Nel 1944 Italo Tuti aveva quattro anni. La mattina del 26 giugno fu investito da una raffica di mitra sparata da un soldato tedesco durante un rastrellamento effettuato nel territorio di Anghiari, tra la Libbia e Montauto. Il bambino era alla finestra e batteva le mani: secondo le cronache, quel gesto sarebbe stato scambiato per “un segnale concordato con i partigiani”. Sarebbe morto dopo un mese di agonia. Nel frattempo – d’ora in avanti per buona parte della ricostruzione ci viene in aiuto il sempre prezioso Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944 di Alvaro Tacchini – quello stesso 26 giugno furono catturati altri cinque giovani. Dapprima Sabatino Mazzi, 22 anni, di Giovi, partigiano combattente, e poco più tardi quattro ragazzi tra i 18 e i 20 anni, tutti di Monterchi: Tommaso Calabresi, Pasquale Checcaglini, Enrico Riponi e Francesco Franceschi. Avevano preso contatti lo stesso giorno con un responsabile del Partito comunista clandestino per unirsi ai partigiani e furono trovati in possesso di armi che avevano appena prelevato. Torturati per tutto il pomeriggio, verso sera vennero impiccati con il filo di ferro a un tronco poggiato su due colonne presso il valico della Scheggia. I cadaveri rimasero lì per giorni, e i soldati in transito vi scaricavano i mitra a spregio. Forse anche per effetto di un cartello apposto dagli uccisori con la frase “Banditi puniti, camerati sparate”. Secondo altre fonti il testo invitava a non dare sepoltura ai cadaveri. Un gruppo di partigiani riuscì poi a seppellire Mazzi e ad appoggiare a terra le altre quattro salme, che sarebbero state infine bruciate all’arrivo delle truppe alleate, solo ai primi di agosto.
Presso la lapide a ricordo dei cinque brutalmente uccisi, ogni 26 giugno viene svolta una cerimonia di commemorazione che venerdì sera ha visto la partecipazione di don Alessandro Bivignani, dei sindaci di Anghiari e Monterchi, di una rappresentanza della provincia di Arezzo, e ancora dell’Anpi di Sansepolcro, delle autorità militari e di diversi cittadini che hanno voluto ricordare il drammatico episodio nel giorno del 76º anniversario. A seguire, le vittime sono state ricordate anche a Monterchi, dove – ha spiegato il sindaco Romanelli – “ho voluto che venisse posta un’altra lapide, visto che tra la gente si era un po’ rimosso questo episodio, forse anche perché sembra che i ragazzi fossero stati traditi proprio da qualcuno di Monterchi”.
Ieri invece la sezione Anpi di Sansepolcro ha commemorato le vittime del rastrellamento dell’Alpe della Luna, avvenuto ai primi di quello stesso giugno 1944. Nei luoghi delle uccisioni, alla presenza del nostro giornale, si è recata una delegazione ristretta, rinunciando per i motivi di sicurezza legati al Covid alle partecipate camminate organizzate negli anni passati. Dapprima è stata raggiunta la Spinella, sede del Monumento ai Caduti per la Libertà. Opera dell’architetto Claudio Longo, a sua volta partigiano nella nostra zona, è stato restaurato in occasione del 25 aprile dai ragazzi della fattoria di Germagnano. Era stato inaugurato nel 1979 su iniziativa delle istituzioni del territorio, simboleggiate nella forma del manufatto: i tre grandi cerchi rappresentano la Regione Toscana, la provincia di Arezzo e la Comunità montana Valtiberina, mentre le altre sette componenti saldate indicano tutti i Comuni della valle. Dopo la Spinella, la delegazione dell’Anpi ha raggiunto il Pian della Capanna, luogo della fucilazione di Carlo Liebknecht Panichi e Pasquale Alienati, e da lì il gruppo si è recato per un percorso piuttosto impervio alla Fonte della Puledraia. Qui una croce ricorda Agostino Bucciovini e Silvestro Ricci. Infine in località Condotto sono stati commemorati Osvaldo Ottolenghi Marri e Morton Perez. Delle loro tragiche vicende TeverePost ha parlato lo scorso 4 giugno in occasione dell’anniversario della maggior parte delle uccisioni.
Mercoledì, invece, una delegazione della sezione biturgense dell’Anpi si era recata anche a Monte Vicchi, alla croce in memoria delle vittime civili, e ai Prati Alti, dove è stata recentemente restaurata la croce che ricorda Giovan Battista Gori, detto Bista. Si tratta di un 76enne che fu ucciso nell’agosto del 1944 per essersi rifiutato di seguire i tedeschi che avevano catturato Emilio Mattei e Vito e Pietro Meozzi, padre e figlio. Questi ultimi furono poi fucilati in località Pozzuolo, mentre Mattei riuscì all’ultimo momento a darsi alla fuga.