospeso o meglio, abbiamo ripreso in mano quei progetti che avevamo lasciato a maturare. Solo oggi dopo tanti sacrifici cominciamo a vedere i primi risultati e siamo molto fiduciosi.

Leggi la seconda parte dell’intervista a Paolo Nicchi:
Bioedilizia ed energie rinnovabili, una startup prima delle startup – Seconda parte.

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