Posso affermare che “Albertino” ha fatto in qualche modo parte della mia infanzia: mia madre innamorata del ballo, lo citava spesso e ancor più spesso lo faceva mia zia paterna la quale, titolare di un ristorante che al sabato si trasformava in locale da ballo, decantava le doti di questo per me misterioso personaggio. Erano gli anni 60 e fin da allora intorno a questo nome aleggiavano leggende sulla sua capacità tecnica, poi, finalmente vedendolo e ascoltandolo dal vivo, ho capito che leggende non erano, perché la realtà delle sue esecuzioni era di ben lungi superiore alle approssimative descrizioni che ne facevano i miei parenti
Tempo dopo, fine anni 70, lui e la sua orchestra furono ingaggiati dal locale nel quale lavoravo come disc jockey. Inizialmente il rapporto fra noi fu formale ma a fine serata sentendomi programmare come brano di chiusura uno swing orchestrale in chiave disco lui si interessò moltissimo al pezzo e, rotto il ghiaccio, volle conoscermi e conversammo a lungo avendo come argomento la comune passione per la musica, così da quel momento si creò fra noi un rapporto che non si è più interrotto finché è rimasto in vita
L’Albertino che intendo raccontare, dopo questo preambolo personale, è sia il musicista di immenso valore che l’uomo attraverso le testimonianze di alcuni degli orchestrali coi quali ha trascorso lunghi anni a suonare con successo in giro per l’Italia e non solo, che nei ricordi dei suoi compaesani di Fresciano, località che rimarrà sempre il rifugio montano nel quale approdare ogni volta che era possibile per tornare ad essere semplicemente Alberto, il figlio di Sandro, titolare nella frazione di un emporio dove si trovava di tutto dagli orologi agli asciugamani alla cartoleria, comunità nella quale il maestro era degli abitanti “quello che suona la fisarmonica”, amato e rispettato ma uguale fra uguali al punto che una volta un torneo di bocce, una delle sue passioni praticata con gli amici nella frazione, fu stravolto nell’ordine delle partite per consentirgli di finire in tempo e poi andare a tenere una serata, non senza proteste da parte di alcuni partecipanti. E a proposito di proteste mi si permetta ancora un ricordo personale. Tornando alle sue esibizioni nel locale dove lavoravo, una volta uno dei ballerini presenti andò a lamentarsi con i gestori, me presente, perché non riusciva a seguire la musica con la danza, dal momento che il maestro suonava…troppe note in modo velocissimo. Per fortuna la supponente, ottusa, ingiustificata critica non giunse alle orecchie di Albertino ma a me fece venire in mente un paragone, non sembri irriverente, con l’imperatore austriaco Giuseppe II il quale rimproverò Mozart di mettere troppe note nelle sue composizioni, che l’Asburgo, poiché si dilettava di suonare musica, non riusciva poi ad eseguire in privato.
Fisarmonica: un amore sbocciato molto presto
Alberto Bastianoni era nato a Fresciano, frazione di Badia Tedalda nel1926, a dieci anni, visto che era innamorato fin da piccolo dello strumento, riuscì con molti sacrifici ad acquistare una fisarmonica e, incoraggiato dalla famiglia, soprattutto dal padre, che in gioventù si era cimentato per qualche tempo con la fisarmonica diatonica (quella con i bottoni), iniziò con tenacia a studiare lo strumento. “Dopo solo due giorni” racconterà in una bella pubblicazione a lui dedicata “già riuscivo a suonare qualche motivo popolare che andava per la maggiore” Il piccolo musicista scendeva spesso nella bottega paterna di notte per esercitarsi e lo faceva studiando per corrispondenza, con lezioni di fisarmonica inviategli (e pagategli) dallo zio che abitava a Sanremo. Nello stesso tempo ascoltava, quando poteva, radio, soprattutto estere, che trasmettevano programmi dove lo strumento principale era la fisarmonica, oltre a seguire all’EIAR i maggiori fisarmonicisti italiani dell’epoca. Nel frattempo iniziava a fare serate ed era invitato a suonare a matrimoni del posto. “Ricordo la mia prima esibizione pubblica” continua a raccontare nel libro “fu alla Cerra, un paesino vicino a Fresciano dove il mio compenso fu di 2 lire e 60 centesimi”. In quel periodo Alberto, curiosamente non ancora Albertino, nome d’arte che assumerà molto più tardi, accettava qualunque ingaggio vicino o lontano da casa che fosse e d’inverno, con la neve, doveva indossare gli sci per raggiungere il luogo dove era chiamato ad esibirsi.
Il passaggio della linea gotica per il suo paese, tra l’autunno del 1944 e la primavera del 1945, impedì per qualche mese la sua attività alle feste (non c’era molto da festeggiare in tempo di guerra) ma come raccontano i suoi compaesani ancora in vita: “Quando nel 45 i partigiani liberarono Fresciano si fece festa, si saccheggiò il magazzino dei Maioli, signori del paese, le donne cucinarono le tagliatelle e si ballò al suono della fisarmonica di Albertino”.
Fin da quel terribile periodo il giovane Alberto palesò le sue idee politiche, consapevole del fatto di vedere intorno a se disuguaglianze e povertà. Una tempra che lo ha contraddistinto per tutta la vita, e pur comportandosi in maniera neutrale in pubblico, fra la sua gente ha sempre manifestato con determinazione le proprie convinzioni. Chi lo ha conosciuto nel privato lo ha definito “Duro e puro nella politica come nella musica, un carattere non certo malleabile”. Lo stesso carattere che non facendolo mai scendere a compromessi sicuramente non ha facilitato la sua carriera.
Appena terminata la guerra Alberto riuscì a partecipare e vincere un concorso per fisarmonicisti ad Arezzo che, oltre a dare una soddisfazione ai familiari, lo convinse di essere sulla buona strada nella conoscenza dello strumento. Fu però durante il servizio militare, svolto a Roma, che questa sua convinzione subì un duro colpo. Entrato a far parte della banda militare come suonatore di trombone e formato un gruppo col quale durante la libera uscita andava a suonare nei locali, gli capitò di ascoltare il famoso fisarmonicista Wolmer Beltrami esibirsi alla Casina delle Rose, rinomato ritrovo capitolino. “Non avevo i soldi per entrare” ricordava ”così passavo tutto il tempo della libera uscita ad ascoltarlo dall’esterno e fu li che capii i miei limiti e che avrei dovuto studiare ancora con maggior impegno senza dare nulla per scontato ed è quello che feci”
Una svolta decisiva
Tornato civile fu grazie ad un concorso nazionale per fisarmonicisti tenutosi ad Ancona che per lui si aprì una prospettiva inaspettata; non fu lui a vincere quel contest ma il secondo classificato, il maestro Mauro Volpini, fece il suo nome all’orchestra che stava cercando un fisarmonicista per una lunga tournee in Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Germania e Francia. Lui accettò con l’incoscienza, la curiosità il desiderio d’avventura di un poco più che ventenne, soprattutto pensando al fatto che nel frattempo, aveva messo su famiglia, ma cosciente che questa sarebbe stata un’esperienza fondamentale per la sua carriera.
Alberto Bastianoni entrava in tal modo nel professionismo. Furono anni di sacrifici, tornava a casa una sola volta all’anno, ma anche di affinamento tecnico a contatto con musicisti del luogo e soprattutto di grandi soddisfazioni per aver suonato nelle radio nazionali Norvegese e Finlandese in occasione delle olimpiadi del 1952 e del 1956, ma, oltre quelle, numerose furono le performance effettuate nelle stazioni del nord Europa e in tali frangenti praticamente tutta la comunità di Fresciano si riuniva nella bottega del padre per ascoltare, fiera la famiglia e gli abitanti di avere un figlio e un compaesano così famoso.
Di quel periodo Alberto ha raccontato anche retroscena curiosi come ad esempio il fatto che per tre anni di fila, mentre rientrava dai paesi scandinavi, alla frontiera tedesca fu perquisito da cima a fondo, addirittura in una occasione facendogli smontare la fisarmonica pezzo per pezzo. Venne a sapere che succedeva questo perché aveva una certa somiglianza con un trafficante di droga. Al quarto anno però, ormai conoscendolo, le guardie di frontiera gli “imposero” di suonare per loro. In quel periodo Alberto fece molte amicizie che ritrovò anni dopo quando gli amici del nord, in vacanza in riviera romagnola, andavano a trovarlo nei locali dove suonava.
Forte dell’esperienza acquisita in anni trascorsi in nord Europa, Albertino iniziò a cimentarsi nella composizione sostenendo con successo a Firenze l’esame da compositore. Nella sua lunga carriera ha composto più di 150 brani, alcuni legati all’astronomia, altra sua grande passione, nonché incredibili arrangiamenti di brani famosi come ad esempio Il Carnevale di Venezia, La Gazza Ladra, La Czardas, codificati su pentagramma come “alla Albertino”
Composizioni stellari
A proposito di astronomia, Albertino, trasferitosi con la famiglia Sansepolcro per motivi di lavoro,(rientrato in Italia si era impiegato alle poste) aveva realizzato nella soffitta di casa un vero e proprio osservatorio astronomico, cosa che aveva fatto anche nell’abitazione di Fresciano dove aveva montato una scaletta (che mi dicono ci sia ancora) per andare sul tetto e la notte, le volte che rientrava da suonare nella sua casa natale, approfittava del buio della frazione per scrutare il cielo con il telescopio. Uno dei suoi pezzi più famosi è infatti dedicato alla costellazione M13 .(ammasso globulare di Ercole). Albertino pur non credendo agli oroscopi (in privato diceva che avrebbe volentieri ucciso gli astrologi e tutti quelli che ascoltavano gli oroscopi infervorandosi nei confronti di quelle che considerava scemenze) intitolò una sua composizione Scorpion 18, in onore di un esopianeta, perché coincidente con il suo segno zodiacale e col suo giorno di nascita.
Per quanto riguarda gli spartiti con le composizioni di Albertino, penso che ancor oggi non abbiano perso la capacità di “terrorizzare” qualunque fisarmonicista, tanto sono difficili da eseguire, al limite dell’impossibile per chi cerca di imitare l’inconfondibile tocco del maestro. Sono comunque diffusi in tutto il mondo richiesti soprattutto in Canada e Argentina.
Per quel che concerne le esecuzioni dei brani da parte del maestro, Marco Santioni, che nell’orchestra di Albertino ha militato per 27 anni suonando sax e clarinetto ricorda “Albertino reinventava i pezzi di altri e riempiva quelli di sua composizione con variazioni di una difficoltà enorme, ogni brano era caratterizzato da terzine e quartine scritte ed eseguite da lui in maniera precisa e inimitabile, capitava a volte che la variazione che stava suonando non fosse quella scritta sul pentagramma, insomma che beccasse una nota sbagliata ma quello che era un errore diventava, grazie alla sua immensa conoscenza dell’armonia e alle sue capacità d’improvvisazione, un’opera d’arte. Era un genio.”
Ed è finalmente “Albertino e la sua orchestra”
Intorno ai 28 anni Alberto (non ancora Albertino) iniziò a suonare d’estate nei locali della riviera romagnola, dapprima in piccoli gruppi eterogenei e poi finalmente formando la sua prima orchestra di 5 elementi oltre lui e assumendo il nome d’arte con il quale diverrà famoso, passando dai piccoli ritrovi alle più grandi, rinomate balere della riviera.
Col tempo e con i cambi di organico la sua formazione ha assunto una identità precisa, un suono immediatamente riconoscibile, uno stile che ne ha decretato un successo durato per tutto il tempo che è rimasta in attività. Il repertorio dell’orchestra spaziava dal valzer francese ai tanghi argentini, dai classici americani alle canzoni napoletane,dai brani sudamericani ai successi internazionali del momento, insomma tutto quello che ci vuole per far ballare e divertire la gente, un genere chiamato varieté, una forma d’intrattenimento che rappresenta l’interazione fra esecutori e fruitori musicali evitando di specializzarsi in un genere specifico.
E di divertimento e allegria Albertino e la sua orchestra ne hanno regalato in quantità a tutta la gente che in 50 anni di attività, è corsa ad ascoltarli in ogni parte d’Italia. Grazie al variegato repertorio l’orchestra è stata sempre in grado di adattare la scaletta dei brani da eseguire ad ogni tipo di pubblico. Per anni Albertino e la sua orchestra hanno tenuto una media di 20 serate al mese per tutta la durata dell’anno. In più Albertino è stato più volte invitato a tenere esibizioni da solista ed è stata durante una di queste, in un teatro romano che, presente fra il pubblico, a congratularsi con lui è stato Wolmer Beltrami, il maestro che lui ascoltava durante il servizio militare.
Albertino ha sempre scelto i suoi orchestrali in base alle loro notevoli capacità tecniche e interpretative nonché umane ed è sempre andato fiero che l’orchestra abbia per tutta la sua esistenza suonato interamente dal vivo senza supporti preregistrati, difendendo le sue scelte anche quando gli veniva chiesto di variarle, come accadde per esempio nel 1980. Si trovava al “pallaio” di Fresciano impegnato in una gara di bocce, quando lo chiamarono al telefono del bar (i telefoni nelle case della frazione sarebbero arrivati da lì a poco anche se era il 1980) per confermargli la partecipazione al programma Rai “Fresco Fresco“. Inizialmente alla Rai non volevano chiamarlo perché il gruppo non aveva una cantante ed in televisione, a detta dei curatori del programma, una donna avrebbe fatto più figura, ma non per questo Alberto cambiò la sua formazione che secondo lui andava bene così. Albertino sosteneva che una cantante poteva creare scompiglio, solo dopo molti anni si decise ad inserirne una. La prima fu Claudia, bravissima, l’ultima Francesca, altrettanto brava e preparata.
Giusto riconoscimento
Nel 1999 Albertino è stato insignito dell’Oscar alla carriera a Recoaro Terme presso il Museo della Fisarmonica, con tanto di calco della sua mano destra alla maniera delle star hollywoodiane. È in compagnia di pochissimi ad aver ricevuto questo privilegio e lui è stato uno dei primi. Qualche anno dopo si trovava ancora impegnato col gioco delle bocce a Fresciano, quando, ormai ritiratosi, fu chiamato al cellulare da uno dei responsabili del museo della fisarmonica di Recoaro Terme che gli disse “Maestro devo farle sentire un ragazzo giovane fisarmonicista” e dal telefonino gli fece ascoltare il pezzo, poi con entusiasmo domandò “Allora?” al che Albertino lapidario “Fa schifo” e chiusa la telefonata disse al suo compagno di gioco “Io un pezzo così lo suono con un dito“, il tutto detto senza alterigia ma solo frutto della sua delusione per l’incompetenza del suo interlocutore telefonico, cosa che faceva il paio con la risposta che il grande pianista jazz Art Tatum dette ad un collega, Bud Powell, famoso pure lui, che lo aveva sfidato: “Tutto quello che tu suonerai con la mano destra io lo rifarò con la mia sinistra”
Il cordone ombelicale con la sua gente non si è mai interrotto. Fin quando ha suonato con l’orchestra tornava nel piccolo borgo in estate quando gli impegni glielo permettevano, anche perché non sopportava il caldo e a Fresciano in estate, trovava il clima ideale. Altrimenti andava soprattutto durante le feste o via via in settimana a trovare i genitori. Dopo che si è ritirato soggiornava a Fresciano per tutta l’estate. E anche a questa età i compaesani lo sentivano esercitarsi in camera con la fisarmonica.
Nei primi 2-3 anni dopo che aveva cessato di fare serate, in estate con gli amici della frazione, sembrava voler recuperare quello che non aveva potuto fare prima, in particolare risultano memorabili le serate che iniziavano con: partite di bocce al pallaio, a seguire mangiata di mezzanotte al fu ristorante Poggio Barone e a infine alcune volte, su insistenza degli amici, imbracciava una piccola fisarmonica che aveva regalato inutilmente al nipote e suonava qualche pezzo ma così, per gioco, senza pretesa di esibizione e per lui era come tornare alla propria infanzia e giovinezza.
Alberto Bastianoni “Albertino” ci lascia nel 2018 ed è sepolto nel piccolo cimitero della sua amata Fresciano. Alle sue esequie presenziarono tanti musicisti suoi compagni di viaggio o per i quali è stato un mentore. In chiesa fu veramente toccante l’interpretazione dell’Ave Maria con il sax di Marco e la voce di Claudia. Al termine della messa nel sagrato della chiesa di Fresciano, Claudia ed Enrico De Zotti, a lungo chitarrista nella sua formazione, interpretarono “Tu si’ ‘na cosa grande” e le due fisarmoniche di Tiziano Briscia e Marco Cimarelli diedero il saluto finale al maestro con il valzer Etrusco.
Lascia una sterminata collezione di spartiti e di incisioni dei suoi brani su disco cassette e cd a testimonianza di quella che possiamo considerare una vera icona di un tempo appena trascorso.
Con lui ancora in vita, ma già malato, il 19 Aprile 2018 a Badia Tedalda il comitato che ogni anno dà vita alla kermesse “Viva la fisa” dedicò l’intera edizione alla celebrazione di Albertino: gli oltre venti fisarmonicisti intervenuti, provenienti da tutta Italia, si esibirono solo ed esclusivamente su brani del maestro.
Oggi per onorarie la sua memoria la figlia Valentina gestisce amorevolmente due diverse pagine su Facebook entrambe a nome Albertino Bastianoni, dove si possono vedere e ascoltare molte belle performance del maestro. Per concludere voglio ringraziare coloro che mi hanno permesso, attraverso le loro testimonianze, l’estensione di questo articolo; Marinella Gualina, autrice della pubblicazione “Albertino e la sua fisarmonica compagna di vita”; Marco Santioni, a lungo orchestrale nella formazione di Albertino, Stefano Rossi e gli altri compaesani di Fresciano per i loro preziosi ricordi sul maestro.