Volere è potere e la storia sportiva di Andrea Cravotta è lì a confermarlo. Assistente arbitrale classe 1988 che appartiene alla CAN C oltre che ovviamente alla Sezione Arbitri di Città di Castello in cui mosse i primi passi nel 2013. Da quel momento in avanti ha “bruciato le tappe” diventando in pochi anni assistente in Serie C e nel Campionato Nazionale Primavera, perché Andrea se si mette in testa un obiettivo fa di tutto per centrarlo e difficilmente se lo lascia sfuggire. Con passione e determinazione, con la voglia di dare ogni giorno il massimo, facendo sacrifici e superando i vari ostacoli. Lo ha fatto all’inizio di questa sua avventura, quando si è avvicinato quasi per gioco al mondo arbitrale, lo ha fatto negli anni successivi quando l’impegno è diventato più considerevole e lo sta facendo ora che si è operato al ginocchio destro, tornando poche ore dopo l’intervento a fare esercizi per rimettersi presto in forma, “perché a fine luglio inizia il raduno in vista della prossima stagione – spiega – e voglio farmi trovare pronto. Tutto è andato per il meglio, ma non posso permettermi di stare troppo fermo. Ho ancora tanta strada da fare e non voglio lasciare niente di intentato. Cerco sempre di dare il massimo perché fare l’assistente arbitrale è la mia grande passione”. Un amore che emerge chiaramente dalle sue parole per un ruolo delicato e affascinante, in cui servono occhio e visione di gioco, prontezza, qualità, lucidità e capacità decisionale.
Andrea quando e perché ti sei avvicinato al mondo arbitrale?
Il calcio mi è sempre piaciuto e come tutti i ragazzi ho iniziato giocando, senza grandi risultati chiaramente, anche perché ero piuttosto grosso. Sono sempre stato affascinato comunque dalla figura dell’arbitro, dalla personalità e dalla capacità che servono per prendere decisioni in così poco tempo e anche quando giocavo ho sempre avuto un occhio particolare per questo ruolo. Prima di avvicinarmi al mondo arbitrale ho anche allenato i bambini del Pistrino e soprattutto ho deciso di sistemarmi a livello fisico, tanto che in un anno e mezzo ho perso 42 chili. Ho cominciato a sentirmi a mio agio e quando ho visto casualmente per strada una locandina sui corsi arbitrali mi sono detto “proviamo”. Ho superato il corso e a marzo 2013 ho arbitrato per la prima volta una partita giovanile, Sansepolcro – Virtus San Giustino, categoria esordienti, nell’antistadio del Buitoni.
Quali sensazioni hai provato?
Ero teso soprattutto prima del fischio d’inizio, però è stato davvero molto emozionante e anche divertente. Fu un buon esordio e anche l’inizio del mio percorso. A fine gara non vedevo l’ora di tornare ad arbitrare e da marzo fino a giugno ho diretto tanti match giovanili in Valtiberina. Ci tengo a sottolineare che al debutto a ogni arbitro viene affiancato un tutor e il mio fu Gabriele Magrini, attuale presidente della Sezione Arbitri di Città di Castello. I suoi consigli sono stati preziosissimi in tutti questi anni per la mia crescita ed è uno dei miei mentori assieme a Luca Cucchiarini e Alessandro Costanzo. Grazie a loro sono migliorato tanto.
Quando sei diventato assistente arbitrale?
A settembre sempre del 2013 grazie proprio alle parole di Luca Cucchiarini, che era capo degli assistenti a livello regionale. A una cena mi disse che avendo 25 anni ero già vecchio per diventare arbitro nazionale e mi suggerì di provare facendo l’assistente. All’inizio ero titubante, ma poi mi decisi. La prima volta fu nel triangolare disputato allo stadio Bernicchi nella categoria Berretti da Perugia, Gubbio e Città di Castello. Ci dovevamo alternare con gli altri due colleghi, facendo ciascuno un tempo da arbitro e due da assistenti. Nel primo mini-match da 45 minuti io fui designato per fare l’assistente e mi trovai a meraviglia. Fu “amore a prima vista”, se mi passi questa definizione, così non cambiai ruolo. A fine triangolare chiamai il referente e gli chiesi di farmi fare tutte le procedure necessarie perché volevo intraprendere questa strada.
E hai immediatamente dimostrato le tue qualità togliendoti fin da subito delle belle soddisfazioni. Come andarono le prime stagioni?
Al primo anno feci 4 partite di Promozione e poi l’esordio in Eccellenza, venendo anche designato per la finale della Coppa Italia di Prima Categoria Umbria tra Petrignano e Real Quadrelli. Una bella emozione per me già nell’anno del debutto che bissai nella stagione successiva. I primi due anni furono molto positivi e a luglio 2015 nel sito dell’AIA fu davvero una gioia enorme leggere anche il mio nome tra quelli di coloro che erano stati promossi in Serie D.
Un riconoscimento importante ottenuto dopo così poco tempo a confermare quanto di buono avevi fatto e le tue doti da assistente. Come fu l’esordio in Serie D e quali i momenti più belli vissuti in categoria?
Allo Stadio Fedini nel match Sangiovannese – Ponsacco, in una giornata che non dimenticherò mai, perché l’atmosfera era bellissima, perché essendo vicino a casa tanti amici erano venuti a vedermi e perché era la mia prima volta a livello nazionale. Ero teso, ma andò bene, così come andarono nel complesso molto bene i primi due anni, vissuti su e giù per l’Italia, in campi prestigiosi e con squadre blasonate come per esempio Avellino, Bari, Modena, Cesena. Il terzo invece non fu eccezionale e il regolamento impone che dopo 3 anni di Serie D o vai avanti o torni a casa, senza vie di mezzo. Venivano promossi i primi 30 in classifica e io ero 31°, ma mi fu concessa una deroga. Così ebbi la possibilità di continuare un altro anno in Serie D e fu una stagione meravigliosa. Venni designato per tante gare importanti: un Taranto-Cerignola in una cornice di pubblico spettacolare, un Turris-Bari con le due squadre al 1° e 2° posto e un Pergolettese-Modena alla penultima giornata in cui si decideva la vittoria del campionato. L’apice fu la finale di Coppa Italia Dilettanti a Firenze tra Caldiero Terme e Casarano. Fu un’altra giornata emozionante e il preludio al passaggio in Serie C, cosa che avvenne ufficialmente nel luglio 2019.
Quando hai esordito in Serie C e cosa hai provato nel vivere questi primi 2 anni tra i professionisti?
Debuttai in un Cesena – Vis Pesaro di Coppa Italia, in un bellissimo stadio come il Manuzzi e indossando per la prima volta gli auricolari, cosa che accade solo in campo professionistico. L’emozione fu indescrivibile, ma a differenza dell’esordio in Serie D ero molto tranquillo, consapevole dei miei mezzi e con tanta adrenalina. I momenti belli sono stati numerosi, a San Benedetto del Tronto ad esempio per l’atmosfera e altre partite importanti come quella tra Juve Stabia e Catania, giocata però senza pubblico come purtroppo è accaduto negli ultimi mesi. Il mio bilancio comunque è positivo, considerando anche le designazioni per i match del Campionato Primavera Nazionale, realtà di alto livello con giovani di grande talento e ritmi alti. Anche qui respiri il professionismo e trovi allenatori che hanno giocato ai massimi livelli fino a pochi anni prima. Tra le partite più belle metto il derby Bologna – Sassuolo di qualche settimana fa.
Sperando che già dal prossimo anno si torni alla normalità, ti chiedo come è stato dalla tua prospettiva il calcio a porte chiuse e se cambia qualcosa a livello di concentrazione per un assistente?
Il calcio senza tifosi perde chiaramente molto in termini di fascino e questo periodo è stato più stressante anche per i molti tamponi a cui ci siamo dovuti sottoporre e per le tante attenzioni adottate. Per quello che riguarda la concentrazione posso dirti che a livello personale non è cambiato nulla, perché è rivolta sempre e completamente al rettangolo di gioco e perché gli auricolari comunque aiutano a rimanere sul pezzo.
Il vostro ruolo è molto delicato e tante volte da fuori ci si domanda come fa un assistente a essere così bravo e veloce nel prendere decisioni. Puoi aiutarci a capire come fate?
La difficoltà maggiore è distinguere le priorità del momento e comprendere la dinamica, tenendo alta ogni istante la concentrazione e rimanendo allineato con il penultimo dei difendenti, considerando ovviamente difendente anche il portiere. L’esperienza in questo caso è fondamentale, così come è fondamentale anche l’allenamento alla visione periferica perché per un assistente la priorità è esser sempre in posizione giusta, allineato come dicevo prima. Importante oltre a distinguere la priorità è avere la giusta sintonia con tutta la squadra arbitrale, cosa che accade sempre e comunque. Io amo dire che entriamo in campo come 3 fratelli e che usciamo dal campo come 3 fratelli.
Tante le qualità che servono per esser un bravo assistente arbitrale. Occhio, visione periferica, posizione corretta lungo la linea laterale, capacità di decidere in fretta e aggiungo capire il gioco del calcio. Come si migliora tutto questo?
L’esperienza è un fattore determinante, così come lo è l’allenamento atletico perché se non sei fisicamente in forma non sei nemmeno lucido. Poi ovviamente devi conoscere le dinamiche del calcio e in questo senso guardare le partite e studiare le squadre aiuta moltissimo. Il calcio d’altronde è una passione anche per noi della classe arbitrale, quindi non è certo un peso. Ai miei amici che giocano dico che noi siamo portatori di passione vera, proprio come lo sono i calciatori. Solo perché abbiamo una diversa prospettiva non vuol dire che non viviamo di calcio come loro. Ci alleniamo e facciamo sacrifici per il bene del nostro sport.
Il complimento più bello e il momento più difficile del tuo percorso arbitrale?
Il complimento più bello in Serie D quando il dirigente di una squadra a fine partita mi disse “non avevo mai visto un assistente correre più di un attaccante”, mentre il momento più difficile fu l’esordio da arbitro in Terza Categoria. Tornai a casa e quasi volevo smettere.
Sei soddisfatto di quanto hai fatto finora e quanto sei cresciuto in questo percorso?
Sono felice perché mi sto togliendo tante soddisfazioni, perché ho la stessa passione che avevo il primo giorno e perché non capita spesso di arrivare nei professionisti in così pochi anni come ho fatto io. Sono maturato tantissimo, caratterialmente, nella capacità di gestire le tensioni, le emozioni e le difficoltà, nel calcio e nella vita privata. Sono diventato più deciso e sono portatore di regole. Fare l’arbitro o l’assistente trasmette dei valori importanti che restano dentro di noi. I miei amici quando arrivo dicono sempre “ecco l’arbitro” perché lo sono sempre, in campo come fuori ed è un onore per me.
Sogno nel cassetto?
Ognuno di noi spera di arrivare in Serie A e ovviamente anche per me vale lo stesso, però lo vivo davvero come un sogno e non come un’ossessione. Io ho sempre dato e sempre darò il massimo per raggiungere il mio massimo e per arrivare alla fine di questo percorso senza rimpianti di alcuni tipo. Se meriterò di salire sarò felicissimo, ma lo sarò in ogni caso perché il mio sogno lo sto già vivendo. Comunque ho ancora altri 2 anni di Serie C in cui continuerò a fare del mio meglio.
Ultima cosa, perché un giovane dovrebbe avvicinarsi al mondo arbitrale?
L’arbitraggio aiuta a crescere, è una scuola di regole e di passione, un mondo bello che io ho scoperto per caso e che è diventato la mia vita. Invito tutti a provare per credere e sono certo che chi ci si avvicina con il giusto spirito non se ne pentirà.
Tutte le foto sono gentilmente concesse da A. Cravotta.