Andrea Lodovini: quei 2.243 minuti da portiere insuperabile in una carriera vissuta al massimo

Nel 1987-1988 mantenne inviolata la porta della Sestese per quasi 25 partite consecutive. Un record imbattibile ad impreziosire una carriera ricca di soddisfazioni. La ripercorriamo oggi su TeverePost

Andrea Lodovini (primo a destra in piedi) con la maglia del Poppi nel 1992-1993

Mantenere la porta imbattuta è l’obiettivo di ogni portiere, riuscirci per 2.243 minuti di fila è un qualcosa di incredibile, un risultato di assoluto prestigio, un record da Guinness dei Primati. A trasformare “in possibile l’impossibile” fu nel 1987-1988 Andrea Lodovini, che in quella stagione difendeva i pali della Sestese e che per quasi 25 partite consecutive riuscì nella clamorosa impresa di non incassare gol. La striscia non bastò a vincere il campionato, ma permise ad Andrea di realizzare un record straordinario e di scrivere il suo nome nel Guinness World Record. Un motivo di orgoglio ed una grande soddisfazione, che ha impreziosito una carriera caratterizzata comunque anche da altri momenti indelebili. Da portiere prima e da allenatore poi, con tanti campionati vinti e con alti e bassi come capita a tutti, ma restando sempre sé stesso e affrontando ogni sfida con passione, professionalità ed impegno. Lodovini ha compiuto 55 anni il 14 aprile, abita a Pieve Santo Stefano e ha vissuto l’ultima esperienza calcistica proprio sulla panchina della Sulpizia. Su TeverePost ripercorreremo la sua storia, prima e dopo quei clamorosi 2.243 minuti di imbattibilità.

Andrea, quando hai cominciato a giocare a calcio sei subito andato in porta?

Sono cresciuto a Rassina e giocavo a calcio per strada con i bambini della mia età. Partecipavamo a dei corsi di ginnastica per le vie del paese indossando tutti la stessa divisa e per farci divertire ogni tanto l’insegnante ci faceva giocare a calcio. Mi facevano i tiri ed io mi divertivo a parare. Me la cavavo abbastanza bene e non avevo paura di niente tanto che mi tuffavo anche sui marciapiedi. Iniziai a giocare nel vivaio del Rassina, poi passai agli allievi della Bibbienese e a 16 anni debuttai in prima squadra nel campionato di Prima Categoria. In panchina c’era Carlo Tiezzi, giocavamo a Taverne D’Arbia e il mio esordio non fu certo dei migliori.

Come mai?

Entrai dopo l’espulsione del portiere titolare Vittorio Bonini e al primo pallone toccato, un’uscita alta sugli sviluppi di un corner, andai di pugno per respingere mandando però la sfera nella nostra porta. Perdemmo 3-1 e anche se il mio errore non fu decisivo ci rimasi malissimo. A fine partita piansi per il dispiacere, ma in settimana trasformai la delusione in voglia di riscatto e la gara dopo feci bene. Con il rientro di Bonini tornai in panchina e l’anno seguente mi chiamò l’Arezzo per giocare nella Primavera allenata da Tonino Duranti.

Come fu l’esperienza in amaranto?

Nei primi due anni giocai sempre titolare e feci anche 15 panchine in Serie B nella prima squadra diretta dal grande Angelillo. Una volta sperai anche nell’esordio. Preparavamo il derby esterno contro il Perugia e Pino Pellicanò aveva un forte mal di schiena. Sembrava non dovesse farcela, ma grazie a punture e antidolorifici scese in campo. In quel periodo fui anche convocato nella nazionale juniores allenata da Italo Acconcia per uno stage assieme a giovani promesse come Giannini, Costacurta e Tovalieri. Un’altra soddisfazione, anche se in azzurro non disputai nessuna gara ufficiale.

Poi cosa accadde?

Dopo due anni molto positivi la società mi promise che mi avrebbe trovato una squadra in cui crescere, ma questo non avvenne. All’inizio continuai ad allenarmi con la Primavera anche se fuori rosa, poi a novembre iniziai a lavorare lasciando perdere il calcio. Giocai in ogni caso tre gare quando il titolare si infortunò, senza allenarmi quasi mai, ma praticamente rimasi un anno fermo. L’anno dopo arrivò la chiamata del Soci.

Come furono i due anni con i biancoverdi casentinesi?

Nella mia prima stagione, 1985-1986, vincemmo il campionato di Prima Categoria aggiudicandoci ai rigori lo spareggio contro il Cortona sul neutro di Levane. Non ero proprio un para-rigori, ma in quella finale ne parai tre mi sembra e furono interventi decisivi per il successo. L’arbitro fece ripetere due volte il penalty calciato da Mencagli e io entrambe le volte disinnescai le sue conclusioni. Eravamo una squadra forte con Battiston in panchina e tanti giocatori di livello. Per me fu un anno formidabile. Ero in ottime condizioni psico-fisiche e mi riusciva tutto. La stagione dopo non fu così esaltante, ma ci salvammo e anche il mio rendimento, pur non essendo eccezionale come nella stagione precedente, fu buono. Ero giovane e sentivo maggiormente la responsabilità perché eravamo in lotta per non retrocedere e ogni sfida era una finale.

Nel 1987-1988 passasti alla Sestese e nella prima stagione in rossoblù firmasti quell’incredibile record di imbattibilità. Ci racconti come andò?

Il lavoro mi portava a girare tutta la Toscana ed avendo uno zio che abitava a Sesto andai a vivere da lui. La società era ambiziosa e la rosa era stata allestita per vincere il campionato di Promozione e salire in Serie D. Prendemmo gol alla prima e alla quarta partita, poi mantenemmo la porta inviolata fino alla ventinovesima, quasi 25 partite ed un totale di 2.243 minuti per un record clamoroso e credo imbattibile, che fu inserito nel Guinness World Record e che lì rimase fino a quando non vennero cambiati i criteri di registrazione primati. Ora ad esempio ci sono solo quelli che riguardano i professionisti, ma nessuno è mai riuscito a far meglio di quei 2.243 minuti. Il record rappresenta ancora oggi un motivo di orgoglio, ma all’epoca fu anche un peso.

Lodovini (in piedi al centro) con la Sestese

In che senso?

Volevamo vincere il campionato, ma tenevamo moltissimo a quel primato e così non giocavamo liberi. Delle 30 partite stagionali ben 16 terminarono 0-0 e solo 3 volte incassammo gol. Con la difesa meno battuta ed il miglior attacco ci piazzammo al 3° posto e la promozione svanì, però quel record resta e ancora tanta gente mi ferma chiedendomi come feci a mantenere inviolata la porta per così tanto tempo. Sinceramente penso che furono tanti i fattori. La squadra era molto forte, io ci misi del mio con tante belle parate, compresa una doppia respinta a Foiano che ricordo ancora, ma anche la fortuna ebbe un ruolo fondamentale. Mai un “tiro della domenica”, mai un rigore, un rimpallo. Se è destino va così e la conferma arrivò da un episodio che se vuoi ti racconto.

Certo…

Giocavamo in casa con l’Antella su un campo pieno d’acqua e io uscii alla disperata su Berdondini. Lui calciò fortunatamente non troppo forte superandomi. La palla era destinata ad entrare, ma si fermò su una pozza nei pressi della porta e ci salvammo. Fu incredibile. Il record si interruppe poi a Cavriglia per una deviazione su tiro di Bonfante e se ti devo dire la verità fu quasi una liberazione.

Come mai?

Fu un periodo bello, ma stressante visto che tutti mi chiedevano del record, compresi i giornalisti televisivi e della carta stampata, a livello locale e anche nazionale. Firmai anche un contratto per l’Agenzia Caliendo, con il procuratore che seguiva Roberto Baggio, sperando in un salto di categoria, ma così non fu. Ogni volta che andavamo in trasferta i tifosi avversari mi insultavano, solo perché non prendevo gol. Accadde anche a Cavriglia e lì diciamo che non rimasi impassibile. Comunque il record mi rimane dentro, anche se in carriera poi ho centrato tanti successi.

Uno di grande prestigio arrivò l’anno successivo, sempre con la Sestese.

Fu davvero una splendida cavalcata. In campionato arrivammo al 2° posto e poi perdemmo lo spareggio per la promozione con il Grosseto, ma ci rifacemmo con gli interessi vincendo la Coppa Italia a livello nazionale, contro squadre di Promozione e di Serie D. Giocammo oltre 50 partite in un anno interminabile e bellissimo in cui girammo tutta Italia arrivando alle finali disputate sul campo del Lumezzane. Dopo avere conquistato il successo con il Molfetta, che faceva la Serie D, nell’ultimo atto di questa splendida avventura vincemmo 1-0 con il Partinico Audace, altra squadra di Quarta Serie, grazie ad un gol mi sembra realizzato da Guidotti. Un ricordo meraviglioso, così come la festa che seguì.

La Sestese fu promossa in Serie D grazie a quel trionfo, ma tu non rimanesti. Come mai?

Mi ero sposato ed ero diventato babbo, così non essendo arrivato tra i professionisti, decisi di prendere meno impegni e di rimettermi in gioco in Seconda Categoria nel Poppi del presidente Vezzosi e di mister Borgnoli. Una realtà ambiziosa anche se piccola e non mi aspettavo certo tre promozioni di fila per arrivare fino all’Eccellenza. La mia idea di vivere il calcio diciamo con meno pressioni andò all’aria e fu bellissimo così.

Riviviamo velocemente quel triplice salto?

Nel 1989-1990 vincemmo il campionato di Seconda Categoria, nel 1990-1991 il 3° posto in Prima ci valse il passaggio in Promozione e l’anno successivo salimmo nella neonata Eccellenza classificandoci al 5° posto e vincendo poi lo spareggio decisivo nel sentitissimo derby con la Bibbienese. Gol di Cerofolini e Polverini nel 2-1 finale al Comunale di Arezzo, davanti a tanta gente. Che soddisfazione e che feste nei giorni successivi. Non una sera, non due, ma una festa continua che coinvolse tutto il paese.

Il Poppi è stata la squadra con cui hai giocato per più tempo, una seconda casa verrebbe da dire. È così?

Mi sono sentito apprezzato, con i miei pregi e con i miei difetti. Ci ho trascorso 12 anni da giocatore e poi 3 da allenatore, vivendo momenti felici e contribuendo a numerosi successi. Nel 1994-1995 ci piazzammo al 3° posto, la stagione dopo retrocedemmo e in panchina arrivò Gianni Gori, il mio “mentore” che con la sua zona totale ci portò al successo. Vincemmo il campionato con un turno di anticipo precedendo l’Antella di Maurizio Sarri, che poi battemmo comunque nell’ultima giornata. Nel 1999-2000 Sarri aveva anche trovato l’accordo per allenare il Poppi, ma si arrabbiò per la cessione di Rubechini al Bibbiena e tutto saltò.

La foto di Lodovini accanto all’articolo sulla vittoria del Poppi contro l’Antella di Sarri

I tuoi ultimi anni da calciatori li hai trascorsi al Subbiano, con altre belle soddisfazioni, vero?

C’era un bel progetto e quando nel 2001-2002 Gianni Gori mi chiamò decisi di accettare, anche perché gli d’oro del Poppi si stavano esaurendo. Nel mio primo anno a Subbiano vincemmo la Coppa Italia Regionale di Promozione e salimmo di categoria e nella stagione successiva ci piazzammo al 3° posto in Eccellenza. La mia avventura da calciatore si concluse nel 2003-2004, anno in cui ero feci anche il preparatore dei portieri.

Come valuti la tua carriera?

Ho giocato solo nei dilettanti purtroppo e questo è il mio rammarico anche perché pensavo di meritare una chiamata nel calcio professionistico. Da giovane avevo fatto dei provini per alcune squadre, ad esempio per il Verona di Bagnoli o per l’Avellino di Robotti e avevo avuto diversi contatti, ma nulla si è mai concretizzato. A livello dilettantistico penso di aver fatto una grande carriera comunque, vincendo tanto, realizzando quel record di imbattibilità e dando sempre il massimo. Il calcio mi ha insegnato molto e mi sono divertito tanto, vivendo emozioni, conoscendo persone e imparando quei valori di lealtà e correttezza che porto dentro di me ogni giorno. Sono sempre stato serio e professionale, anche se avevo ed ho un carattere particolare. A livello tecnico il mio punto di forza erano le uscite, mentre sotto il profilo caratteriale diciamo che a volte ho fatto uscite non troppo felici. Questo mi ha danneggiato, ma sono sempre stato me stesso, nel bene e nel male. Il compromesso non era purtroppo il mio forte e non lo è neanche oggi da allenatore.

Anche da tecnico hai vissuto tanti momenti intensi, togliendoti belle soddisfazioni, ma a volte questo non è bastato.

Abbandonai il ruolo di preparatore dei portieri perché volevo vivere in prima persona il “clima partita” ed iniziai ad allenare nel Poppi in Promozione con due salvezze centrate ai play out e con un eccezionale 3° posto. L’anno dopo passai al Piandiscò in Eccellenza, un’esperienza molto negativa. Il rapporto con alcuni giocatori non decollò e secondo me dopo 11 gare “mi fecero le scarpe”, come si dice in gergo. La stagione successiva, 2008-2009, tornai in Promozione al Subbiano e vincemmo il campionato. Una grande gioia, ma che non valse la riconferma. Anzi, alcuni dirigenti alla cena dei festeggiamenti nemmeno mi salutarono. Tra i miei record metto anche questo, esonerato dopo un campionato vinto! L’anno seguente andai a Bibbiena sempre in Promozione e mi dimisi a 2 gare dalla fine con i play off da giocare che la squadra vinse salendo poi di categoria.

Lodovini allenatore del Bibbiena

Alti e bassi anche nelle tue esperienze successive. Come andarono le cose?

Dopo un anno di stop tornai a Bibbiena con la squadra ultimissima e giocando un buon calcio raccogliemmo 10 punti in 8 partite sfiorando l’ingresso nei play out, poi rimasi fermo più di due anni, fino alla chiamata in Promozione del Pratovecchio. Anche qui presi la squadra che era ultima e giocando molto bene arrivammo ai play off dove affrontammo la Sansovino con l’obbligo di vincere. Andammo in vantaggio, ma il pareggio ci condannò ed io fui anche squalificato per una lite. L’anno dopo rientrai dalla squalifica nella gara con il Soci in Coppa Italia e fui espulso per un errore dato che l’arbitro pensava protestassi con lui. Invece non era così. L’incantesimo si ruppe e venni esonerato al 13° turno. L’ultima esperienza da allenatore è stata 2 anni fa a Pieve Santo Stefano, dove abito da 10 anni, sulla panchina della Sulpizia in Prima Categoria. L’obiettivo era la salvezza e la posizione in classifica era in linea con le attese, ma fui esonerato. Di sicuro il mio carattere in certe situazioni ha oscurato anche i risultati positivi. Ne sono consapevole. Mettendoci passione e vivendo al massimo ogni momento a volte non riesco a trattenermi e riconosco che sia un difetto, ma mi dispiace essere considerato poco affidabile da certi dirigenti, perché non è così. Spero di aver l’occasione giusta per tornare presto in panchina, perché il calcio mi manca e perché penso di avere ancora molto da dare.

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