Lavinia Pirillo ha 27 anni e ha vissuto la parte iniziale della sua intensa vita in Valtiberina, prima alle Ville di Monterchi e poi a Sansepolcro, dove ha frequentato le scuole superiori. Già in quella fase ha iniziato la sua carriera di viaggiatrice e di surfista, che l’avrebbe portata a studiare, lavorare e surfare in molti angoli del pianeta: ad oggi sono 44 le nazioni dove Lavinia ha passato almeno una parte della sua vita.
Come si forma il DNA di una viaggiatrice?
Avevo una grande voglia di sapere e conoscere qualcosa di diverso rispetto all’atmosfera e alla vita di Sansepolcro. Crescere in una piccola realtà è molto limitativo, volevo formarmi scoprendo il mondo e conoscendo persone, culture, luoghi, anche grazie alla passione per il viaggio che mi hanno trasmesso i miei familiari e in particolare mio zio, che è venuto a mancare qualche anno fa. E avevo anche il sogno del surf. Era un desiderio che si era sviluppato attraverso film, cartoni animati, documentari che avevano fatto crescere in me la voglia di scoprire questo sport, buttarmi nel mare e cavalcare le onde. Una cosa che si crea in modo molto naturale e con grande eleganza. Il surf è molto più di uno sport, è un’arte, un qualche cosa di meraviglioso. Volevo anche visitare l’Australia, protagonista dei racconti di mia madre che ascoltavo fin da piccola. Questo mondo incredibile, tutto differente e dove si può incontrare qualsiasi cosa. Una nazione che contiene un continente intero di meraviglie, dal deserto al mare, l’oceano, i fiumi, laghi, praterie, e che poteva concretizzare le grandi passioni con cui sono cresciuta: il surf e il viaggio. Volevo capire come si vive così lontano, cosa si mangia, cosa fa la gente. Ho fatto molta pressione sui miei genitori, che non erano d’accordo, ed è stato difficile combattere contro le loro perplessità. Ero già economicamente abbastanza indipendente perché ho cominciato a lavorare molto presto, già a 15 anni, prima raccogliendo tabacco e poi come cameriera in pizzeria. Avevo messo da parte risorse, ma non bastavano per pagarmi il tutto. È stata una battaglia non solo per avere un aiuto economico, ma anche per sostenermi umanamente in questa scelta, e su questo mio zio e mia zia hanno avuto un ruolo importante nel convincere i miei genitori, dato che sono sempre stati dalla mia parte sostenendo i miei sogni.
Dalla Valtiberina agli oceani, come è iniziata la tua esperienza di surfista?
Sono sempre stata una sportiva, praticando pallavolo, judo, basket, atletica, e me la cavavo bene anche nelle gare tra scuole. Ho iniziato presto a lavorare proprio per il mio sogno del surf, visto che la Valtiberina e l’Italia in generale non offrivano molto, e quindi sapevo che avrei per forza dovuto allontanarmi. Primo obiettivo furono le Canarie: compiuti i 18 anni, senza dire molto ai miei genitori, ho deciso di partire. Avevo voglia anche di mettere alla prova me stessa in un’esperienza di viaggio da sola. Qui ho fatto la mia prima esperienza con il surf e qui è cominciato un amore che non ho più abbandonato. Sono tornata in Italia per l’ultimo anno di scuola, trascorso in lotta con i genitori e con le persone che non comprendevano cosa mi passasse per la testa. I più comprensivi pensavano che volessi andare in Australia per studiare l’inglese.
L’Australia è stata un passaggio fondamentale della tua esperienza.
Questi viaggi sono decisivi per imparare a conoscersi, mettersi alla prova, capire cosa ti rende felice e cosa non ti rende felice. Non tutti abbiamo la fortuna di crescere e di sapere bene cosa ci rende felici e cosa no. La generazione dei miei genitori non si poneva questo tipo di problemi e una vita fortunata era considerata quella in cui una volta usciti dal mondo della scuola si trovava un lavoro stabile con una buona pensione in prospettiva. Non ci si chiedeva se il lavoro poteva piacere oppure no. Io invece volevo essere felice a tutti i costi e per me la felicità era la cosa più importante. Volevo vedere quello che il mondo poteva offrire. Mi sentivo diversa rispetto anche a tante mie amiche che stavano al Borgo e che avevano trovato il loro ambiente e i loro stimoli. Io no. La Valtiberina è meravigliosa ma a me non bastava solo lei. Sono partita per l’Australia a 19 anni, con il mio inglese che non era affatto all’altezza della situazione. Lì mi sono incontrata veramente con me stessa ad affrontare varie situazioni che mi sono capitate davanti. All’inizio è stato difficile anche per un problema di salute che mi ha costretto ad un’operazione chirurgica e una degenza in ospedale, cosa che non mi era mai successa in Italia. Sempre mentre mi trovavo dall’altra parte del mondo è morta mia nonna, poi il mio cane, e non ero pronta a questo tipo di dolori, che ho affrontato in quell’occasione per la prima volta. Ero sola e forse questo mi ha anche aiutato a crescere. Senza punti di riferimento ho tirato fuori le unghie. Sono andata a lavorare nelle fattorie, spostando mandrie e costruendo recinti con il filo spinato. Quando dico costruire significava anche tagliare alberi per fare i pali, quindi un lavoro completo. Questo per alcuni mesi tra il Queensland e Melbourne. Ho lavorato anche in molti ristoranti e caffè grazie ai quali ho conosciuto molte persone. Io ero pronta per vivere lì la mia vita ed ero già stata ammessa all’università. Avevo tutto, lavoravo, ero pronta per riprendere gli studi e fare surf in abbondanza. Poi mi arriva la notizia della malattia di mio zio, che aveva una speranza di vita molto breve. In questa situazione, pensando anche a mia zia, e a quello che avevano fatto per me, mi sono sentita in dovere di tornare a Sansepolcro.
Una tappa relativamente breve prima di ripartire per Spagna e Costa Rica.
Mi sono iscritta all’università di Bologna nella facoltà di scienze internazionali e diplomatiche con sede a Forlì. Ho fatto nei tre anni il mio percorso di studi e nell’ultimo anno sono andata in Spagna, a Santander, con il progetto Erasmus. È stato un periodo molto bello anche per l’ottimo rapporto instaurato con la mia coinquilina. Ho deciso di rimanere in Spagna anche in estate, visto che la costa settentrionale dove ero io è anche un’ottima meta per il surf. Avevo il mio giro di amicizie e ho finito per lavorare in una scuola di surf come istruttrice e planning manager. Gestivo tutto quello che riguardava la scuola e ci ho passato due estati. Anche dalla Spagna, come in precedenza dall’Australia, non smettevo di fare viaggi. Se prima esploravo l’Asia, dalla terra iberica sono finita in Costa Rica grazie ad un ragazzo di lì conosciuto in Spagna. In Centro America ho lavorato in un hotel dove mi sono trovata molto bene e ho conosciuto molte persone appartenenti ad un mondo completamente differente dal nostro. Comune denominatore di tutto ancora una volta il surf, stavolta in un posto davvero meraviglioso. In Costa Rica ho noleggiato un camper e ho vissuto due mesi vicino alla spiaggia. È stata un’occasione per riflettere e pensare a cosa volessi nella mia vita. In tutto questo era stata accettata una mia candidatura all’università di Copenaghen per un master alla Business school: un risultato sicuramente prestigioso che mi poteva portare in una terra climaticamente molto diversa da quella dove mi trovavo e senza la possibilità di fare surf. Io ho bisogno del sole e quindi una settimana prima del mio ritorno in Italia per poi andare in Danimarca ho informato i miei genitori che non avrei accettato. Sono tornata in Costa Rica per un altro anno, a Tamarindo, e mi sono innamorata ulteriormente di questa terra che secondo me è il sogno di ogni persona.
Come sei finita in Portogallo?
Durante la mia esperienza in Centro America i miei genitori mi continuavano a chiedere quando avrei avuto un lavoro serio e come avrei potuto fare con la pensione in futuro. Tutto questo nonostante lavorassi in un ristorante con un bell’impiego e un buono stipendio, senza alcun problema economico. Allora ho fatto un compromesso tra quello che avrebbero voluto i miei genitori e quello per cui mi sentivo portata, così sono tornata per fare un master nel settore turistico e ospitalità in Portogallo. Il paese lusitano era appunto il compromesso tra quello che volevo io come clima e oceano per il surf e, dall’altro lato, la possibilità di studiare su standard europei. Prima di andare in Portogallo ero stata ance due mesi negli Stati Uniti, lavorando per una famiglia che avevo conosciuto in Costa Rica e che mi aveva invitato a lavorare da loro nell’organizzazione di un ristorante che ospitava eventi. Ho accettato e mi sono poi molto legata a questa famiglia.
Dove eri durante la fase centrale della pandemia di Covid-19?
Ero in un piccolo paese a nord di Lisbona, a Santa Cruz. È stato un momento vissuto molto bene perché ho avuto la fortuna di avere un’amica che ha una casa non lontano dall’oceano e dove tuttora adesso mi trovo. Abbiamo condiviso assieme tutta la fase delle limitazioni. Qui non ci sono stati grossi problemi, al mattino mi alzavo presto e andavo a fare surf nell’oceano. La polizia più volte mi ha “beccato” ma non essendo obbligatorio il lockdown si limitavano a cacciarmi dall’acqua. Per evitare questo inconveniente ogni mattina andavo sempre prima. Mi alzavo con il buio e tornavo a casa all’alba. Se fossi rimasta a Lisbona, dove ero in precedenza, durante questa fase avrei dovuto vivere in un piccolo appartamento mentre qui avevo a disposizione una casa con il giardino. Potevo andare al mercato, cucinare e devo dire che abbiamo mangiato molto bene. Ho continuato a fare una vita normale con molta ansia per la mia famiglia e la situazione in Italia. Mi sentivo quasi in colpa visto che io stavo in una specie di paradiso. Qui facevo attività fisica, nessuna paura e nessuna pressione per il lockdown mentre sapevo di amici rimasti bloccati nelle proprie realtà universitarie e lontani dalle famiglie. Quando la situazione in Italia stava già diventando complicata ho preso la decisione di non tornare, sia per la mancanza di collegamenti e sia per il rischio di beccarmi il virus proprio nel viaggio e portarmelo a casa. La cosa più sicura era rimanere in Portogallo e valutare il ritorno in Italia ad emergenza conclusa.
Qual è stato l’atteggiamento del governo portoghese di fronte alla pandemia?
Per me dal punto di vista politico il Portogallo è un grande esempio. Quando in Italia è iniziato il problema e mezza Europa derideva il nostro Paese, il Portogallo è stato il primo che ha detto di fare attenzione poiché l’Italia rappresentava l’esempio di quello che sarebbe potuto succedere anche qui. Quindi la popolazione è stata messa in allerta senza terrorizzare nessuno. La gente è stata invitata e non obbligata a stare in casa come ad evitare luoghi affollati. Quando il virus è esploso in tutta Europa, anche qui sono stati presi provvedimenti restrittivi verso una popolazione che già stava attenta a quello che faceva. La polizia controllava e invitava a stare a casa senza alcuna pressione o esagerazione. Limitato il lavoro d’ufficio, le scuole trasferite online, attività non essenziali fermate. Le forze politiche di opposizione hanno dato pieno appoggio al primo ministro in questa difficile situazione, non proprio come in Italia. Una cosa che mi ha molto sorpreso è stata la completa regolarizzazione degli stranieri presenti nel territorio portoghese. Questo ha permesso di poter far usufruire della assistenza sanitaria pubblica tutti coloro che ne avessero avuto bisogno. Le navi da crociera che erano respinte da tutti i paesi qui in Portogallo hanno trovato asilo e la massima assistenza a tutti i passeggeri. Il Portogallo si è dimostrato un paese aperto, disponibile e pronto ad aiutare. Ci sono state anche critiche per questo atteggiamento, ma il Primo Ministro ha affermato che i portoghesi all’estero sono molti e rischierebbero problemi se tutti i Paesi si chiudessero senza fornire aiuto. Tutti i Paesi devono collaborare con solidarietà reciproca e non basarsi solo sull’egoismo, e il Portogallo si è mosso in questa direzione non solo perché lo ha ritenuto giusto, ma anche per dare un preciso segnale agli altri Paesi che si comportano in modo egoistico. Un’altra azione importante è stata la critica al Primo ministro olandese quando si è opposto agli aiuti verso l’Italia. Il Portogallo è stato il primo Paese a criticarlo in modo deciso.
In quali altri Paesi del mondo ti porterà il tuo futuro?
Attualmente in Portogallo sto seguendo un master su Hospitality, Tourism and management. Il programma che sto seguendo mi porterà negli Stati Uniti dove dovrei prendere il mio secondo master, però con la pandemia in corso non sarà possibile andare da subito e probabilmente dovrò seguire una parte dei corsi online per poi andare a febbraio. L’idea è quella di riuscire a completare i corsi sia nella parte statunitense che in quella portoghese. Con l’opportunità che ho di andare negli Usa spero di trovare un buon lavoro nel settore dei miei studi e non mi dispiacerebbe se fosse proprio oltre oceano. In Europa è più difficile per un neolaureato avere una buona opportunità di lavoro e riuscire a guadagnare bene. In America ci sono maggiori opportunità anche di essere pagati meglio rispetto al vecchio continente. Ma ho anche un’idea di riuscire a crearmi un glamping, un camping in forma moderna e di lusso in chiave ecologica e sostenibile, magari in Portogallo o nel nord della Spagna. Vorrei riuscire ad avere un lavoro che mi permetta di vivere senza rinunce.
In base alle tue esperienze personali, cosa consiglieresti ad un giovane con la passione del viaggio?
Di partire e viaggiare. Ho avuto la fortuna di fare molti viaggi e di vivere esperienze incredibili. L’incontro con le persone può cambiarti la vita e aiutarti a capire le opportunità che può riservarti. Conoscere, scoprire e avere la mente aperta e flessibile permette di scoprire te stesso e allo stesso tempo di scoprire e accettare le differenze che affascinano tanto quando viaggiamo ma che poi non siamo disposti ad accettare nella vita di tutti i giorni. Bisogna viaggiare per aprire la testa e scoprire che ci sono milioni di possibilità. Il passo è veramente piccolo tra fermarsi dove si è nati o prendere dei rischi col risultato di scoprire altri mondi. E il mondo ti premia se sai rischiare. Il mio percorso di vita si è formato grazie agli incontri con le persone che hanno cambiato la mia vita e a cui sono grata. Nella conflittualità con la famiglia che scelte di vita come la mia o come quelle che consiglio a tutti possono portare, è necessario mettere davanti a tutto la propria felicità. La mia vita in giro per il mondo mi ha portato ad essere una persona felice e questi sono aspetti che i familiari devono comprendere. Se dovessi morire domani, morirei felice e senza rimpianti per aver vissuto una vita bella. Ho seriamente portato avanti il mio percorso di studi, ho sempre lavorato, ho progetti per il futuro e ho avuto modo di conoscere molto di questo mondo. Amo fare fotografie, confrontarmi con culture diverse, frequento posti non turistici o meno conosciuti che mi permettano di comprendere la cultura di un determinato paese. Mi interessa più la bellezza e la verità che la foto da cartolina. Mio zio, figura a cui devo molto, adorava vedere ogni foto che scattavo e ascoltava con piacere tutti i dettagli delle mie avventure o disavventure nel mondo. Molti mi chiedono: ma che lavoro fai per fare questa vita? La risposta è che viaggiare è la mia priorità e tutto nella vita è questione di priorità. Voglio che sia chiaro che io ammiro tutti quelli che sono felici, anche se lo sono rimanendo in Valtiberina. Io sono eternamente alla scoperta e questo alimenta la mia felicità nel continuare a conoscere il mondo. Per me questo è bellissimo. Per ora è come se avessi vissuto cinque vite: prima dell’Australia, dopo l’Australia, in Spagna, in Costa Rica, adesso. Ogni volta è come ricominciare qualcosa di nuovo e diverso e ogni volta non capisco mai se è più quello che perdo rispetto a quello che troverò. In realtà ogni volta si riparte da zero e ritengo che questo tipo di impatto emotivo sia la parte più interessante della propria vita. Tutto questo ha un prezzo ed è quello di perdere di vista i luoghi d’origine e le dinamiche di parenti o amici. Nonostante questo vale la pena vivere conoscendo tutto quello che ci circonda.