Abuna Mario: “Stiamo in casa ad aspettare il Signore risorto”

“Visiterà noi come visitò i discepoli chiusi nel cenacolo”: attraverso TeverePost, don Cornioli fa gli auguri alla Valtiberina e racconta la situazione in Giordania e in Terrasanta

Abuna Mario

Don Mario Cornioli è un sacerdote di Sansepolcro che da lungo tempo opera in Medio Oriente. Da cinque anni è ad Amman, in Giordania, ma continua a seguire tramite l’associazione Habibi anche i progetti della comunità di Betlemme, in Palestina, a cui si era dedicato in precedenza. All’inizio della conversazione con TeverePost ha spiegato il significato profondo della parola “abuna“, con cui lo chiamano sia i cristiani che i musulmani: «”Abuna” significa “nostro padre”, e quando ti chiamano così allora devi esserlo, per tutti, perché come dice Papa Francesco, “siamo tutti nella stessa barca”. L’abuna deve essere padre per tutti

Abuna Mario, quale attività svolge in Giordania?

Qui ci occupiamo dei profughi iracheni, e inoltre abbiamo aperto una parrocchia per gli italiani presenti, che sono circa mille. Penso di essere il parroco più fortunato del mondo, dato che ho il 100% di frequenza. Dei mille circa una sessantina vengono alla messa, ma tutti frequentano la parrocchia, anche perché abbiamo aperto un centro pastorale con pizzeria e ristorante italiano. Serviamo dell’ottimo cibo italiano preparato da chef iracheni formati grazie all’associazione Habibi e a tanti amici italiani, soprattutto dalla Valtiberina. Infatti lo chef Emanuele Ascani è stato qui a fare dei corsi di cucina con i ragazzi dell’istituto alberghiero di Città di Castello. Nel Centro pastorale “Mar Yousef” lavorano 27 ragazzi profughi oltre alle 21 ragazze di Rafedin, un altro dei progetti a sostegno dei profughi. In questo momento siamo chiusi per il rispetto delle regole del Regno di Giordania legate al Covid-19 e probabilmente non riapriremo almeno fino a fine aprile. In ogni caso stiamo sostenendo le persone che al momento non possono lavorare.

Che impatto ha avuto il coronavirus in Giordania e in Terrasanta?

Il coronavirus in Terrasanta ha avuto un impatto differenziato: in Israele ci sono oltre 10.000 casi e oltre 100 morti, in Palestina ufficialmente 266 casi con pochi morti. Qui in Giordania 362 casi con 4 morti. In questo paese c’è stata una risposta molto seria. Siamo in regime di coprifuoco militare molto rigido. Chi non è autorizzato a muoversi viene portato in prigione e subisce la requisizione dell’auto. Queste misure severe hanno garantito un certo controllo della situazione. Quindi noi abbiamo vissuto il triduo pasquale chiusi in parrocchia mentre la nostra gente è chiusa in casa. Siamo preoccupati per i nostri profughi che vivono in quartieri molto popolari: non è sicuramente semplice rimanere chiusi in appartamenti di una o due stanze. In Palestina i nostri bambini stanno bene e sono chiusi nell’Hogar assieme alle suore. Ma la Palestina intera è chiusa, dato che Israele ha chiuso tutto il confine. Ad ogni modo il governo palestinese sta lavorando bene e per ora non ha numeri elevati. Quelli più alti in Israele sono comunque spiegabili con il via vai da tutto il mondo, di cui la Palestina risente di meno.

Il corso principale di Amman deserto a causa del coprifuoco

Oltre alle limitazioni già in atto, il virus ha quindi ulteriormente ristretto la possibilità di muoversi tra Israele, Giordania e Territori Palestinesi.

La Giordania ha sigillato i confini esterni, così come Israele, e quelli della Palestina sono sempre stati sigillati. Quindi per adesso siamo isolati. Fonti giordane indicano luglio come possibile riapertura dei voli. Noi siamo tranquilli qui, ma ci sono italiani che vorrebbero rientrare e l’ambasciata sta cercando di organizzare un volo di rientro. Comunque molti altri vogliono rimanere qua, vista la situazione migliore rispetto all’Italia. Non so quando riapriranno i confini, siamo tutti in attesa che finisca questa situazione anche se siamo consapevoli che dovremo conviverci altro tempo. Anche qui, come in Italia, si valuta la riapertura parziale di qualche attività. In Giordania non è possibile circolare neppure tra città e città, con l’esercito che pattuglia le principali strade. Dove si scoprono focolai del virus il governo ordina la chiusura completa del luogo o dei quartieri. Quasi tutti i contagi provengono da giordani di ritorno dall’estero ed è questo uno dei motivi per cui le autorità hanno usato gli alberghi lungo il Mar Morto per organizzare una quarantena per coloro che rientravano nel paese. Si può dire che il governo sta lavorando molto bene per contenere l’epidemia.

In questa situazione come viene celebrata la Pasqua e come è stata vissuta la Settimana Santa?

La Pasqua viene celebrata, come nel resto del mondo, attraverso i social. Il Cristian Media Center sta trasmettendo i riti santi da Gerusalemme. Il Santo Sepolcro è chiuso per il popolo, e non era mai successo nell’ultimo secolo. Le celebrazioni della Pasqua da Statu quo sono state comunque permesse in forma molto essenziale e dentro il Santo Sepolcro ci sono i monaci ortodossi, armeni e francescani che continuano le liturgie, quindi la preghiera non si ferma. Qui in Giordania celebriamo la Pasqua in una data unica in comunione con gli ortodossi, quindi celebreremo il 19 aprile, ma come comunità italiana seguiamo il calendario di Roma e quindi festeggiamo il 12. Con la nostra piccola comunità ci ritroviamo in un gruppo Facebook dove dalla parrocchia trasmettiamo le celebrazioni. È comunque una Pasqua particolare. Più che una Quaresima è stata una quarantena che però ci ha anche permesso di avere più tempo per pregare e per stare con il Signore. Questo è uno degli aspetti positivi di questo periodo.

Nelle strutture della Chiesa cattolica che tipo di problematiche sono emerse a causa del virus?

Le nostre chiese e le nostre strutture si sono fermate. Le chiese sono state chiuse e così pure le moschee. I nostri bambini stanno bene, le nostre opere di carità sia qui che in Palestina stanno continuando. In Israele agli ospedali gestiti dalle suore è stato richiesto di predisporre reparti per il coronavirus. Come al solito la chiesa, anche qua, è in prima linea per rispondere alle difficoltà. In Giordania i nostri preti continuano a seguire la comunità anche senza potersi incontrare in chiesa. Invitiamo anche i nostri parrocchiani a stare a casa e girare con la mascherina in quel poco tempo che viene permesso di uscire. Tutti i giorni siamo in contatto con i profughi che seguiamo e se c’è qualche necessità ci muoviamo con qualche amico diplomatico autorizzato a farlo. Sarà complicato il dopo virus, anche se almeno qua noi siamo abbastanza abituati a vivere momenti duri. Speriamo che possa riaprire presto tutto, anche perché la situazione economica era già molto difficile prima. Ma come associazione Habibi siamo pronti a “combattere”: ad esempio le ragazze del progetto Rafedin stanno cucendo da casa mascherine – qui se ne trovano poche – sia per uso personale che per darle a chi ne ha bisogno.

Nei media locali arrivano notizie della situazione italiana?

Da quando è scoppiata l’epidemia in Italia tantissimi giornalisti mi hanno contattato chiedendomi informazioni ed esprimendo vicinanza e solidarietà. L’Italia è molto ben voluta. Addirittura un amico, Jamal, mi ha chiamato e ha voluto per forza darmi dei soldi da mandare alla mia famiglia in Italia. Io gli ho spiegato che la mia famiglia non aveva bisogno, ma lui ha insistito così tanto che sono stato costretto a prenderli e poi li abbiamo girati alla Caritas di Sansepolcro per aiutare le persone bisognose. Questo fa capire quanto ci vogliano bene e quanto sia amata l’Italia.

Quale augurio rivolge ai cittadini della Valtiberina?

Quest’anno la Pasqua forse sarà umanamente un momento non troppo gioioso e festoso come le altre volte. Le chiese sono deserte, non avremo la possibilità di incontrarci fisicamente per gli auguri, ci mancherà la possibilità di abbracciarci, però sicuramente c’è un abbraccio che non ci mancherà in questi giorni, è quello del Signore Gesù che ci donerà un abbraccio dalla sua croce, l’abbraccio più bello che possiamo ricevere. Ci dobbiamo fare bastare questo, è anche l’unico abbraccio del quale siamo sicuri al 100% che è carico di amore. Quindi vivremo la Pasqua dalle nostre case, case che si trasformeranno in piccoli cenacoli. Davvero auguro a tutte le nostre famiglie di poter trasformare la loro casa in questi piccoli cenacoli. Approfittiamo di questi giorni che ci sono dati e viviamoli come un’occasione per stare insieme, per pregare, per ritrovare quei valori di cui le nostre famiglie hanno bisogno. Stiamo vivendo una Pasqua di passione e di morte, come l’ha vissuta Gesù, e anche noi come Gesù la vogliamo affrontare senza scappare.
Un pensiero e una preghiera particolare per chi è solo a casa e per chi in questo tempo si sta prendendo cura degli altri. Penso a tutte quelle persone che nel silenzio stanno svolgendo un servizio per il bene di tutti. Sono l’immagine di Dio padre e madre che si prende cura dei suoi figli.
Il Vangelo ci racconta che dopo la Pasqua i discepoli rimasero chiusi nel cenacolo per paura. Mi posso immaginare che anche per noi sarà così ma dobbiamo continuare ad avere fede perché il Signore, come andò a visitare i discepoli nel cenacolo a porte chiuse, sicuramente verrà a visitare anche le nostre case. Dobbiamo restare in casa e non dobbiamo fare come Tommaso, che andò in giro e si perse la visita del Signore che era venuto ad incontrare gli altri. Quindi è necessario restare a casa per aspettare la visita del Signore risorto. Poi ci sarà il dono dello Spirito, con la Pentecoste arriverà la vera resurrezione e ripartiremo tutti. Anche il Vangelo ci dice che si aprirono le porte del cenacolo e i discepoli da uomini smarriti ed impauriti diventarono uomini coraggiosi e andarono a raccontare a tutti la bella notizia della Pasqua della Resurrezione del Signore. Auguro a tutti che ci avvenga questo. Buona Pasqua a tutti, lasciamoci abbracciare da Dio nella certezza che presto arriverà la Pentecoste.

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