Federico Fanfani è originario di Sansepolcro e, anche lui come Lapo Magi, che abbiamo recentemente intervistato, ha compiuto quarant’anni in quarantena, esattamente il giorno di Pasqua. Ha fatto il barista per quasi due decenni, per lavoro e per passione, in molti locali valtiberini e non. Tra i suoi hobby: cucinare, leggere, fumare il sigaro e consumare alcolici. Come ama ricordare, non necessariamente in quest’ordine.
Dove ti trovi adesso e perché?
Mi trovo a Sansepolcro. Sono tornato in Italia a fine febbraio assieme alla mia compagna Evelyn, che fa la fotografa. L’idea era quella di venire in visita a miei familiari. Dovevamo restare tre settimane, come mia abitudine ogni volta che torno in Valtiberina, più o meno ogni due anni. Un tempo giusto da dedicare a parenti, amici e cucina locale. Il Covid-19 ci è esploso in faccia con voli cancellati e frontiere chiuse, così siamo rimasti bloccati qui. Ci è andata bene perché ci sono posti molto peggiori dove finire in situazioni come questa. Ci siamo goduti ogni giorno quello che ci potevamo godere nel mio paese natio tenendo conto delle restrizioni.
Da dove eravate arrivati?
Ci trovavamo in Colombia ed eravamo alla fine di un viaggio di tre mesi durante il quale stavamo esplorando la costa atlantica. Eravamo alla ricerca di una location sulla spiaggia dove trovare un immobile da affittare per aprire una piccola struttura ricettiva stile ostello. Questo era il piano e vorremmo che continuasse tuttora ad esserlo. Alla fine dei tre mesi ci sembrava che fosse il momento giusto per rientrare brevemente in Italia prima di tornare in Colombia per un lungo periodo con la possibilità di concentrarci al 100% nel nuovo progetto. Ovviamente il virus ha cambiato tutti i piani, non solo per il nostro blocco in Italia ma anche per il fatto che il turismo ne risentirà pesantemente in tutto il mondo, e quindi forse anche i nostri progetti colombiani dovranno cambiare o perlomeno essere ritardati di qualche anno.
Dove andrai quando riapriranno le frontiere?
La risposta è difficile. C’è da valutare l’aspetto professionale e io avrei intenzione di continuare a lavorare con il turismo. C’è l’aspetto logistico, essendo io cittadino comunitario ed Evelyn colombiana, e quindi dobbiamo trovare una destinazione dove entrambi possiamo andare senza complicazioni burocratiche. Infine, ma non meno importante, c’è il problema sanitario. Al momento abbiamo la fortuna di essere in un paese dove le strutture ospedaliere possono far fronte a questo tipo di emergenze ma non tutti i paesi hanno questa fortuna. Quindi guarderemo la situazione al momento della riapertura. La voglia di ripartire è forte ma allo stesso tempo non vorrei infilarmi in problemi. Valuteremo tutto in itinere, tenendo conto degli aspetti che ho descritto. Di sicuro torneremo in un paese tropicale dove ci sia caldo tutto l’anno e dove sia possibile vivere sulla spiaggia.
Che impatto ha avuto il Covid-19 nei luoghi dove ti trovavi?
Quando ho lasciato il Sudamerica il coronavirus era ancora considerato in tutto il mondo una barzelletta. Quindi non erano chiare le dimensioni dell’emergenza e di conseguenza non c’erano ancora impatti visibili. Negli ultimi sette anni ho vissuto circa sei anni a Panama e circa un anno in Colombia. In entrambi i paesi ho amici e familiari della mia compagna che mi tengono continuamente aggiornato sulla situazione. Principalmente a Panama l’impatto è stato di carattere economico, con blocco dei voli e del turismo, chiusura di bar e ristoranti, cancellazione di tutti gli eventi programmati. Panama non ha strutture ospedaliere in grado di reggere il contraccolpo di una situazione pandemica come quella italiana e quindi il massimo sforzo è stato destinato alla prevenzione. Di conseguenza quarantena e lockdown molto più severo che in Italia. Si poteva uscire due ore al giorno solo per motivi essenziali come spesa o medico. Curioso che gli uomini potessero uscire il lunedì, mercoledì e venerdì e le donne il martedì, giovedì e sabato. La domenica tutti a casa. Le due ore in cui potevi uscire dipendevano dall’ultimo numero della tua carta d’identità. Per esempio se il tuo documento finiva con il numero otto potevi uscire dalle 8 alle 10 del mattino. Gli alcolici sono stati proibiti in questo periodo per evitare qualsiasi tipo di problema sociale. Le regole sono attualmente in vigore e secondo fonti alberghiere la normalità tornerà solo a partire dal mese di novembre.
In Colombia la situazione è simile a Panama, con un lockdown leggermente più elastico. Si parla di confini chiusi fino a settembre e blocco di bar e ristoranti addirittura per diciotto mesi. La Colombia è un paese molto grande e anche i trasporti interni sono ridotti al minimo. Un altro grande impatto del virus è che tanta gente se non può uscire di casa non può mangiare. Molti vivono di quello che possono vendere o produrre giorno per giorno. Questo significa che la quarantena e le norme che sono state senza dubbio utili per contenere il virus stanno creando problemi ad intere categorie di persone che se escono di casa forse si ammalano o muoiono, ma se non escono di casa sicuramente muoiono di fame. Queste persone hanno cercato di continuare a svolgere le attività che gli permettono di vivere e questo sta creando problemi dal punto di vista dei contagi.
Di cosa ti sei occupato nei tuoi anni all’estero?
Sono fuori Italia dall’ottobre 2013. Sono andato a Panama perché ho pensato che fosse un paese con le caratteristiche che stavo cercando come clima tropicale, spiagge, economia e moneta solida, costo della vita accettabile. Sapevo che avrei dovuto imparare un’altra lingua e ho pensato che lo spagnolo potesse essere più semplice rispetto ad altre più distanti dall’italiano. Inoltre sapevo che lo spagnolo poteva essermi utile in un grande numero di paesi con le caratteristiche che apprezzo. Ho viaggiato due mesi in questa nazione cercando un posto di mare dove poter lavorare. Ho trovato una spiaggia meravigliosa con un hotel dove ho iniziato a lavorare come lavapiatti, per uno stipendio molto misero più un letto nel dormitorio della struttura. Successivamente sono passato dalla cucina al bancone della sala, che è sempre stato il mio lavoro, quindi non ho avuto problemi ad emergere in questo tipo di attività. Stare dietro al bancone mi ha insegnato che oltre allo spagnolo sarebbe stato bene rinfrescare anche il mio inglese, dato che a Panama ci sono molti turisti nordamericani. È stata un’esperienza molto positiva e ho lavorato anche in reception. Dopo un anno ho chiesto se potevo portare avanti il progetto di un bar sulla spiaggia che in questa struttura mancava. Hanno accettato e mi hanno affidato tutto, dall’ideazione alla realizzazione fino alla scelta del nome che prendeva spunto dalla forma della struttura: “La barca”. È stata una bellissima esperienza e naturalmente stando in un hotel ho conosciuto un’enormità di ospiti provenienti da tutto il mondo.
Avendo fatto molte diverse attività all’interno di quell’albergo ho capito che era arrivato il momento di cambiare quella che era stata la mia maggiore attività e sono passato dal bancone del bar ad occuparmi di gestire l’ospitalità. Nel mio lavoro ho comunque bisogno di stare a contatto con la gente, conoscere persone nuove e differenti, altrimenti mi annoio. Pensare di parlare la stessa lingua per una giornata intera un po’ mi spaventa!
Poi ti sei spostato in Colombia.
Sì, l’idea è maturata per molteplici ragioni. Panama è estremamente poco amichevole con i fumatori di tabacco e io sono un convinto fumatore, quindi ho sentito la necessità di trasferirmi in un paese smoke frendly. La mia compagna è colombiana e quindi per me è più facile prendere la residenza colombiana che per lei prendere quella panamense. Alla lunga tendo ad annoiarmi, anche quando sto bene in un posto, e dopo 5-6 anni avevo voglia di cambiare. Panama resterà per sempre la mia seconda casa, lì ho un sacco di amici, però abbiamo deciso di andare in Colombia, dove c’è gente meravigliosa ed è un paese splendido, molto vario sia dal punto di vista naturalistico che climatico, e perfino gastronomicamente più interessante rispetto a Panama. Se non fosse arrivato il coronavirus adesso sarei lì ad occuparmi di ospitalità.
Consiglieresti ai giovani di fare esperienze all’estero?
Ovviamente sì e se dipendesse da me lo renderei obbligatorio per legge verso tutti in tutto il mondo. Agli italiani lo consiglio ancora più fortemente perché il fatto di venire da un paese che ha una storia millenaria, una cultura importantissima, un’enogastronomia incredibile, donne bellissime, clima fantastico, arte, natura, eccetera, a volte fa sì che ci convinciamo di avere il meglio di tutto e ci chiudiamo rispetto ad altre culture. Questa è una chiusura mentale che purtroppo ho visto nei miei viaggi e colpisce cittadini di molti paesi: ci sono luoghi dove è minore, come Olanda o Germania, e altri come l’Italia dove è più forte. Renderei obbligatorie più esperienze e possibilmente in paesi molto diversi l’uno dall’altro a tutti i giovani italiani. Alla fine si può anche rimanere convinti che il proprio paese sia migliore da alcuni punti di vista, però solo dopo aver visto qualcosa di diverso che casa propria. È giusto essere orgogliosi del proprio paese, della propria storia, cultura e da dove proveniamo, ma deve essere un orgoglio motivato e basato anche sulla conoscenza di come è il mondo. È indispensabile sapere che ci sono persone che pensano e vivono in modo diverso da noi, questo ti apre la mente in modo notevole. Quindi tornando alla domanda la risposta è assolutamente sì! Viaggiate, viaggiate, viaggiate!
Ritornare a vivere in Italia rientra nei tuoi programmi?
No, almeno finché sarò padrone della mia vita non penso di tornare in Italia in pianta stabile per più di un motivo. Prima di tutto quello climatico, poi per la mia necessità di interagire giornalmente con persone differenti, e quindi voglio vivere in un paese dove ci sia l’estate tutto l’anno, turismo internazionale tutto l’anno e perché purtroppo non posso sempre viaggiare no stop. Quindi, dovendo scegliere per necessità logistiche dove fermarmi, voglio un posto dove comunque le persone di altri paesi vengano da me.
Non voglio dare l’impressione di essere ingrato nei confronti del mio paese e della gente che ci vive. Semplicemente ho sempre sognato di andarmene da quando ero ventenne e sono riuscito a farlo solamente oltre i trenta. La mia analisi sugli anni che ho passato a pensare di partire ha portato al risultato che, ora che ci sono riuscito, devo aspettare di stancarmi di essere lontano dall’Italia prima di riuscire a desiderare di tornarci. Comunque sono orgoglioso delle mie origini e apprezzo le meraviglie del nostro paese, da quelle enogastronomiche che prediligo maggiormente a quelle artistiche, paesaggistiche, in parte anche climatiche. Apprezzo e rispetto le mie origini.
Le foto sono di Evelyn Soto Arismendi (Instagram: @altagracia2046).