Lo squadrismo fascista, fenomeno che imperversò in tutta Italia all’inizio degli anni Venti del secolo scorso, spianando la strada alla presa del potere di Benito Mussolini, non risparmiò il nostro territorio. A fornire particolari inediti su un tema finora poco approfondito è una ricerca di Mirco Draghi, appassionato di storia locale tra i promotori, tra l’altro, del costituendo Centro studi sul campo di internamento di Renicci. Il lavoro prende le mosse dalla volontà di ricordare Ernesto Bruciamacchie nel centenario della sua uccisione, avvenuta il 9 giugno 1921, e con lui le altre due vittime anghiaresi di quei giorni. Viene così ricostruita una vicenda di cui, come spiega l’autore stesso, “si è sempre parlato pochissimo e spesso in maniera didascalica, confusa ed inesatta”, nonostante tre morti e almeno sei feriti che la rendono l’“azione squadristica più feroce e sanguinaria dell’intera Valtiberina tosco-umbra”. L’obiettivo di Draghi è quello di provare a “rimettere a posto le tante tessere” di un “mosaico che il tempo ha contributo a mischiare” e “rinfrescare la memoria su quei fatti perché possano continuare a vivere per un altro secolo almeno”. I caduti del giugno 1921 sono infatti oggi pressoché dimenticati, anche se a Bruciamacchie è dedicata una strada di Anghiari piccola ma importante, che fa da raccordo tra Corso Matteotti e Via Nova e prosegue fino a Via del Gioco.
L’episodio va contestualizzato in un periodo in cui la violenza fascista stava iniziando a dilagare nell’Aretino, partendo dal Valdarno. Aprile fu il mese decisivo per l’acuirsi degli scontri, con l’arrivo ad Arezzo di numerosi squadristi da Perugia, Firenze e Ferrara. In tutta la provincia vennero spazzate via le organizzazioni di sinistra, dalle sezioni socialiste e comuniste – l’unica sede valtiberina del neonato Partito Comunista era proprio ad Anghiari – case del popolo, camere del lavoro, cooperative. Il 15 aprile subirono incursioni Sansepolcro e Anghiari, rette da giunte “rosse”, dove vennero danneggiate le sedi del PSI e minacciati i sindaci, cui vennero intimate le dimissioni entro due settimane. Due giorni più tardi un’altra azione squadristica a Sansepolcro provocò scontri in cui morirono il nemmeno 17enne Pietro Ruggeri e il 63enne Pasquale Savelli.
A proposito delle violente pressioni effettuate sulle amministrazioni comunali, Draghi fornisce una statistica molto interessante secondo cui nella sola provincia di Arezzo tra il 1920 e il 1922 vennero sciolti il consiglio provinciale e 24 comuni, di cui sei per due volte. Dati nettamente superiori a quelli degli anni precedenti, che dimostrano come fosse una pratica comune del periodo quella di minacciare e costringere alle dimissioni i sindaci invisi al fascismo. Ad Anghiari le dimissioni non furono rapide come richiesto ma arrivarono dopo un’ulteriore intimidazione, mentre Sansepolcro, che “poteva contare – scrive Draghi – sulla tenacia del sindaco Carlo Dragoni, su una giunta compatta e soprattutto sul carisma dell’onorevole ed ex sindaco Luigi Bosi”, riuscì a resistere più a lungo.
Le intimidazioni erano finalizzate anche ad indirizzare il voto alle elezioni politiche di maggio, che in Valtiberina nonostante tutto premiarono la sinistra (a Sansepolcro il PSI ottenne il quadruplo dei voti del Blocco Nazionale della destra unita). Nel mese di giugno ad Anghiari, anche se i fascisti avevano infine ottenuto le dimissioni della giunta, era comunque attesa una spedizione punitiva e il clima era particolarmente teso in tutta la valle. La mattina del 9 giugno un manipolo di fascisti tentò una spedizione a Pieve Santo Stefano, ma fu accolto dal fuoco di sbarramento della popolazione e fu costretto a ritirarsi in un capannone. La sera fu la volta di Anghiari: arrivò in paese un gruppo di squadristi aretini ben armati e fu senza esito il tentativo di mediazione dei carabinieri. Durante le trattative socialisti, comunisti e anarchici, che erano stati colti di sorpresa dall’arrivo della squadraccia, ebbero il tempo di organizzarsi, pur non riuscendo a coordinare al meglio la propria azione.
Lo scontro, che sembrava ormai inevitabile, si innescò nelle vicinanze della casa colonica di San Girolamo, abitata da antifascisti, dove si ebbe una sparatoria. Verso la zona tentarono allora di sopraggiungere altri antifascisti che furono accolti dal fuoco degli stessi carabinieri che tentavano di impedirne l’avvicinamento. “Il conflitto vero – spiega Draghi – si svolse per la quasi totalità nel raggio delle poche centinaia di metri racchiuse tra la chiesa di Santo Stefano e il Ponte dei Sospiri, comprendendo le due case coloniche soprastanti la chiesa e i campi limitrofi”. Al termine, nei pressi della strada che oggi porta il suo nome, vicino alla casa della Polveriera, venne ritrovato morto Ernesto Bruciamacchie, muratore comunista di 25 anni sposato da appena quattro mesi.
I fatti della notte del 9 giugno scatenarono un’ulteriore rappresaglia da parte fascista: “Gli squadristi che in poche ore riuscirono a raggiungere Anghiari – scrive Draghi – vennero valutati in almeno 200 dal prefetto Limongelli, una stima forse per difetto e alla quale vanno aggiunti, per lo meno, quelli del fascio di combattimento paesano che ebbero sicuramente un ruolo logistico ed informativo”. “Le forze di pubblica sicurezza – si legge nel testo – lasciarono per almeno un paio di giorni l’intero paese in balìa degli squadristi liberi di farsi giustizia come meglio credevano”. La casa di San Girolamo venne data alle fiamme (“L’incendio divampava crepitante e violento mentre un cerchio di fascisti attorniava la casa in fiamme cantando le loro oscene canzoni ”, avrebbe poi ricordato il futuro sindaco di Anghiari Antonio Ferrini), chi non era riuscito a scappare veniva percosso e minacciato e tutto il paese veniva setacciato in cerca dei cosiddetti “bolscevichi”. Il 10 giugno la rappresaglia provocò anche l’uccisione a San Leo del 22enne Guido Checcaglini, che tentò di scappare alle camicie nere e venne colpito a sangue freddo. La sera dell’11 giugno morì all’ospedale il colono Stefano Giorni, anche lui di 22 anni, che era stato gravemente ferito il 9, probabilmente insieme a Bruciamacchie. A tutto questo si aggiunse la beffa, visto che ai fatti seguì l’arresto di dodici persone, di cui undici antifascisti e un solo fascista, mentre i soprusi continuarono anche nei giorni successivi.
Nel frattempo, tra l’11 e il 13 giugno, le attenzioni dei fascisti si concentrarono su Sansepolcro, dove si ebbero nuove incursioni, tanto che il 14 giugno lo stesso presidente del consiglio Giovanni Giolitti si interessò della Valtiberina, probabilmente sollecitato dall’onorevole Bosi. Giolitti richiamò all’ordine il prefetto e si preoccupò dell’imparzialità del maresciallo dei carabinieri di Sansepolcro: “A questo punto anche Limongelli, che di certo non si distingueva per antifascismo, fu costretto a muoversi chiedendo immediatamente il trasferimento [del maresciallo], che sarebbe avvenuto però soltanto un mesetto dopo, ovvero quando era ormai inutile poiché quell’ondata di scontri era terminata da tempo”. Del resto, “la spedizione squadristica aveva raggiunto lo scopo di distruggere quasi totalmente la resistenza rossa di Anghiari che tra uccisi, arrestati e trasferiti era ridotta all’osso sia in quantità che in qualità”.
Per chi è interessato a conoscere la vicenda in modo più approfondito rispetto a quanto sinteticamente riportato in questo articolo si mette a disposizione l’intera ricerca di Mirco Draghi, che è possibile scaricare qui in versione integrale in formato pdf. Oltre che per la ricostruzione dei fatti della “notte più buia” di Anghiari, quella del 9 giugno 1921, la descrizione del contesto del periodo e il resoconto degli sviluppi futuri, il lavoro di Draghi è particolarmente degno di nota anche per un ricco apparato documentario, a cui si affiancano le biografie di tutti i principali protagonisti.