Sono già passati due anni dalla complessa vicenda del fallimento della storica azienda Cose di Lana-Supermaglia. Dopo la chiusura dello stabilimento e il licenziamento delle maestranze, a fronte di una proroga di affitto del ramo di azienda non concessa dal Tribunale di Arezzo, l’attività fu salvata grazie al fondamentale intervento di BMA. Guidata dai biturgensi Marcello Brizzi e Alessandra Innocenti, BMA è una realtà del settore tessile ben conosciuta a Sansepolcro che in questi anni ha saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano nella produzione di capi di abbigliamento di alta qualità. Prima di intraprendere il percorso imprenditoriale, lo stesso Brizzi aveva lavorato per Cose di Lana come dipendente maturando un’importante esperienza professionale.
Dopo la rilevazione del ramo d’azienda nell’estate del 2019 tramite la startup Maglificio Brizzi & Co., è dei giorni scorsi la notizia dell’acquisto a titolo definitivo dello stabilimento che per decenni ha ospitato il celebre maglificio nato nel lontano 1947. Abbiamo incontrato Brizzi per ripercorrere le tappe di questo importante investimento che, nonostante i rischi iniziali e i disagi dovuti alla pandemia, ha contribuito in modo determinante alla crescita di BMA.
Cosa vi ha portato ad acquistare lo storico stabilimento Cose di Lana?
È stata una scelta logica legata all’acquisto del ramo d’azienda, che per noi ha costituito una grande scommessa. Già prima della crisi avevamo dei rapporti con l’allora Supermaglia, alla quale indirizzavamo una parte delle nostre lavorazioni. Mai avrei creduto, un giorno, di potermi trovare nella condizione di acquistare una storica realtà del territorio dove mia madre ha trascorso una vita intera e dove io stesso ho lavorato per dieci anni. Attraverso una serie di telefonate col sindaco mi è stato chiesto di valutare questa possibilità, e successivamente c’è stata anche una molla emotiva che è scattata il giorno in cui è stato dichiarato il fallimento.
Cos’è successo quel giorno?
Mi sono recato a Cose di Lana a ritirare le varie materie prime per gli ordini che avevamo concordato in precedenza, ormai saltati. In quel momento mi sono trovato a contatto con i miei ex colleghi, fortemente delusi e preoccupati per il loro futuro. Quando ho preso la decisione di rilevare il ramo d’azienda ho pensato molto anche alla loro situazione, e questo mi ha dato un’ulteriore dose di coraggio per chiudere l’operazione. Nel frattempo fortunatamente la BMA stava lavorando molto e questo ha senza dubbio costituito un altro importante incentivo.
Come giudica questi primi due anni della sua nuova avventura?
Sicuramente ricchi di imprevisti. La nuova azienda è diventata operativa nel settembre 2019, ma siamo dovuti partire da zero dovendo ricreare tutta la rete clienti. Dopo 6 mesi, nel marzo 2020, c’è stato il lockdown. È stato ovviamente uno shock dover affrontare questa emergenza globale in una situazione di notevole riassetto, con 30 persone assunte a tempo indeterminato. In realtà, quando siamo ripartiti con il lavoro, il fatto di poter contare su due aziende ci ha garantito una maggiore potenzialità produttiva e questa è stata la carta vincente. I clienti che avevano perso quei due mesi per le chiusure, infatti, avevano poi necessità di produrre più rapidamente le loro merci e la nostra maggiore forza produttiva ci ha garantito una posizione privilegiata. Nonostante i mesi di fermo, nel 2020 c’è stata una crescita del 27%. Questo trend fortunatamente sta tuttora continuando, e nel primo semestre stiamo registrando un +50% rispetto allo scorso anno. Speriamo di chiudere il 2021 mantenendo questo trend.
Come è stato affrontato il Covid dentro all’azienda?
Purtroppo durante la pandemia abbiamo perso una persona che lavorava con noi, che è morta a causa del Covid, e questo ci ha toccato profondamente. I nostri collaboratori hanno capito fin da subito il dramma della situazione e devo dire che fin dai primi giorni di ripartenza sono stati sempre professionali e responsabili, utilizzando sempre i dispositivi di protezione individuale e prestando sempre attenzione alle distanze. Noi stessi, alla luce dei maggiori spazi a disposizione, abbiamo effettuato una riorganizzazione importante anche da questo punto di vista. Non è stata comunque una passeggiata, e per un anno intero abbiamo dovuto lavorare sotto organico anche di 10-20 unità tra positività dirette, quarantene per contatti a rischio ed altri disagi.
Come si evolverà il mondo del lavoro dopo il Covid?
Ahimè ho la sensazione che siamo ancora distanti dall’uscita del problema. Dovremo imparare a conviverci, possibilmente vaccinandoci così da tutelare noi stessi e il prossimo. Per quanto riguarda la parte produttiva ed economica, si sta parlando a livello governativo di una crescita del Pil, e noi questa cosa la stiamo vivendo realmente. Ci stiamo accorgendo che c’è una grossa ripresa soprattutto da parte dei marchi più importanti della moda mondiale: i piccoli brand stanno soffrendo, soprattutto in Italia, ma le grandi realtà europee e mondiali che vendono nei mercati asiatici e americani sono in forte crescita. Noi che stiamo producendo per il settore del lusso stiamo percependo un incremento notevole della forbice. Noi che esportiamo il nostro prodotto made in Italy, che non è un’etichetta attaccata ad un capo ma piuttosto la “qualità della lavorazione”, stiamo addirittura rifiutando delle commissioni perché non riusciamo a completarle tutte. Tutto questo, nonostante l’unione delle due aziende ci abbia consentito di mettere in piedi un meccanismo produttivo importante.
Quale sarà il prossimo step del vostro percorso?
Sarà quello della formazione. Avendo acquistato una grande struttura e macchinari importanti, abbiamo necessità di personale qualificato e giovani da formare. Un po’ perché dovremo presto far fronte ad alcuni pensionamenti, e un po’ perché abbiamo bisogno di ulteriore manodopera qualificata. Nei nostri progetti futuri c’è ad esempio quello di istituire una BMA Accademy, una realtà dedicata alla formazione professionale. In attesa di espletare tutti i passaggi istituzionali e burocratici necessari, stiamo già facendo qualcosa del genere in modo meno formale. Per noi è fondamentale saper tramandare il nostro savoir-faire, perché è quello che ci differenzia dalle produzioni cinesi e del resto del mondo.
Come giudica il tessuto economico e commerciale di Sansepolcro?
Dobbiamo renderci conto che c’è stato un cambiamento epocale che riguarda l’economia e il commercio: sono cambiati gli strumenti, sono cambiate le tendenze, sono cambiate le esigenze delle persone. Poste queste basi, Sansepolcro dal punto di vista economico-industriale non la vedo così in crisi, perché comunque può vantare un tessuto produttivo molto ben assortito con tante belle aziende che lavorano in tanti settori diversi. Non nascondo che abbiamo avuto difficoltà anche ad individuare le quattro persone che a breve concluderanno il percorso formativo per lavorare regolarmente con noi. Le opportunità occupazionali nel nostro territorio sono presenti.
E per il commercio cosa servirà fare?
Passando invece all’analisi della situazione del centro storico e del commercio locale, credo che il Borgo necessiti di una radicale trasformazione. Il modello di città che rappresentava Sansepolcro vent’anni fa, ossia una pregiata vetrina che ospitava visitatori da tutta la vallata e persino da Arezzo, è stato completamente stravolto. Quelle particolari tipologie di negozi che caratterizzavano il Borgo sono state messe in difficoltà dal cambiamento: oggi si compra online e nelle grandi catene, che tra l’altro qua non possono essere ospitate essendo noi inferiori ai 50mila abitanti. La nostra città è un bijoux, ma deve trasformarsi, devono cambiare le tipologie di negozi all’interno del centro storico. Una volta individuata la giusta formula, sono certo che tornerà al suo splendore anche in tempi rapidi.
Quale può essere una giusta formula?
Voglio condividere una nostra personale esperienza. Tempo addietro stavamo valutando la possibilità di aprire un punto vendita al di fuori del nostro territorio. Tra le varie opzioni c’era quella di aprirlo a Cortona, città ricca di turismo. Dopo averla visitata, in realtà, ci siamo resi conto che sarebbe stata una pessima idea, visto che i negozi di abbigliamento nel centro storico sono pressoché inesistenti. I turisti che vanno a Cortona non lo fanno per visitare negozi di vestiti, ma per trovare artigianato, prodotti locali, arte, cultura. Questo per dire, in sostanza, che noi stessi dobbiamo capire che tipo di città vogliamo essere: oggi a fare shopping si va sempre più ad Arezzo o Firenze, negli outlet e in altri luoghi molto differenti dai nostri. Bisogna offrire al turista dei prodotti diversi e legati all’enogastronomia, all’artigianato e alla cultura locale. Vedo di buon occhio, ad esempio, le vetrine con i nostri costumi storici, i vessilli e qualsiasi cosa possa contribuire a rafforzare la nostra identità. Un altro bel progetto è quello legato alle botteghe artigiane, che Progetto Valtiberina stava portando avanti. Questi, secondo me, devono sempre più diventare elementi caratterizzanti del nostro centro storico.