Assenza rock band: the dark side of Città di Castello

Con uno stile personale e inconfondibile, radici rock, atmosfere dark e testi molto forti su argomenti scomodi di vita vissuta, sono arrivati forse troppo presto a trattare temi solo attualmente apprezzati dal grande pubblico

Ben prima dei Måneskin, a Città di Castello c’erano loro (e ci sono ancora). Iniziamo dal nome del gruppo, Assenza: è già un manifesto delle intenzioni e del “mood” della band. Partendo dall’innamoramento adolescenziale per il rock italiano sono approdati presto a sonorità internazionali, influenzati dai timbri aspri e dalle atmosfere siderali dei gruppi scandinavi e da quelle cupe ed energiche del gothic rock anglo americano, il tutto completato da testi in italiano che descrivono il disagio dei giovani di questo nuovo secolo. Un vero e proprio crossover che alla fine produce un risultato personale, con uno stile subito riconoscibile; qualcosa di assolutamente controcorrente rispetto alle sonorità del rock mediterraneo.

In direzione ostinata e contraria

“L’idea ci è venuta nel 2003”, esordisce Cristian Laurenzi, cantante, frontman e autore dei testi del gruppo. “Io e Luca”, Luca Occhini, chitarrista, l’altro membro fondatore del gruppo, “eravamo ragazzini all’epoca”, ridacchia. “All’inizio abbiamo suonato solo cover di rock italiano, brani di Ligabue e Vasco Rossi oltre che di gruppi stranieri, anche se presto abbiamo iniziato a realizzare pezzi nostri pur sapendo che non era facile all’epoca trovare un’etichetta che supportasse le nostre prime produzioni. Solo dopo sei anni, grazie all’incontro con Alessandro Cecconi siamo riusciti ad appoggiarci alla Meltina Records di Città di Castello, così nel 2009 è uscito Difendimi da me, il nostro primo LP, come continuo a chiamare così le raccolte”, precisa. “Ha avuto un discreto riscontro anche se ammetto che o eravamo troppo avanti noi oppure era qualcosa di difficilmente comprensibile, perché secondo noi ma anche col riscontro del pubblico, l’album è stato poco capito come argomenti dei vari brani, ma apprezzato per le sonorità rock, molto dure per gli standard musicali italiani dell’epoca. Erano testi introspettivi che cozzavano contro l’allegria italica, noi prendevamo invece spunto da quel che proveniva dall’estero come rock alternativo con distorsioni potenti, lavorando con amplificazioni sconosciute dalle nostre parti, ma giuste per il suono che volevamo ottenere, con testi in italiano che parlavano del male di vivere giovanile”. Buon riscontro ma una certa freddezza iniziale soprattutto nelle esibizioni dal vivo. “NeI nostro primo concerto con brani di nostra produzione, tenuto a San Giustino, alla fine dell’ esecuzione del primo pezzo, Insomnia, il pubblico è rimasto silenzioso per cinque minuti e noi ci siamo spaventati, dopodiché è fortunatamente arrivato un boato d’approvazione che ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo e ci ha convinto ad andare avanti con il genere che avevamo proposto”.

Per quanto apprezzata, questa prima prova degli Assenza rimaneva un prodotto di nicchia anche perché, dal momento che era qualcosa di autoprodotto, mancava della necessaria promozione da parte delle case discografiche. “Noi “, riprende il cantante, “puntavamo molto su questa nostra opera prima e tutto sommato, pur trattandosi di un prodotto di nicchia, senza promozione, senza distribuzione e senza etichetta, in poco tempo riuscimmo a vendere un migliaio di copie del cd; eravamo indipendenti al cento per cento e non era facile muoversi sul mercato ma avevamo messo l’anima nel realizzare questo disco e ci puntavamo molto”.

Seconda prova anticipatrice e invito a Sanremo

Ci sono voluti 5 anni perché arrivasse la seconda prova. ”Il nostro secondo lavoro, un EP, era qualcosa su cui puntavamo di meno rispetto al precedente”, confessa Cristian. “Eravamo in un periodo di transizione, di ripensamento e di evoluzione verso un rock più canonico. Come ogni gruppo anche noi nel corso del tempo ci siamo evoluti tramite tanta sperimentazione sonora, in sintonia con i mutati gusti del pubblico. Noi stavamo facendo dark, genere musicale al quale gli italiani non sono abituati, per questo esploravamo nuove strade, ma qualcosa era rimasto della prima esperienza sia come sonorità che dal punto vista dei testi. Pezzi come Ho ucciso il mio angelo avevano qualcosa di particolare sia come arrangiamento che per l’argomento che trattava: il femminicidio. Incredibilmente, senza che neppure ce ne rendessimo conto, ci arriva prima una telefonata confermata subito dopo da una lettera per avvisarci che eravamo stati invitati come ospiti a Sanremo DOC per presentare fuori concorso quel brano. Tutto questo era avvenuto perché il pezzo, senza che noi lo avessimo saputo, era stato usato come colonna sonora per un video di un’associazione che si occupava di violenza sulle donne”. 

I giorni sanremesi sono stati per la band vissuti come in un frullatore con ritmi folli tra conferenze stampa e interviste rilasciate a tutte le emittenti presenti alla manifestazione. Questa inaspettata chiamata ha rappresentato un punto di svolta nella carriera del gruppo. Sanremo DOC è una manifestazione collaterale a Festival dei fiori, con molti discografici presenti, una vetrina nazionale, in definitiva. “Siamo andati là”, ricorda Cristian, e commenta: “e chi non ci sarebbe andato! Nei cinque giorni della manifestazione dapprima ci siamo esibiti al Palafiori, presenti l’ufficio stampa della RAI, nonché Rai International e molte tv private, poi siamo saliti anche sul palco dell’Ariston. Il riscontro in termini di visibilità è stato molto alto anche se”, riconosce il cantante, “il genere che abbiamo presentato risultava strano per gli addetti ai lavori; suoni pesanti e testi che affrontavano temi difficili dimostravano ancora una volta che eravamo in controtendenza rispetto ai tempi. Il genere che proponevamo in que periodo”, riconosce con un filo d’amarezza, “non a caso lo ritroviamo nei Måneskin anche se noi non usavamo rap come fanno loro, però come approccio al brano, come sonorità ci sono dei punti di contatto”

Ripensamenti e ripartenza

La parabola della band li ha visti tenere concerti in compagnia dei Modena City Ramblers e esibirsi in situazioni di grande risonanza; un’attività frenetica che alla lunga ha rischiato di far scoppiare il gruppo, così ad un certo punto, nel 2019 “ci siamo guardati negli occhi”, riconosce Cristian, “e abbiamo deciso di ricominciare daccapo con una nuova produzione, riordinando le idee e creando nuovi pezzi”. Una nuova produzione che ha iniziato a concretizzarsi pochi giorni fa con l’uscita del video del loro nuovo singolo Ciao. “Avevamo da un po’ tutti i pezzi pronti, perché ci siamo presi molto tempo per prepararli, causa Covid; ne abbiamo per due album e mano a mano li abbiamo assemblati; avremmo voluto pubblicarli su disco o CD come negli anni ’80, lato A e lato B, ma per il momento faremo uscire un singolo alla volta ad iniziare da quello in circolazione attualmente. Come genere siamo tornati ad un rock più in stile italiano, meno dark e più diretto, mantenendo l’aggressività che ci ha sempre contraddistinto. Per il testo di Ciao abbiamo deciso di descrivere una storia con atmosfere meno dark rispetto al passato, sempre però con una vena di ironia e di amarezza”.

Per quel che riguarda la composizione del gruppo, nei quasi 20 anni di attività sono stati molti gli avvicendamenti ma, mi dice il cantante, “la base siamo io, Cristian Laurenzi, cantente e paroliere, Luca Occhini, chitarrista, Antonio Lusi, basso, e Fabrizio Cattalani, batteria. Questa la formazione che ha svolto l’attività principale nel corso degli anni, ma tra i fondatori del gruppo cito Nicola Gialli, tastierista, poi nell’arco del tempo Cattalani, impegnato in molte importanti produzioni fra la quali la partecipazione ad Amici di Maria de Filippi, è stato sostituito da Gabriele Giovenali che tuttora ci dà una mano in assenza del titolare. Per un periodo abbiamo avuto anche Riccardo Perugini, Alessio Guerri, Andrea Ciotti; in definitiva quelli fissi siamo in tre, i batteristi si alternano anche nella nuova produzione; per fortuna come tecnica si equivalgono e non si avverte la differenza tra quello che abbiamo registrato con Cattalani e quello in cui c’era Giovenali. In ogni caso c’è Cattalani nel promo videoclip che abbiamo fatto uscire, ma abbiamo tenuto molti concerti con Giovenali e tanti altri con Riccardo Perugini”.

Un capitolo a parte meritano i loro video che coerentemente con il loro stile musicale evocano atmosfere gotiche, anche quando danno immagine a cover di musica italiana. “Quella di Ho ucciso il mio angelo”, mi dice Cristian, “è stata la più impegnativa sia dal punto di vista realizzativo che da quello… economico; un lavoro bello e d’impatto, realizzato con la White Rose Pictures di Lorenzo Lombardi, con un’equipe molto professionale; in seguito abbiamo conosciuto un ragazzo di Perugia col quale abbiamo realizzato il video della cover di Guarda che luna, interpretata anche visivamente in chiave dark, anche se vogliamo superare questo stile perché i tempi e i gusti cambiano, sia i nostri che quelli del pubblico. Noi ci eravamo avvicinati al genere dark perché all’inizio del nuovo millennio la scena rock italiana languiva ma adesso, con più maturità da parte nostra, siamo alla ricerca di una nuova collocazione. Comunque alla fine ci siamo divertiti ed è stata per noi una bella vetrina”.

Promozione controcorrente

Nei confronti dell’attuale metodo di distribuzione del prodotto musicale Cristian ha idee chiare e controcorrente rispetto a chi si lamenta per la scomparsa delle major discografiche. “Questo modo così libero di fruire della musica attraverso internet è la cosa migliore che poteva capitare in questi ultimi anni. La musica viene restituita ai musicisti. Inizialmente con Napster ed Emule che permettevano di scaricare musica gratis le case discografiche sono entrate in crisi perché chi faceva musica era in grado di pubblicare da solo ed ottenere consenso attraverso social come YouTube, creando etichette proprie. In questo modo sono state le major a cercare gli artisti e non più viceversa, con contratti di collaborazione, lasciando liberi i musicisti di esprimersi in piena libertà. Chi ottiene consenso sui social diventa imprenditore e le case discografiche si limitano ad amplificare la conoscenza dell’artista presso il pubblico, senza ingerenze nella sua creatività. Poi dipende solo dalla volontà del musicista di andare oltre il prodotto di nicchia col quale si è fatto conoscere per ampliare il proprio pubblico, e in fondo è quello che vorremmo fare noi con la nostra nuova uscita”. Non che questa situazione sia scevra da difficoltà. “YouTube ci ha più volte censurato il video di Ho ucciso il mio angelo”, afferma il cantante. “Ogni volta che lo postavamo venivamo bannati finché siamo stati costretti a inserire la dicitura Explicit Content perché all’epoca (otto anni fa) il social era molto più bigotto di oggi, anche se il video mostrava solo un martello con qualche goccia di sangue in un rapidissimo fotogramma finale: per loro era un’immagine troppo forte. Ci abbiamo rimesso quanto a visualizzazioni, perché la prima pubblicazione ne aveva ricevute un gran numero che sono andate ovviamente perse nel conteggio quando finalmente lo hanno lasciato”.

Alla fine anche per gli Assenza è arrivato il momento della chiamata da parte di una delle più importanti major mondiali: la Universal Music. “Grazie alla Meltina Records e al suo titolare Alessandro Cecconi”, mi informa Cristian, “siamo entrati in contatto con la Universal Music, con la quale, tramite il loro settore di distribuzione, abbiamo avviato una collaborazione intesa a promuovere il nostro nuovo singolo sulle più importanti piattaforme video musicali, con evidente allargamento della platea in grado di ascoltarci. In ogni caso stiamo facendo pure noi in proprio, sempre tramite l’ufficio stampa della Meltina Records, un tour che ci vedrà ospiti in varie radio per presentare il nostro nuovo progetto”.

Per tracciare una sintesi del percorso fatto finora dagli Assenza Il frontman così conclude: “Noi abbiamo cercato di fare una cosa diversa da quello che si ascoltava in Italia quando abbiamo iniziato, un vero e proprio ribaltamento della concezione musicale nostrana anche per quel che riguarda gli argomenti dei testi. Quando abbiamo inciso Ho ucciso il mio angelo si cominciava timidamente a parlare di femminicidio; gli argomenti intimisti che trattavamo non sono stati capiti se non dopo molto tempo: per noi si trattava di una ribellione musicale e di pensiero rispetto agli standard dell’epoca; forse eravamo pretenziosi, ma se non rischi non vai da nessuna parte, secondo me”.

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