Andrea Brizi: omini e teschi. Prosegue il viaggio tra i sorrisini, i mezzi busti e gli uccellini

La seconda parte dell’intervista allo scultore umbro: dopo una necessaria premessa intellettuale entriamo nel vivo delle sue produzioni

Esploso I, 2016

Esploso I, 2016

Andrea Brizi, notato con ragione anche dal famoso critico d’arte Vittorio Sgarbi, continua a condurci (qui la prima parte dell’intervista) in un’esplorazione delle sue opere dai tratti atavici e lisergici. Più o meno lucide, più o meno colorate, uniformi o scomposte e poi ricomposte con la tecnica del kintsugi, spesso antropomorfe, sempre unite da un invisibile filo conduttore sensoriale, queste opere al contempo ataviche e ipermoderne sembrano poter essere suddivisibili in fasi o periodi, tanto da farci chiedere se dietro le operazioni di Brizi ci sia o meno un “grande piano”: «Riguardando i miei lavori fatti finora potremmo parlare di periodi. Non c’è mai stato un “grande piano”, le opere inquadrano semplicemente dei momenti, delle tematiche e delle riflessioni che ho sviluppato nel tempo. Tendenzialmente non faccio mai qualcosa che vuole dare delle risposte, bensì vorrei che innescasse domande. Interrogativi che mi pongo io stesso: cerco di spingere chi guarda le mie opere a porsi le mie stesse domande e fare le mie stesse riflessioni. Vorrei che le mie sculture fossero una specie di simposio, per avere più punti di vista, interpretare le sculture diversamente. Partire insieme dalla stessa cosa per finire magari in due strade completamente diverse, ciò mi affascina molto. Ripercorrendo i vari “periodi” posso dire che all’inizio era tutto incentrato sulle domande che mi ponevo (e che continuo ancora a pormi) sull’anima. Questo concetto astratto è stato rappresentato sotto infinite forme ed io me lo sono immaginato realizzando personaggi con teste anatomicamente singolari, poiché hanno crani cilindrici o macrocefali che propagano luce. La luminosità è la fuoriuscita dell’Anima, che (per il momento) io identifico nel Pensiero; ecco perché i volti non devono avere particolare ricchezza di dettagli, sono semplificati con il solo scopo di far intuire la sessualità del soggetto, poiché non voglio distogliere l’osservatore dalla riflessione che la scultura potrebbe apportare. Mi piaceva molto collocare l’anima nella testa, motore della ragione, anziché nel cuore, motore delle emozioni.

Interno Testa, 2019

Un’altra serie di lavori è stata quella degli Esplosi, dove ho rappresentato alcuni stati d’animo attraverso la creazione di busti e mani. Queste sculture sono l’esempio di una delle mie filosofie di vita: accogliere e seguire le strade che ci si aprono davanti. Il termine “esplosi” non è metaforico, ma letterale, poiché per la prima volta tutti i lavori che avevo portato a cuocere sono letteralmente esplosi dentro al forno. Davanti a quei pezzi sparsi non mi sono abbattuto, anche se era palesemente un totale disastro. Come con un puzzle, ho ricomposto tutti i pezzi, li ho verniciati uno per uno e poi li ho incollati. Volevo dare comunque vita a quelle sculture, non accettavo che potessero semplicemente andare distrutte. Per finire, ispirato dalla tecnica giapponese del kintsugi ho abbellito tutte le crepe con l’oro, per rendere preziose le ferite. Sono proprio queste ferite che donano unicità a queste statue: hanno reso particolare qualcosa che nella sua forma primordiale sarebbe stata anonima. Come se fosse un segno, ho capito che l’esplosione non aveva chiuso una porta, bensì mi permetteva di avvicinarmi a nuove esperienze creative. Dal 2018 ho ripreso in mano la modellazione di mezzi busti che presentano una caratteristica per me importante, quello che io definisco un volto-avatar, dove i lineamenti sono approssimati, ma carichi di parole non dette. La caratteristica peculiare di questa produzione è principalmente il sorriso subdolo e misterioso sui protagonisti; da qui l’istintivo appellativo di Sorrisini. Sono sempre molto curioso di sapere cosa pensa chi li osserva, perché per alcuni ridono, mentre per altri sono inquietanti. Inoltre è stato un momento di cambiamento anche per il colore, ho lasciato i colori neutri per abbracciare colorazioni decisamente più brillanti ed accese. Nel 2019 ho iniziato a modellare dei teschietti che ho chiamato Interno Testa, con la volontà di accostare la personificazione della morte (altro tema a cui sono “affezionato”) a qualcosa di meno triste e tetro. La morte ovviamente ci spaventa, la propria come quella dei nostri cari, ma purtroppo dobbiamo accettarla come una fase della vita. Aiutare a renderla meno cupa, per accoglierla con meno difficoltà nella nostra vita».

Sorrisino I e II, 2018

A tal proposito, abbiamo chiesto a Brizi se e come la situazione particolarmente intensa legata agli stravolgimenti tanto a livello esterno quanto interiore legati alla terribile emergenza Covid abbia influito nella sua produzione: «l’esperienza Covid è stata ed è dura per tutti. All’inizio avevo la speranza che potesse avere anche dei lati positivi, come portare alla riflessione, invece più passa il tempo e più questa speranza diminuisce, perché vedo troppa gente che continua a vomitare odio gratuito. Anch’io sono rimasto in casa per più di un mese, lontano dal mio lavoro e dal mio laboratorio. Ho cercato di prenderla con filosofia ed ho utilizzato tutto il tempo libero che avevo per riflettere su molte cose e mettere insieme delle idee che covavo da tanto. Ultimamente ho realizzato dei piccoli video in stop-motion e questa è una cosa che è nata proprio durante la quarantena. Mi sono limitato ad immaginarmi tutto nella testa, riversandolo su carta nella speranza di tramutare poi il tutto in materia. Ho anche disegnato molto e questa cosa tornerà su una serie di lavori che voglio realizzare».

Natura III, 2020

Nel suo profilo Instagram sono comparse ultimamente le foto di alcune opere legate al tema della natura, con foglie ed uccellini: «È un progetto che ho realizzato prima della pandemia e della quarantena, ma il concetto che sta dietro, in questo periodo si è rafforzato e ha trovato in me altri spunti, che molto probabilmente riprenderò più avanti. Non mi piace dare dei titoli elaborati alle sculture, sempre per la volontà di lasciare largo spazio all’interpretazione dell’opera, e per questa serie il titolo è semplice e immediato: Natura. Sono sempre stato legato alla natura e negli ultimi mesi questo legame si è fortificato, tanto da sentire il bisogno di lavorare su questo tema. Siamo ormai tristemente consci che l’uomo sta dimostrando disinteresse riguardo alla salute del pianeta, dell’ecosistema, senza citare gli innumerevoli esempi ben noti a tutti che dimostrano questo scempio. Con queste opere io stesso mi aiuto a sensibilizzarmi maggiormente a questa delicata tematica, e spero di sensibilizzare anche altre persone. Cerco di dare il mio piccolo aiuto per far capire che è possibile poter vivere tutti in maniera più etica, serena e rispettosa». Un golem gentile, dunque, quello creato da Brizi. Anzi, tanti piccoli golem, ognuno con un pensiero alle spalle o meglio tutto intorno, con una proposta di riflessione, con una luce da accendere o spegnere a seconda del pensiero sviluppato, che invitano al ragionamento, che ispirano sensazioni tra le più disparate, applicabili a ogni luogo e ogni tempo: universali ambasciatori di messaggi da decifrare.

Leggi la prima parte dell’intervista ad Andrea Brizi.

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