Alessandro Mugnai: “Per il sindacato la sfida di unire alla rivendicazione collettiva la tutela individuale”

Speciale Primo maggio – Il segretario della Cgil: “Nel lavoro aumentati sfruttamento e illegalità”

Alessandro Mugnai

La ricorrenza del Primo maggio è l’occasione per commentare con il segretario provinciale della Cgil di Arezzo Alessandro Mugnai lo stato di salute del mondo del lavoro nella nostra provincia.

Quale situazione ci troviamo davanti dopo 14 mesi di pandemia?

Parto dal settore manifatturiero tradizionale, che nella nostra provincia è costituito dal metalmeccanico, con l’orafo in testa, e dalla moda. La merce non gira per i motivi derivanti dalla pandemia, ma teniamo conto che c’erano difficoltà da prima perché la nostra nazione non ha rinnovato il suo modello industriale, e questo ricade inevitabilmente sui territori. Per cui avevamo già aziende in affanno, anche se qualcuno dava segnali positivi, soprattutto nel settore del lusso, che non è in crisi. Anche lì sono in atto delle mutazioni, con i grandi marchi che hanno fatto balzi in avanti grazie ai cosiddetti negozi virtuali. Questo processo di digitalizzazione però riguarda aziende che hanno risorse per potersi organizzare autonomamente, mentre molte realtà del nostro territorio avrebbero bisogno di piattaforme di sistema per cercare di essere competitive. In questo contesto, ad oggi abbiamo ancora la cassa integrazione che tiene al riparo i lavoratori, ma prima o poi arriveranno altri disastri con la fine del blocco dei licenziamenti. Lo stesso Draghi ha fatto capire che non intende prorogarlo, mentre noi riteniamo che andrebbe fatto, anche perché ancora non siamo usciti dalla pandemia e possiamo immaginare quali potrebbero essere gli effetti di una nuova ondata. Io avrei infatti evitato troppi allentamenti e insistito piuttosto su un’accelerazione della campagna vaccinale, in cui invece né l’Italia né la Toscana stanno dando una buona prova. Insomma lo scenario è assolutamente precario, anche se avere marchi importanti del lusso dà al nostro territorio una bella occasione di mettersi intorno a un tavolo e ridisegnare un piano industriale manifatturiero. Ce n’è molto bisogno, perché adesso vige la pericolosa logica di “ognuno per sé”.

Ci sono dei settori in ripresa?

L’edilizia sta dando segnali non dico di ripresa, ma almeno di reazione, anche grazie a risorse importanti che possono arrivare. Nel nostro territorio, accanto alla ripartenza delle opere infrastrutturali necessarie da un punto di vista logistico, sarebbe opportuna una ripartenza sul fronte abitativo, anche se in questa provincia purtroppo non è stata ancora affrontata in maniera seria la questione della casa, che dovrebbe legarsi alla riconversione degli edifici esistenti. Con una regia che permettesse a tutti di cooperare in questa direzione ripartirebbero non solo i muratori, ma la chimica, la metalmeccanica, l’arredo, il laterizio, il legno, il settore informatico. Sarebbe un volano estremamente importante. E un altro segnale viene dal settore agroalimentare, con il “made in Arezzo” che in pandemia ha avuto risultati ottimi. È un settore con una forte vocazione verso l’alta qualità e ha delle potenzialità che andrebbero valorizzate in un percorso di riorganizzazione del sistema.

Come è cambiato il sindacato con la pandemia?

Eravamo abituati a un sindacato che agiva su temi generali da affrontare collettivamente. Ora purtroppo, con la crisi e poi con la pandemia, l’azione collettiva è diventata complicata e la facciamo solo sulla difensiva: per non perdere posti di lavoro, per difendere l’occupazione, per difendere il salario. Dopodiché di persone al sindacato ne vengono tantissime: non classi, operai, precari, ma cittadini. Non è una questione di individualismo, il fatto è che quando c’è crisi i problemi delle persone aumentano, sono più sole, hanno bisogno di maggiore assistenza, di tutela individuale. Hanno bisogno di un atteggiamento più mutualistico che contrattualistico. Ieri potevi avere un esercito di lavoratori o di pensionati, oggi hai un esercito di individui, e questo apre una sfida nuova nel sindacato: all’azione rivendicativa collettiva, con una visione di prospettiva per avviare processi di cambiamento che facciano bene al Paese e alle persone, va affiancata la tutela individuale delle persone. In questo contesto è aumentata anche l’attenzione per il rispetto delle regole, la giusta paga, il contratto. Stiamo registrando a volte un po’ troppi casi di cassa integrazione “tradita”, cioè personale in cassa integrazione che il titolare chiama a lavorare al nero. Se non vengono trovate delle soluzioni da questo punto di vista rischiamo di tornare indietro di 50 anni.

Che messaggio porta con sé il Primo maggio in questa fase particolare?

Unitariamente, Cgil, Cisl e Uil quest’anno adoperano lo slogan “L’Italia si cura con il lavoro”, inteso non in maniera materiale, ma come quel lavoro che dovrebbe permettere di esprimere al massimo le potenzialità e le aspirazioni del singolo individuo, come previsto dalla Costituzione. Siamo ben lontani da questo stato di cose, abbiamo ancora delle sacche spaventose di precariato che con la pandemia sono venute fuori con ancora più violenza, abbiamo un esercito di false Partite Iva, generazioni tenute alla sbarra con paghette settimanali, con stipendi imbarazzanti. Oggi vediamo alcune categorie che manifestano il proprio disagio, ma immaginiamoci se un domani con la stessa veemenza, magari bloccando le autostrade, dovessero manifestare i nostri giovani precari. Va curato anche il lavoro: è aumentato lo sfruttamento, è aumentata l’illegalità, sono aumentate forme di caporalato. Quando sento dire che ci vuole più formazione dopo un po’ mi arrabbio, ci vogliono regole nuove e allo stesso tempo controlli che gli istituti preposti non fanno più. L’Italia quindi si cura con il lavoro sano, e aggiungo – parlando della nostra regione e della nostra provincia – combattendo la malavita organizzata. Sono molti anni che ne denunciamo la presenza, e all’inizio venivamo giudicati allarmisti. Invece le indagini della Dia e della Dda confermano che il nostro territorio è interessato da organizzazioni criminali che trovano terreno fertile e si insediano come un cancro drenando tante risorse. Per prenderne atto si aspetta forse che ci scappi il morto eccellente? Qualcuno che dice “a questo gioco non ci sto” e viene ammazzato? Ma a quel punto sarà tardi, perché vorrà dire che il livello di arroganza e di forza della malavita sarà tale da poter uscire allo scoperto. Quindi il Primo maggio deve lanciare anche un messaggio di salvaguardia della legalità, non solo come cultura ma anche come prassi.

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