Apprezzato prima come giocatore e poi come direttore sportivo, un “vero uomo di calcio” che in entrambi i ruoli ricoperti si è saputo distinguere per passione, talento e competenza, meritandosi la stima di addetti ai lavori e tifosi. Stiamo ovviamente parlando di Alessandro Bruni, uno dei grandi protagonisti degli ultimi 40 anni del calcio toscano. In campo ha onorato al meglio anche le maglie di Corona Camucia, Montagnano e della “grande Monterchiese” degli anni ottanta, ma la sua storia calcistica è legata prevalentemente alla Baldaccio Bruni Anghiari, società del suo paese, squadra con cui ha giocato per più anni e che da 27 stagioni lo vede impegnato da direttore sportivo. Rappresenta la continuità del calcio biancoverde: dai 3 gol segnati nello spareggio valevole per la promozione in Seconda Categoria nel 1978-1979 contro la Sulpizia, al trionfo nella Coppa Italia di Eccellenza Toscana 2016-2017 centrato dalla Baldaccio che lui stesso aveva progettato e costruito. È stato decisivo nel portare la compagine biancoverde ai massimi livelli regionali, grazie alle sue doti tecniche e fisiche quando giocava, grazie alla sua competenza nel costruire gli organici e alla capacità di mettere giocatori e allenatori nelle condizioni di esprimersi al meglio. Alessandro “sa” di calcio come pochi ed è un punto di riferimento per il nostro sport. Con entusiasmo e impegno, con lucidità e trasporto, con l’esperienza di chi ne ha viste tante e con la stessa passione di quando da ragazzo andava in bicicletta agli allenamenti. Oggi su TeverePost la sua storia sportiva.
Quando hai iniziato a giocare a calcio?
Da bambino, nel settore giovanile della Baldaccio Bruni Anghiari ovviamente. Prendevo la mia bicicletta e mi dirigevo passando attraverso strade poco trafficate al campo sportivo. Il mio primo allenatore è stato Piero Magrini. Giocare a calcio mi è piaciuto fin da subito e la passione che mi accompagnava in quei primi momenti è rimasta inalterata negli anni. È trascorso tanto tempo, sono cambiate le responsabilità, il ruolo, i compagni di avventura ed è cambiato molto anche il mondo del pallone, ma le emozioni che ogni volta ti regala questo sport sono per fortuna sempre le stesse. Giocavo soprattutto da attaccante esterno o da ala e qualche gol lo segnavo già, così venni convocato in prima squadra dal tecnico di allora che era Claudio Baldi e in una gara esterna debuttai. Fu molto emozionante. L’anno dopo andai al Sansepolcro negli allievi guidati da mister Gareffa assieme a Giuseppe Gennari e all’inizio della stagione successiva feci il ritiro con la prima squadra di mister Grassi. Una preparazione doppia visto che dopo provai con lo Spoleto, ma non se ne fece niente e fui felice di tornare alla Baldaccio.
E qui arrivò la prima grande soddisfazione della tua carriera, la vittoria del campionato di Terza Categoria decisa nel “famoso” spareggio al Buitoni contro la Sulpizia. Ci racconti come andò?
Andò alla grande visto che vincemmo 4-2 e che io realizzai una tripletta. A esser sinceri di gol avrei potuto segnarne addirittura quattro, ma calciai un rigore sul palo. Fu in ogni caso un giorno meraviglioso per me, per la Baldaccio e per i tantissimi tifosi anghiaresi presenti sulla gradinata del Buitoni. Ricordo uno stadio gremito, con oltre 1500 spettatori, nonostante fossimo in campo neutro! Una grande gioia anche per altri motivi: perché eravamo quasi tutti ragazzi del paese, perché quello contro la Sulpizia era un derby molto sentito, perché arrivammo allo spareggio dopo una rimonta incredibile e perché in molti ci davano battuti prima di giocare. Invece fu un trionfo! La stagione seguente retrocedemmo, ma quello spareggio resta un momento meraviglioso. Poi io e Butteri passammo alla Monterchiese dove mi tolsi altre soddisfazioni.
Quali furono i momenti più belli della tua esperienza in gialloverde?
C’era un progetto importante portato avanti dal presidente Conti, persona eccezionale e dirigente di valore. In panchina c’era Valerio Piccinelli, in campo calciatori fortissimi come Pastorello, Donato, Malentacchi a cui poi si aggiunsero Testerini, Becci, Moretti, Barculli, Giovagnini in arte “Quaglina”, Bruschi e Facchin. Alla Monterchiese giocai 6 anni, prevalentemente come esterno d’attacco, vincendo il campionato di Seconda Categoria e centrando per tre anni consecutivi il 2° posto in Prima, alle spalle di Pratovecchio, Castiglionese e Bibbienese. Un anno io segnai 15 gol e Malentacchi ne realizzò addirittura 27, un bottino che ci permise non solo di vincere la Seconda Categoria, ma anche di aggiudicarci la scommessa con mister Piccinelli che fu comunque ben felice di pagarci una cena. Tantissimi comunque i ricordi che ho di quegli anni.
Ad esempio?
La possibilità di imparare da compagni esperti che avevano giocato nei professionisti. Io mi cambiavo negli spogliatoi accanto a Donato e mi legavo le scarpe come se le legava lui, tanta era l’ammirazione e la voglia di prendere esempio. Ricordo anche che mi giocai l’ordinaria dopo soli 4 mesi di militare pur di non saltare la preparazione nella stagione 1982-1983 e che ogni domenica tornavo da Firenze per scendere in campo in quella Monterchiese che al tempo era la squadra di riferimento della Valtiberina. Ricordo benissimo anche un gol che realizzai contro il Foiano in Prima Categoria, un tiro al volo dal limite che si andò ad insaccare al sette opposto, ma anche lo scontro diretto con la Bibbienese che noi vincemmo 2-0 in casa davanti a molti tifosi anghiaresi arrivati a sostenerci dato che la partita della Baldaccio quella domenica era stata rinviata. E poi giocare assieme a Malentacchi era uno spettacolo. Ancora adesso in provincia tanti si ricordano di quel tandem d’attacco. Ci sarebbero tanti altri aneddoti come la volta in cui Piccinelli fu espulso “per colpa” del nostro portiere Catacchini, anche lui di Anghiari, oppure il soprannome “Il Chiarugi dei poveri” che mi dette Luigi Alberti, giovane giornalista che ci seguiva ogni domenica. In quegli anni a Monterchi muovevano tra l’altro i primi passi nelle loro professioni Luigi Alberti, Maurizio Checcaglini, nostro medico sociale che poi è diventato uno dei dottori di riferimento a livello nazionale nella medicina sportiva e Sauro Cerofolini, ex guardalinee arrivato fino alla Serie A e ora presidente della Sezione Aia di Arezzo. La squadra era forte e per lo sport monterchiese furono anni molto positivi.
Anni d’oro come furono quelli alla Baldaccio, anche qui con tanti trionfi ottenuti da protagonista.
Prima di tornare alla Baldaccio giocai una stagione al Cortona Camucia in Promozione. Eravamo in quattro dalla Valtiberina: io, un giovanissimo Marco Carbonaro, Gustinicchi e il mister Valerio Piccinelli. Fu per me un’annata positiva in cui da centrocampista realizzai mi sembra 5 gol. Poi in estate andai un solo giorno al mare a Cervia e vennero a trovarmi Ricciotto Fornacini e Alessandro Petruzzi per convincermi a tornare alla Baldaccio. Ci riuscirono senza troppa fatica e vestire di nuovo la maglia della squadra del mio paese fu una grande gioia. Nella stagione 1987-88 trionfammo nel campionato di Seconda Categoria vincendo la decisiva sfida casalinga con il Montagnano dopo un duello serratissimo. Ricordo benissimo quella partita e anche la felicità per la promozione festeggiata assieme ai nostri tifosi. In quella stagione, con mister Sammartano e con giocatori fortissimi come Enzo Niccolini, Caracchini, Bassani e altri ragazzi anghiaresi, fui anche rigorista e dagli undici metri realizzai gol importanti, ad esempio con Poppi e Chiusi.
Storico per la Baldaccio fu anche il salto dalla Prima Categoria alla Promozione nell’anno 1990-1991, in un periodo caratterizzato anche dal record di imbattibilità casalinga. Cosa ricordi di quegli anni?
Eravamo una squadra forte e ne eravamo consapevoli. Sentivamo l’orgoglio di vestire la maglia biancoverde e arrivare in Promozione fu per noi un grande traguardo. Il record di imbattibilità al Saverio Zanchi, che si interruppe con il Capolona in un turno infrasettimanale, fu merito nostro e dei tifosi. Il “greppo” aiutava, ci dava una spinta incredibile e giocare ad Anghiari non era facile per nessuna squadra. In quel periodo sono stato diverse volte capitano, ma a prescindere da chi indossava la fascia, c’erano tanti leader e io mi sentivo uno di questi. Ho sempre legato con tutti e il gruppo era molto unito, in campo e fuori. In Promozione poi ci salvammo in un infinito spareggio con Argentario e Altopascio e la gara decisiva fu ad Incisa con l’Altopascio vinta da noi con gol di Bianchi. Purtroppo l’anno dopo retrocedemmo. Conservo ancora le videocassette di alcune partite di quegli anni con la telecronaca di Gino Dente.
Gli ultimi anni della tua carriera da giocatore?
Conclusi il mio percorso al Montagnano in Promozione, con Sammartano allenatore e Malentacchi libero. Io giocai poco all’inizio, ma mi feci trovare pronto giocando quando ce ne fu bisogno anche come prima punta e così nella seconda parte della stagione fui spesso titolare.
Soddisfatto della tua carriera in campo?
Ho avuto tanti momenti felici e ho sempre dato tutto perché il calcio è la mia passione. Ero un giocatore d’attacco, dotato di corsa e di tecnica, riuscivo a saltare l’uomo, segnavo qualche gol e soprattutto facevo assist, ma mi sono saputo adattare anche come centrocampista, ho cercato di apprendere qualcosa dagli allenatori incontrati e ho avuto la fortuna di incontrare nel mio percorso giocatori formidabili.
Chi sono stati i migliori?
Alcuni come ad esempio Donato, Facchin e Pastorello avevano militato anche tra i professionisti, ma sullo stesso livello metto anche Enzo Niccolini e Claudio Malentacchi, che pur non avendo giocato in categorie superiori erano davvero fortissimi. Lo avrebbero sicuramente meritato.
Come maturò la decisione di fare il direttore sportivo?
Quando giocavo a Montagnano presi il patentino per allenare nel settore giovanile e iniziai come tecnico nella scuola calcio biancoverde, poi per una stagione guidai la juniores composta allora da calciatori delle annate 1973-74, ma sentivo che quello di mister non era un ruolo giusto per me. Petruzzi e Fornacini mi proposero di diventare direttore sportivo della società anghiarese e così iniziai questa avventura. Ormai sono trascorsi 27 anni e per fortuna i momenti belli superano di gran lunga quelli meno positivi. Il primo allenatore scelto da me fu Fernando Chiasserini che incontrai in vespa a Santa Fiora e che poi ci portò in Eccellenza, mentre i primi giocatori che presi furono Selvaggi e il mio ex compagno “Quaglina”.
Quali i momenti più belli in questi 27 anni?
Ce ne sono tantissimi. Lo spareggio con il Castellina in Prima Categoria decisivo per salire in Promozione, il giorno del nostro successo casalingo con il Pontassieve quando Antonio Moretti mi comunicò il gol segnato dalla Rignanese contro il Tegoleto che ci garantiva il passaggio in Eccellenza, il successo in Promozione con Valerio Bendini in panchina, la Coppa Italia di Eccellenza vinta a Firenze con il Roselle ai calci di rigore e poi la “storica” affermazione in casa con il Rimini nella fase nazionale e Andrea Benedetti in panchina. Senza dimenticare le sofferte salvezze ai play out con Montalcino e Maliseti Tobbianese. La cosa di cui sono però più orgoglioso è l’aver dato sempre il massimo per la Baldaccio, cercando di imparare qualcosa dai dirigenti, dagli allenatori e dai giocatori che da Anghiari sono transitati in questi anni. Abbiamo lanciato giovani come Lischi e Bastianelli ad esempio, avuto calciatori e tecnici importanti e tutti, anche se hanno poi preso strade diverse, sono ancora legati ai nostri colori.
E a livello personale quali gratificazioni ti hanno reso più felice?
Sicuramente due anni fa a Roma quando fui premiato dalla Lega Nazionale Dilettanti e dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio in occasione della Cerimonia di Premiazione delle Benemerenze, riconoscimento che mi fu consegnato dal presidente per i miei 25 anni di ininterrotta attività da dirigente. Fu emozionante, così come lo fu ricevere a Firenze qualche stagione fa il premio come miglior direttore sportivo. Le gratificazioni personali fanno piacere, ma le vittorie della squadra danno molta più soddisfazione.
In questi anni la Baldaccio è arrivata ai vertici del calcio dilettantistico regionale e molti sottolineano che una delle fortune della società anghiarese sia avere Bruni come direttore sportivo.
Ringrazio per i complimenti, ma non credo sia giusto parlare in questi termini. Il merito è di una società che ha sempre fatto le cose per bene e come dicevo prima di tutti coloro che in questo percorso hanno messo il cuore e l’anima. Io cerco di svolgere il mio ruolo al meglio e ho la stessa passione che avevo il primo giorno. Vivo con trepidazione le partite, faccio fatica a dormire se perdiamo, esulto come il primo dei tifosi quando vinciamo. Ringrazio mia moglie Lorella per avermi permesso di portare avanti questa passione e tutti i dirigenti che in questi 27 anni mi hanno fatto sentire la loro fiducia rimanendo vicini a me e alla Baldaccio. Alcuni di loro purtroppo non ci sono più, ma sono sempre nei miei pensieri, come ad esempio, soltanto per citare gli ultimi che ci hanno lasciato, Angelica Rossi e Moreno Zanchi.
Hai mai avuto in questi anni la possibilità di lasciare la Baldaccio?
Alcune richieste mi sono arrivate, ma pur ringraziando chi me le ha fatte, non le ho mai nemmeno prese in considerazione, perché questi colori sono parte di me e non mi sono mai visto in altre realtà.
Cosa ti auguri per il futuro?
Che questa situazione di emergenza passi in fretta e che si possa ritrovare la normalità. Tornare a giocare quindi quando ci saranno le condizioni e poter riparlare di sport senza mascherina. Il calcio soprattutto nei dilettanti è entusiasmo, è passione, è la possibilità di andare allo stadio per svagare la mente o di fare una cena di squadra, di stare insieme e condividere. Ora non è possibile farlo purtroppo e questo manca a tutti, ma senza questi elementi è il calcio che ci piace? Io non credo.