Nato nel 1988 a Firenze, ma biturgense a tutti gli effetti, Alessandro Riguccini è ormai una stella del pugilato. Tra i vari titoli iridati all’attivo, è detentore della cintura mondiale Silver dei pesi welter per la WBC. Nel corso della lunga conversazione che TeverePost ha avuto con lui c’è stata anche l’occasione di spiegare ai non addetti ai lavori cosa significhi un titolo Silver: “La WBC, che è la federazione di gran lunga più prestigiosa, ha creato questo titolo d’élite superiore a tutti gli altri, tranne al titolo Gold, quello assoluto. A breve questi due rimarranno gli unici titoli che si disputeranno su 12 round, e ciò dimostra la loro importanza, così come le procedure di pre-pesaggio a 30 giorni, due settimane e una settimana dagli incontri. Il titolo Silver non è paragonabile al Gold, però è quello che introduce nella finestra che ti dà la possibilità di disputare il mondiale assoluto, che è il nostro obiettivo”.
Infatti eravamo rimasti a una conferenza stampa dello scorso novembre in cui insieme al tuo manager Marco Piccini parlavi delle prospettive di poter combattere per il mondiale WBC assoluto.
Dopo la vittoria e due difese del mondiale Silver, con un record di 24 vittorie e zero sconfitte, abbiamo tutto il diritto di pretendere una chance per il titolo assoluto. Naturalmente non è semplice, perché i pesi welter sono una categoria molto gettonata da televisioni, fan, da tutti, quindi ci sono grossi interessi e tanti pretendenti. Però stavamo vedendo del movimento da parte della WBC, sebbene tutto fosse un po’ rallentato anche dal fatto che il detentore Errol Spence jr. era stato messo temporaneamente fuori causa da un brutto incidente automobilistico. Comunque noi eravamo pronti ad attendere il nostro turno, e verso fine febbraio stavamo valutando di fare un altro match a 10 riprese. Con o senza mondiale Silver in palio, tanto ormai l’ho vinto e difeso due volte, quindi non è più necessario. Chiaramente ponderando bene tutto, perché con questo record di 24-0 non posso combattere con un avversario di basso calibro che mi svaluterebbe, e salire sul ring senza il mondiale assoluto in palio è un rischio: una sconfitta da imbattuto vorrebbe dire tanto.
A complicare tutto è arrivata l’emergenza coronavirus.
Sì, mentre pensavamo di andare in Messico a fare questo incontro abbiamo cominciato a capire che qualcosa non andava. Abbiamo deciso di non partire e di vedere l’evoluzione della situazione. Per fortuna ci siamo tenuti cauti, perché adesso non c’è pugilato non solo in Italia e in Europa ma è tutto fermo anche oltre oceano, in Messico, negli Usa. Le federazioni sono totalmente congelate.
Come ti tieni in forma in questo periodo?
Adesso devo purtroppo arrangiarmi come, penso, tutti gli atleti, almeno qua in Italia. Vado a correre, poi in casa salto la corda, faccio boxe a vuoto, faccio flessioni, addominali, la sbarra, tutte le cose che ormai dopo tanti anni so fare. Però quello che ci auguriamo è di poter ritornare in Messico ad allenarmi a Tijuana con pugili di livello mondiale, per poter fare una preparazione adeguata a un titolo di questa importanza.
Che notizie ci sono riguardo ad una ripresa dell’attività pugilistica?
L’unica indiscrezione che ho sentito per quanto riguarda il Messico, che è la nazione che mi interessa, è che verso giugno o luglio dovrebbero fare qualcosa a porte chiuse. Ma non c’è niente di certo, anche perché bisogna vedere se per i promoter può essere vantaggioso senza spettatori paganti, visto che là di gente ce ne va parecchia a vedere il pugilato. Magari riescono a rimediare con le televisioni e con gli sponsor, dato che viene tutto trasmesso in chiaro in Messico e anche negli Stati Uniti. Però finché la situazione non si sblocca non è facile.
Torniamo agli inizi della tua carriera.
Ho cominciato a fare kickboxing da piccolissimo, qui a Sansepolcro. Sono stato io a voler fare uno sport da combattimento, non mi hanno mandato i miei, che anzi all’inizio erano totalmente contrari. D’altra parte qui non è come in Messico o negli Stati Uniti, dove la boxe è un percorso normale, forse anche perché ci sono meno alternative. Qui se dici “vado a fare il pugile” o “vado a fare il kickboxer” la cosa suona strana e pericolosa. Comunque ho iniziato a fare piccole garettine di kickboxing da dilettante, con il caschetto, le protezioni. Mi allenavo sempre con entusiasmo, non saltavo mai gli allenamenti, vedevo che ero abbastanza bravo e perdevo raramente. Cominciava a intrigarmi l’idea di voler diventare campione del mondo. Naturalmente di kickboxing, perché al tempo il pugilato non immaginavo assolutamente di poterlo praticare. Andando avanti il livello si alzava e anche se magari vincevo l’incontro, venivano fuori delle lacune per la parte pugilistica. Nel senso che ero molto bravo a tirare i calci, però per quanto riguarda la boxe, le combinazioni, la scioltezza avevo molti limiti.
E come li hai superati?
Avevo appena finito le superiori e abbiamo deciso che mi sarei trasferito per un paio d’anni a Cuba, dove c’è una storia secolare di boxe, per migliorare proprio la parte pugilistica. Là mi sono allenato molto e ho anche combattuto. Si trattava di incontri non registrati, però quando c’era qualche funzione dilettantistica, magari quando c’erano scambi interculturali per esempio tra Cuba e Russia, o tra Cuba e Kazakistan, mi inserivano nella serata e combattevo. Ovviamente sono stati incontri utili non al cartellino ma all’esperienza, sicuramente mi hanno fatto crescere. Così mi sono creato un’ottima base pugilistica che completava il fatto che ero già forte per quanto riguarda i calci. Quindi appena tornato ho potuto subito disputare il primo incontro per il titolo mondiale di kickboxing. È stato proprio qui a Sansepolcro nei pesi welter, perdendo per 2 giudizi a 1 contro il francese Ibrahim Chiahou. Un incontro perso giustamente, ma veramente bellissimo, con un giudice che addirittura aveva dato a me la vittoria. Anche questa è stata un’ottima esperienza. Era marzo 2010, e pochi mesi dopo, a novembre, ho combattuto e vinto a Livorno il mondiale nella categoria di peso addirittura superiore, i medi, contro il marocchino Boumalek. Nel 2012, mentre già avevo iniziato a fare il dilettante di pugilato ed ero sceso di peso perché lì le gambe devono essere meno muscolose, ho avuto l’occasione di combattere per il mondiale dei leggeri di kickboxing, che ho vinto a Sansepolcro contro il serbo Gogić. Va precisato che ho vinto quattro mondiali di kickboxing, ma ho parlato solo dei due conquistati nella federazione più prestigiosa, la Wako-Pro, che è quella affiliata al Coni e che è attualmente la federazione regina del kickboxing.
Poi ti sei dedicato solo al pugilato.
Praticamente sì, ho fatto qualche altro piccolo incontro di kickboxing ma nelle federazioni meno importanti. Non che fossero incontri facili, perché anche nelle altre federazioni càpitano situazioni impegnative, anche se più raramente. Però l’ultimo incontro di kickboxing veramente tosto è stato proprio quel mondiale a Sansepolcro. Per il resto mi sono dedicato principalmente alla boxe, facendo base in Messico.
Tanto lavoro che ti ha portato con il tempo a grosse soddisfazioni.
Sicuramente per me è stato fondamentale l’incontro con Marco Piccini, che ci ha creduto e mi è stato vicino nei momenti di difficoltà che ho avuto durante la mia carriera. Tra l’altro quando ci siamo conosciuti è vero che ero già campione del mondo di kickboxing, però nel pugilato avevo ancora tutto da dimostrare, nonostante un record all’epoca di 11 vittorie e zero sconfitte. Lui ha intravisto subito qualcosa di interessante ed è partito questo progetto che a quanto pare sta camminando per il verso giusto. Senza di lui nonostante la bravura e l’impegno non sarei arrivato dove sono adesso. La svolta della mia carriera è stata quando con Marco abbiamo deciso di andare a Kiev a ottobre del 2018 per la convention annuale della WBC. Abbiamo assistito alla convention e abbiamo parlato con il presidente della federazione Mauricio Sulaimán. E già dopo poche settimane abbiamo avuto la possibilità di disputare il titolo mondiale Silver dei pesi welter in Messico contro Villaman, che era imbattuto come me. Ho vinto, ho conquistato la cintura e poi l’ho difesa due volte, a Firenze contro Álvarez e poi a Cancún contro il venezuelano Ruiz. Ora non resta che puntare al titolo assoluto dei pesi welter WBC.Appena si potrà ripartire, spero molto presto, continueremo a dedicarci a questo grande obiettivo.
Per quanto tempo ancora ti vedi nel pugilato?
L’attuale campione del mondo della federazione WBA nel mio peso ha 41 anni, però l’età media per il ritiro è 36-37 anni. Diciamo che io ho ancora davanti cinque o sei anni di carriera.
E dopo cosa pensi di fare?
Ho una laurea magistrale in ingegneria informatica, però dovremo vedere anche come sarà andata la mia carriera. Comunque quando si pratica uno sport a questi livelli uno cerca sempre di rimanere nell’ambiente, magari in ambito manageriale, anche per inerzia. Ma per adesso devo concentrarmi nel concludere la carriera nel migliore dei modi.
Immagini gentilmente messe a disposizione da Alessandro Riguccini.
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