Una vita trascorsa sui campi di calcio, prima da giocatore capace di segnare tanti gol tra Serie D e Serie C e di richiamare addirittura l’attenzione del Milan, con cui restò una stagione e mezzo meritandosi l’esordio in Serie A, e poi da allenatore. La storia sportiva di Paolo Valori potrebbe essere sintetizzata così, anche se per raccontarla tutta servirebbe molto più di un articolo. Tanti i gustosi aneddoti ed i momenti emozionanti che fotografano il calcio di ieri e quello di oggi, con i suoi cambiamenti, ma anche con il suo inalterato fascino. Il percorso di Paolo è cominciato a Città di Castello negli anni gloriosi che portarono alla scalata in Serie C, ha toccato il punto più alto con l’arrivo al Milan ed è poi continuato con le maglie di Casarano, Spal, Viareggio, Arezzo e Sangiovannese. All’età di 34 anni ha concluso la carriera da calciatore e, dopo una parentesi come osservatore della Fiorentina, si è seduto in panchina togliendosi altre belle soddisfazioni. Talento sopraffino con il calcio nel dna che ha ottenuto tanto, ma che forse, viste le sue qualità, poteva arrivare ancora più in alto. Di questo e di tanto altro ha parlato Paolo Valori nell’intervista a TeverePost.
Iniziamo dal Città di Castello e dall’esordio in prima squadra. Che ricordo hai di quel momento?
“Ero giovanissimo e fu per me una grande emozione. Era la stagione 1976-1977 ed era il Città di Castello del presidente Renzacci e di mister Agostinelli. Avevamo già vinto con due giornate di anticipo il campionato di Promozione Umbra e nella penultima gara giocavamo a Narni contro l’Elettrocarbonium. Il mister comunicò la formazione senza dire chi era il numero nove. Era ancora il calcio dei tredici giocatori disponibili e quindi immaginai di essere io visto che gli altri rimasti fuori dai dieci indicati erano Biagini e Briganti, un portiere e un difensore. Poi Agostinelli me lo confermò in privato e così scesi in campo. Fu un ottimo esordio e segnai il mio primo gol tra i grandi”.
Ti ricordi come segnasti?
“Come se fosse ieri. Bani, mio compagno di reparto, superò in dribbling il portiere avversario e calciò verso la porta, ma un difensore si avventò sulla palla e io feci altrettanto, così quando lui respinse in scivolata io aprì il piatto sinistro e misi in rete. Ci avevo creduto e avevo capito le intenzioni. Fu una grande emozione, ma non fu il mio unico gol in quella stagione, dato che nell’ultima sfida, vinta 12-0, entrai dalla panchina e realizzai una doppietta. Vero che il campionato era in cassaforte, ma per me che ancora non avevo 17 anni quei gol furono un bel biglietto da visita. Venni per la prima volta intervistato, ma lì andò meno bene”.
In che senso?
“Il giornalista mi fece una domanda e io rimasi bloccato. Lui riprese la parola e mi chiese “sei emozionato?” e io “sì, sono emozionato”. Ecco questa fu la mia prima intervista”.
Nella “tua” Città di Castello hai vissuto la promozione in Serie D, la storica avventura in Serie C ed ancora una stagione in Interregionale. Ci racconti quegli anni?
“L’anno della promozione dalla Serie D alla Serie C ho giocato poco, direi meno di quanto meritavo, ma gli anni successivi mi sono ritagliato il mio spazio. Alla vigilia della stagione 1979-1980 ci furono delle partenze. Mister Mazzetti prima di accettare l’incarico ci venne a vedere in Coppa e decise di puntare su di me. Passai dall’essere ai margini in Serie D a essere titolare nella categoria superiore e nella rappresentativa di Serie C. Fu una bella soddisfazione. A livello realizzativo la stagione migliore con il Città di Castello fu la mia ultima, quella in Interregionale con 14 gol segnati nonostante la retrocessione”.
I tuoi ricordi più belli in biancorosso?
“L’esordio in prima squadra, gli anni in Serie C, i gol nei derby contro il Sansepolcro, ma soprattutto se devo scegliere direi la doppietta siglata nella Beretti con la Fiorentina, gara in cui mi marcava Giovanni Guerrini”.
Gli anni a Città di Castello ti valsero la chiamata del Milan. Cosa hai provato in quel momento?
“Andai a firmare il cartellino nella sede rossonera di Via Turati e fu una grande emozione. Mi voleva anche il Livorno in C, ma il Castello mi cedette al Milan, che a sua volta mi girò in prestito al Sant’Angelo Lodigiani. È stato un passaggio importante della mia vita, visto che era la mia prima esperienza lontano da casa, e anche della mia carriera dato che in C2 segnai 13 gol. C’erano molti giocatori in prestito dalla primavera rossonera ed eravamo una squadra molto giovane, tanto che una volta indossai anche la fascia da capitano. Poi a fine stagione il trasferimento al Milan si concretizzò a tutti gli effetti”.
Poco spazio nell’avventura in rossonero, ma con il debutto in Serie A, il sogno di tutti i calciatori.
“Rivera mi voleva dare in prestito all’Alessandria in C2, ma io dissi no e andai in ritiro con il Milan diretto da Castagner. Uno tra me e Paciocco sarebbe dovuto andare via a novembre e la decisione fu, nonostante non avessi giocato neanche un minuto nella prima parte di stagione, di tenere me, così fuori casa con il Verona feci il mio esordio. Un sogno realizzato, anche se giocai pochi minuti e toccai forse in totale due palloni. Mi ricordo che nei calci d’angolo dovevo addirittura marcare Galderisi. Non giocai altre gare in rossonero, ma i tifosi, sempre presenti in gran numero a Milanello, a fine allenamento mi chiedevano l’autografo e per me era motivo di grande soddisfazione”.
Altri episodi che ti sono rimasti impressi dell’avventura in rossonero?
“Sicuramente un’amichevole giocata a San Siro contro il Real Madrid, squadra mitica in uno stadio che già di per sé regala sensazioni uniche. Fu eccezionale. L’anno seguente arrivò il grande Liedholm e in ritiro feci ottime cose. Il mister dopo una bella prestazione che disputai in amichevole a Cesena rilasciò un’intervista su di me, paragonandomi addirittura a Paolo Rossi”.
Un paragone da “far tremare le gambe”?
“Le mie caratteristiche si avvicinavano a quelle di Rossi e il fatto di esser paragonato a un campione così mi fece piacere, ma sinceramente ero abbastanza freddo sotto il profilo caratteriale e non ci pensai troppo. La mia priorità era dare il massimo e giocare”.
In quel Milan c’erano giocatori che poi hanno scritto la storia del calcio, tra cui Franco Baresi. Era già così forte?
“Impressionante, sia la domenica che durante la settimana. Tecnicamente era superiore alla media e in più aveva già il temperamento da leader. Per lui ogni allenamento era una finale di Coppa Campioni, ma questo valeva per tutti i giocatori in rosa, tanto che nelle partitelle fummo obbligati a mettere i parastinchi”.
L’avventura con il Milan si chiuse di lì a poco e dopo sei stato protagonista con Casarano e Spal.
“A novembre fui ceduto in prestito al Casarano in C1 anche se erano arrivate richieste da Parma e Genoa in Serie B. In Salento ho trascorso tre anni favolosi a livello calcistico e umano. Venivo dal Milan e mi accolsero come un re, ma causa pubalgia il mio rendimento all’inizio non fu eccezionale. Nella seconda fase feci bene e l’anno dopo nonostante la retrocessione il mio bottino fu di 10 gol. In C2 disputai un’annata formidabile e vinsi la classifica cannonieri con 20 reti. A Casarano avevo trovato una società fantastica ed amici con i quali ci sentiamo ancora oggi, però mi volevo avvicinare a casa e così passai alla Spal. Quelli invece sono stati due anni tribolati anche per via di un infortunio al ginocchio che condizionò il mio rendimento”.
In seguito altri gol e altri successi con la maglia del Viareggio. Anche qui tre anni da ricordare.
“Andai a Viareggio grazie a Oscar Damiani, in una società ambiziosa ed in un ambiente ottimo. Fu la scelta giusta. Il primo anno salimmo in Serie C2 e segnai 10 gol, successivamente lottavamo per la promozione in C1, ma vicende extra-campo ci frenarono. Sono stati comunque tre anni stupendi che ricorderò sempre”.
Hai finito la carriera indossando anche le maglie di Arezzo e Sangiovannese.
“Giocare all’Arezzo era sempre stato uno dei miei obiettivi e fui molto felice di vestire la maglia amaranto, ma purtroppo capitai proprio nell’anno della radiazione. Tornai quindi un anno a Viareggio, mentre l’ultima avventura da calciatore è stata con la Sangiovannese nel Nazionale Dilettanti. Segnai anche dei gol e potevo continuare a giocare, ma decisi di smettere. Feci un anno l’osservatore per la Fiorentina e presi il patentino da allenatore, così nella stagione seguente iniziai una nuova avventura”.
Ripercorriamo insieme questo percorso vissuto in tante diverse realtà?
“Ho iniziato con i giovani, esordienti a Città di Castello e allievi a Sansepolcro, poi cinque anni la prima squadra bianconera in Serie D. Successivamente due anni in D con il Poggibonsi nei quali vincemmo i play off, uno con la primavera del Siena, due con il Trestina in Eccellenza, tre a Città di Castello in entrambe le società tra Eccellenza e D e due ancora a Trestina in Serie D. Negli anni più recenti sono stato responsabile del settore giovanile della Federico Giunti di Città di Castello, poi panchina a Città di Castello e a Castiglion Fiorentino.
Quale la soddisfazione più grande?
“Tanti anni e tanti bei momenti. Il più emozionante forse quello vissuto con la primavera del Siena quando in casa battemmo 4-1 la Fiorentina. La gara fu trasmessa in diretta su Sky e in quella squadra erano presenti giocatori forti come Melchiorri, Blanchard e Russo”.
Il tuo futuro?
“Ho avuto contatti anche in questo periodo e in alcuni casi molto interessanti, ma senza concretizzare nulla per mia scelta. Ora sono senza squadra, ma il calcio è la mia vita e voglio allenare ancora”.
Come valuti la tua carriera da giocatore?
“Ho fatto una carriera importante e sono soddisfatto, ma viste le mie qualità tecniche forse potevo fare di più. In certi momenti non ho avuto fortuna ed in altri potevo essere aiutato, ma è anche vero che forse mi sono accontentato di quello che riuscivo a fare, senza quindi tirar fuori tutto”.
Come giudichi il calcio di oggi?
“Differente e più difficile sotto il profilo della tattica e della corsa, però prima c’erano tanti contatti in più e noi attaccanti venivamo tartassati dai difensori. Fare gol era un’impresa e nelle aree di rigore era una vera battaglia, soprattutto nei corner. A livello atletico ci allenavamo in modo diverso e quindi il paragono lo fai male, però il livello era alto anche nelle categorie inferiori dove non c’era la regola delle quote. Un giovane esordiva solo se lo meritava e non perché lo dice il regolamento”.
Cosa ti ha insegnato la tua esperienza nel calcio?
“Tantissimo, a partire dal rispetto delle regole e degli altri, dall’educazione e dal modo di comportarsi in un gruppo, concetti che valgono nello sport e soprattutto nella vita, principi che grazie al calcio hanno formato me e tanti altri giovani”.